ESTENSIONE ANALOGICA DELLE NORME IN MATERIA DI NULLITÀ DEGLI ATTI PROCESSUALI AGLI ATTI DESUMIBILI DAL CCNQ 23 GENNAIO 2001 SU ARBITRATO E CONCILIAZIONE NEL PUBBLICO IMPIEGO: POSSIBILITA’ E LIMITI .
A cura dell’ Avv. Maurizio Danza Arbitro Pubblico Impiego-Lazio
E’ noto che allo stato attuale dottrina e giurisprudenza definiscono ,l’istituto dell’arbitrato e della conciliazione introdotto dal CCNQ 23 gennaio 2001 caratterizzato dalla figura monocratica dell’arbitro del pubblico impiego quale irrituale, con la conseguenza della applicazione in tutte le fasi arbitrali delle sole norme espressione della legislazione contrattata di livello più elevato( trattasi infatti di contratto quadro essendo la materia comune a tutti i Comparti del Pubblico impiego ). Tema concreto però che si è posto durante il funzionamento dell’istituto e nella attività quotidiana dell’arbitro sia nel modello dell’arbitrato a struttura monofase e cioè privo del necessario tentativo obbligatorio di conciliazione, che in quello c.d. bifase prevedente il tentativo di conciliazione obbligatoria dell’arbitro ( cfr. atti introduttivi arbitrali di Maurizio Danza "in progetto arbitrato e conciliazione Formez su sito www. euform.it) è quello della possibilità di applicare anche agli atti arbitrali i principi desumibili dalle norme di procedura civile in merito ai vizi degli atti e ai criteri risolutivi. Ciò si rende necessario alla luce della constatata inesistenza nell’accordo quadro di disposizioni specifiche in tema di nullità,e che rende indispensabile l’applicazione dei principi dell’analogia, attraverso una continua comparazione tra le norme in materia di nullità dettate in riferimento agli atti tipici del processo civile e quelle riferite agli atti arbitrali. Diversamente ragionando si addiverrebbe alla conclusione dell’esistenza di un generale principio di non assogettabilità degli atti arbitrali alle norme generali dettate dalla disciplina codicistica in relazione ai vizi degli atti. E’ da ritenersi però che tale metodo debba essere applicato con cautela, al fine di evitare un’eccessiva processualizzazione dell’arbitrato del pubblico impiego contraria ai principi ispiratori dell’istituto medesimo e ben evidenziati nell’art.1 del CCNQ 23/1/2003, la cui "ratio" è anche quella di evitare le lungaggini tipiche dei procedimenti giudiziari contenziosi.Ulteriore argomentazione circa l’applicabilità delle norme del c.p.c. anche a talune fattispecie arbitrali può essere rappresentata dalla considerazione che il CCNQ, in materia di procedure di conciliazione ed arbitrato, è stato "disegnato" importando taluni modelli tipici del processo del lavoro (si pensi allo schema conciliativo dai medesimi effetti di quello previsto all’art. 66 del D.L.vo n°165/01). Anche in tale prospettiva si colloca la previsione della figura monocratica dell’arbitro del pubblico impiego, cui la norma pattizia ha attribuito, per determinate questioni, poteri anche più incisivi( almeno in apparenza) rispetto a quelli attribuiti al Giudice del Lavoro. Si pensi a tal riguardo alle questioni pregiudiziali di cui all’art. 4 c. 9 del CCNQ art. 4 c. 9 CCNQ: "Qualora l arbitro ritenga che la definizione della controversia dipenda dalla risoluzione in via pregiudiziale di una questione concernente l efficacia, la validità o l interpretazione della clausola di un contratto o accordo collettivo nazionale, ne informa le parti e sospende il procedimento. Ove le parti non dichiarino per iscritto ed entro 10 giorni l intenzione di rimettere la questione all arbitro e di accettarne la decisione in via definitiva, il procedimento si estingue. L estinzione del procedimento è immediatamente comunicata alla camera arbitrale stabile, a cura dell arbitro".L’arbitro del pubblico impiego infatti, a differenza del Giudice del Lavoro può decidere, previo consenso delle parti, in merito alla questione pregiudiziale posta in merito all’efficacia, all’interpretazione, alla validità di una norma dei contratti collettivi, senza dover ricorrere al complesso meccanismo di rimessione all’ARAN e alle O.O.S.S. firmatarie, previsto dall’art. 64 c. 1 del D.L.vo n°165/01 :"Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all articolo 63, e necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l efficacia, la validita o l interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall ARAN ai sensi dell articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all ARAN. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilita di un accordo sull interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa.Ciò premesso è proprio la giurisprudenza consolidatasi sui requisiti degli atti in materia di lavoro e desumibile in particolar modo dall’art. 414 c.p.c. ad offrire allo studioso l’ampio spettro dei poteri attribuiti al Giudice del Lavoro in ordine all’accertamento della sussistenza o meno dei requisiti di validità del ricorso introduttivo, ai fini della ammissibilità della domanda, nonché all’eventuale dichiarazione di nullità degli atti medesimi. Si consideri poi come ai fini dell’eventuale dichiarazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio del lavoro per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, occorre l’impossibilità della sua individuazione solo all’esito di un esame complessivo dell’atto medesimo(cfr. in tal senso Cass. Sez.Unite 2/6/93 n°6140; Cass, Lav.27/471998 n°4296; Cass.Lav29/1/99 n°817; Cass.Lav.1/3/2000 n°2257 e 7/3/00 n°2572).Orbene, tornando agli atti arbitrali, proprio in ragione della rilevata non corrispondenza ed equipollenza tra richiesta di compromesso e ricorso tipico al giudice del lavoro, appare presumibile che i principi giurisprudenziali in materia di nullità degli atti, vadano comunque applicati dall’Arbitro per il Pubblico Impiego agli atti suindicati con rigore e prudenza. Sarà dunque auspicabile l’utilizzazione del potere di sanatoria degli atti introduttivi qui indicati, anche quando l’indicazione dei contenuti minimi della richiesta di compromesso arbitrale non sarà stata rigorosa (si pensi all’indicazione circa la sommaria esposizione dei fatti o in merito alla pretesa). E’ anche però presumibile credere che rientri tra i poteri discrezionali dell’arbitro rilevare la sussistenza di vizi così gravi nel contenuto dell’atto arbitrale da renderlo assolutamente tamquam non esset, dichiarandone la inesistenza,invalidità e/o nullità. Peraltro, come detto, l’applicazione di detti principi con minor rigore alla disciplina arbitrale, può essere dettata dalla considerazione che nella maggior parte dei casi si è di fronte ad atti predisposti dal lavoratore istante senza l’assistenza del difensore, dunque imponendosi il perseguimento del principio del favor prestatoris, introdotto proprio nel processo del lavoro e da ritenersi principio generale applicabile anche agli atti del procedimento arbitrale nel pubblico impiego. Parimenti, ma per altri motivi, sono da ritenersi applicabili all’arbitrato in generale, ed in particolare agli atti introduttivi del giudizio arbitrale suindicati, taluni principi generali processuali di cui al libro I° titolo VI (degli atti processuali), ancorché desumibili dal titolo IV ed in particolare dal capo I° sez. I°del libro II° del c.p.c., relativo alle norme per le controversie in materia di lavoro, atteso che in tale ambito sono rinvenibili le questioni attribuite alla competenza dell’Arbitro per il Pubblico Impiego. Ciò in base alla considerazione che sarebbe impensabile l’esistenza di un procedimento arbitrale senza l’attribuzione in capo all’arbitro di poteri di intervento in relazione ad atti invalidi o addirittura nulli.Si pensi ad esempio, prima fra tutte, alla categoria dei vizi dell’atto riferiti al contenuto minimo e da ritenere applicabile per analogia agli atti introduttivi arbitrali, o ancora alla disposizione di cui all’art. 125 c. 1 c.p.c che, dettata in merito al contenuto e alla sottoscrizione degli atti di parte, stabilisce, in riferimento specifico ai ricorsi, alla comparsa e agli altri atti di parte, un contenuto minimo per gli atti medesimi, dovendo le parti indicare l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni da sottoporre al giudicante. Analogamente è da ritenersi applicabile al procedimento arbitrale la ratio e dunque il principio dell’obbligo di sottoscrizione dell’atto medesimo, anche questo previsto dalla disposizione dell’art. 125 c.p.c., che indubbiamente assolve alla funzione di limite tra gli atti aventi vita nel mondo giuridico e quelli tamquam non esset per mancanza di elementi invece ritenuti essenziali all’esistenza dell’atto medesimo e dalla cui disciplina non può essere ritenuto estraneo neanche l’atto arbitrale . Appare poi coerente con il già evidenziato principio della "cautela" in ordine alla estensione dei principi processuali in materia, quello previsto dalla disposizione di cui all’art. 156 c.p.c sulla rilevanza della nullità, che garantisce che la nullità degli atti medesimi possa essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, ma non quando l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato; nella stessa logica si inserisce il successivo art. 157 sulla rilevabilità e sulla sanatoria della nullità.