L’AMLETICO DESTINO DEL TFR
Prof. Sergio Sabetta
Vi è una parte della stampa finanziaria che elogia i benefici dei fondi pensione evidenziando gli ottimi risultati conseguiti nel secondo semestre 2004 e nel primo semestre 2005, infatti vengono sottolineate le rese dei vari fondi di categoria che vanno dal 3% al 4,5%, fino a giungere ad un 8% a seguito del favorevole mercato azionario, anche se poi si ammette che per il periodo 2000/2004 il risultato non è stato soddisfacente a causa degli andamenti azionari negativi tuttavia, rifacendosi agli studi della Covip, si ricorda che i fondi azionari avrebbero ottenuto dal 1982, ipotizzando un’allocazione uguale a quella odierna, un rendimento annuo del 10,2% contro il 5,1% del TFR.
Contemporaneamente viene presentato uno studio del Cerm in cui nel simulare gli effetti del decreto legislativo Maroni ci si concentra sulla parte fiscale e si presuppone una prospettiva di carriera quarantennale con una retribuzione lorda iniziale di 20.000 euro, ad inflazione del 2% su una dinamica del Pil di 1,5%, senza ottenere tutti i benefici descritti se non per lavoratori giovani under 35 con meno di 15 anni di servizio, si prevede pertanto che i vantaggi scatteranno solo dopo i 35 anni di accantonamento.
Quale è pertanto la verità.
Dobbiamo considerare gli interessi contrastanti che questa riforma, pur necessaria in prospettiva, tuttavia sottende, da una parte vi sono le compagnie assicurative e i gruppi bancari dall’altra i sindacati e gli imprenditori, tutti preoccupati di controllare l’enorme travaso di liquidità che la riforma comporta.
In effetti nel valutare un fondo pensione di categoria oppure privato si devono considerare innanzi tutto il numero degli iscritti e poi l’ammontare del patrimonio per constatare se è stata raggiunta o meno la massa critica necessaria per rendere competitivo lo stesso, in secondo luogo i costi di gestione e le commissioni all’ingresso o in uscita. Deve tenersi presente che nella previdenza complementare, al fine della resa, sono necessari dei gestori professionali che naturalmente dovranno essere pagati.
Si deve infine considerare che il TFR riesce a difendere abbastanza bene il capitale nei periodi di bassa inflazione, in quanto il trattamento di fine rapporto è pari al 75% dell’inflazione più l’1,5% fisso.
Emerge chiaramente che maggiore sarà il trasferimento di TFR nei fondi pensione e in teoria, salvo sorprese gestionali, più corti saranno i tempi per la maturazione di una rendita. Purtroppo vi sarà sempre una forbice entro cui si agirà in perdita, da cui ne consegue anche induttivamente che vi sarà una fascia iniziale di lavoratori i quali iscrivendosi finanzieranno i fondi rischiando di rimanere insoddisfatti ed ecco ritornare alle osservazioni avanzate dal Cerm.