lavoroprevidenza

sabato 10 settembre 2005

IN PRESENZA DI UN GIUDICATO STRANIERO COME OPERA LA QUESTIONE DI LITISPENDENZA?

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 3192 del 17 febbraio 2005 con nota della dott.ssa Roberta Caragnano


IN PRESENZA DI UN GIUDICATO STRANIERO COME OPERA LA QUESTIONE DI LITISPENDENZA?



Nell’ipotesi in cui il giudice straniero di sia pronunciato sulla legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore italiano addetto alla sede estera, tale pronuncia preclude al giudice italiano di conoscere dello stesso licenziamento sotto qualsiasi profilo disciplinare, quali che siano le ragioni fatte valere dal lavoratore per contestarne la legittimità. Infatti, benché non si possa tecnicamente parlare di litispendenza tra sentenza del giudice preventivamente adito passata in giudicato e domanda proposta successivamente davanti a diverso giudice di altro Stato, tuttavia il sistema della convenzione di Bruxelles copre anche situazioni siffatte, precludendo il successivo processo, che assume valore vincolante per gli ordinamenti nazionali, proprio perché pertinente allo scopo della convenzione di evitare conflitti di giudicati”.


(Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 3192 del 17 febbraio 2005)



Fatto


Un dipendente, giornalista addetto alla sede estera, di una società radiotelevisiva italiana, licenziato dalla società datrice di lavoro ricorreva, impugnando il licenziamento, dinanzi alla High Court of Justice Queen’s Bench Division di Londra che, con due sentenze, respingeva il ricorso per licenziamento.


Il giornalistica, proponeva, in Italia, ed esattamente presso la allora Pretura di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro, impugnazione avverso detto licenziamento, ma la autorità adita declinava la propria competenza, ex art. 21 della Convenzione di Bruxelles.


Anche il Tribunale di Roma in funzione di Giudice di Appello, investito della controversia confermava la sentenza di primo grado e riteneva sussistere, per il giudice italiano, una incompetenza derivante da litispendenza internazionale e comunque una preclusione da giudicato formatosi sulla legittimità del licenziamento.


L’attore esperiva ricorso in Cassazione; ricorso respinto.



Motivi della decisione


Il ricorrente proponeva ricorso per i seguenti motivi:


1. violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c. e degli artt. 21 e 26 della Convenzione di Bruxelles del 1968 modificata dalla Convenzione di San Sebastian del 26 maggio 1989, resa esecutiva in Italia dalla L. 5 ottobre 1991 n. 339; erronea e falsa applicazione di detta normativa, nullità della sentenza impugnata per erroneità, insussistenza o quanto meno insufficienza di motivazione in ordine ad un punto decisivo della sentenza impugnata per aver applicato la disciplina sulla litispendenza in mancanza dei suoi presupposti fattuali. Il ricorrente riteneva che il processo italiano era stato introdotto dopo la pubblicazione delle sentenza inglesi, pertanto non era configurabile una ipotesi di litispendenza ma di riconoscimento o meno di sentenza straniera;


2. violazione a falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., censura della sentenza impugnata per aver ritenuto esistente il giudicato di una autorità inglese coprente il dedotto e il deducibile. Parte attrice sosteneva a riguardo che la sentenza inglese non costituiva giudicato in quanto aveva esaminato solo accidentalmente la questione relativa alla mancata previa consultazione del comitato di redazione, prevista a pena di nullità ex art 34 del contratto collettivo giornalisti e posto a fondamento del ricorso all’autorità italiana.


La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, riteneva i due motivi non fondati e badava la su decisione su quanto disposto dall’art. 21 Convenzione di Bruxelles per cui “Qualora davanti a giudici di Stati contraenti differenti e tra le stesse parti siano proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice preventivamente adito. Se la competenza del giudice preventivamente adito è stata accertata, il giudice successivamente adito dichiara la propria incompetenza a favore del giudice preventivamente adito”.


La ratio della norma è quella di garantire la semplificazione delle formalità, evitare procedimenti paralleli dinanzi a giudici di diversi Stati contraenti e i contrasti di decisione che ne potrebbero derivare.


La sentenza de quo ci permette di esaminare la questione della litispendenza internazionale che trova la sua fonte normativa nella Legge 31 maggio 1995 n. 218 e nella convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 ed, in particolare, i concetti di litispendenza europea o comunitaria e quello di litispendenza dell’ordinamento nazionale interno agli Stati.


La litispendenza, in generale, si verifica quando due controversie tra le medesime parti coincidono per titolo ed oggetto, nel senso che possono riguardare pretese, ancorché formalmente diverse, derivanti dallo stesso rapporto giuridico.


La litispendenza dell’ordinamento nazionale interno, quale quello italiano, presuppone l’esistenza di un organo giudiziario di vertice che dirime i conflitti di competenza tra giudici interni ex artt. 42-45 c.p.c.


Nella litispendenza comunitaria, e quindi nel sistema previsto dalla convenzione di Bruxelles, come già chiarito in precedenza, il giudice preventivamente adito dichiara la propria competenza, escludendo quella del giudice successivamente adito; inoltre, il giudice adito successivamente può verificare la competenza del giudice straniero solo se è dotato di competenza esclusiva, nei casi e sulla base di quanto previsto dall’art. 16 della Convenzione (ribadito dalla Corte di Giustizia 27 giugno 1991, causa C-351/89).


Nel caso de quo, i giudici inglesi non aveva dichiarato la propria incompetenza ma si erano espressi nel senso della competenza, respingendo il ricorso. La pronuncia ci permette di porre l’attenzione anche su di un altro aspetto che riguarda i sistema di relazioni tra le giurisdizioni degli stati aderenti alla Convenzione. Per cui si è creato un sistema a rete in cui i rapporti tra pronunce emesse da organi giurisdizionali di Stati diversi sono trattati in senso orizzontale come rapporti di organi allo stesso ordinamento. Questo sistema si basa sul principio della equiparazione delle giurisdizioni nazionali, negando, però, al tempo stesso, il tradizionale ruolo territoriale delle giurisdizioni nazionali basato sul principio della sovranità nazionale.


La Corte adita, nella decisione, abbraccia il principio per cui il riconoscimento delle sentenze emesse in uno Stato è obbligatorio negli altri Stati, senza bisogno di alcun procedimento (ex art. 26, salvi i casi previsti dagli artt. 27 e 28 Conv.) e tale regola implica una reclusione necessariamente o da litispendenza o da giudicato, a seconda dello stato di pendenza della causa introdotta per prima e della correlata definitività della pronuncia.


Per la Corte, il problema riguarda il rapporto tra litispendenza e giudicato; in situazione simili il Giudice successivamente adito è tenuto a valutare il rapporto con la precedente pronuncia in termini di giudicato secondo l’ordinamento interno e non di giurisdizione, come proposto dal ricorrente nella sentenza impugnata che, nella fattispecie, contesta la formazione di un giudicato. Nel caso de quo, il giudice inglese si era pronunciato sulla legittimità del licenziamento disciplinare e tale pronuncia precludeva al giudice italiano di conoscere dello stesso licenziamento sotto qualsiasi profilo disciplinare. La causa petendi non deve essere confusa con le singole ragioni, di fatto o di diritto, fatte valere dalle parti dei due giudizi. Per tali motivi la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, respingeva il ricorso.



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