UN CASO DI MOBBING A SCUOLA
di Francesco Buffa
TRIBUNALE DI AGRIGENTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Lavoro, dott.ssa Lisa Gatto,
all’udienza del 1/2/2005 ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile in materia di lavoro iscritto al n. 2700 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2003 promosso
DA
F. C., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. Giuseppe Danile, presso il cui studio in Agrigento è elettivamente domiciliato
RICORRENTE
contro
ISTITUTO COMPRENSIVO “S. AGOSTINO”, in persona del Dirigente scolastico pro-tempore, elettivamente domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, rappresentato e difeso dal Dirigente scolastico pro-tempore ex art.417-bis, co.1, c.p.c.;
M. C., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla copia notificata del ricorso, dagli avv.ti Giuseppe Pennisi e Carmen Augello, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Carmen Augello in Canicattì
RESISTENTI
Oggetto: mobbing
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 23/9/2003, F. C. ha esposto: che dal 12/10/1975 presta servizio presso l’Istituto Comprensivo “S. Agostino” di Naro, con le funzioni di “direttore dei servizi generali e amministrativi” (DSGA); che l’insediamento del dirigente scolastico prof. M. C., a partire dall’1/9/2001, aveva da subito determinato, a causa dell’atteggiamento dallo stesso assunto, un clima di distacco, tensione e mancanza di fiducia con tutto il personale di segreteria; che nei suoi confronti l’operato del prof. M. si era sostanziato esclusivamente in ordini di servizio di carattere minatorio, con cui veniva richiesto il compimento di atti spesso non dovuti o addirittura contrari alle norme che disciplinano il funzionamento e le competenze degli uffici scolastici, in repliche, contestazioni di addebiti per lo più contenenti apprezzamenti di cattivo gusto, in frasi ingiuriose e lesive del ruolo, del decoro e della dignità del ricorrente, in minacce di sanzioni, disciplinari e non, mai irrogate; che per ordine del prof. M. era stato privato del computer in dotazione alla segreteria, invitato a consegnare le chiavi dell’ufficio di segreteria e di tutti i cassetti e armadi ivi contenuti, e, inoltre, gli era stato proibito di rivolgersi personalmente al dirigente scolastico per le ordinarie comunicazioni riguardanti l’attività degli uffici scolastici; che in conseguenza dei puntuali e specifici, quanto arbitrari, ordini di servizio, il ricorrente non aveva più potuto svolgere le proprie mansioni con l’autonomia operativa riconosciutagli dalla contrattazione collettiva, secondo la declaratoria del profilo, e aveva così subito un grave danno patrimoniale, derivante sia dall’impoverimento della capacità professionale acquisita e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia dalla lesione del diritto all’immagine e alla vita di relazione; che attraverso la costante pressione di una minaccia più o meno velata, il comportamento del dirigente scolastico aveva determinato nel ricorrente una condizione patologica caratterizzata da una sensazione di timore, associata a segni somatici indicativi di iperattività del sistema nervoso autonomo, sfociata in sindrome postraumatica da stress; che con le condotte poste in essere il dirigente scolastico aveva operato in violazione della disciplina delle obbligazioni contrattuali, sotto il duplice profilo del diritto del lavoratore a svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica (art.2103 cod. civ.) e del diritto di espletare l’attività lavorativa in un ambiente lavorativo salubre, sia sotto l’aspetto materiale, che socio-psicologico, idoneo a consentire la libera esplicazione delle istanze di sviluppo personale e professionale collegate alla prestazione (art.2087 cod. civ.); che, per la reiterazione, la durata e la finalità di isolare il ricorrente dall’ambiente di lavoro, esautorandolo dalle funzioni attribuitegli dalla normativa (art.25, co.5, D. Lgs. 165/2001), i comportamenti posti in essere dal prof. M. si inquadravano nella fattispecie del “mobbing” e, oltre a doverne rispondere direttamente l’autore ex art.2043 cod. civ., si riverberavano in capo all’ente datore di lavoro, doppiamente responsabile dei danni conseguenti, sia contrattualmente, in relazione agli obblighi connessi al dovere di buona fede nell’esecuzione del rapporto, sia in qualità di preposto ex art.2049 cod. civ..
Sulle premesse di fatto e di diritto che precedono, dando atto di aver infruttuosamente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, il ricorrente ha convenuto in giudizio l’Istituto S. Agostino e il prof. M., per sentir condannare l’Istituto alla reintegrazione del ricorrente nelle mansioni spettategli e condannare, in solido, i convenuti al risarcimento del danno biologico, morale, patrimoniale e professionale, nella misura complessiva di € 25.000,00 o in quell’altra maggiore e/o minor somma accertata in corso di causa.
L’Istituto S. Agostino, costituitosi in giudizio in persona del Dirigente Scolastico pro-tempore, ha chiesto di essere estromesso dal giudizio, ritenendosi privo della qualità e dei poteri del datore di lavoro nei confronti del ricorrente.
Anche il prof. M. si è costituito in giudizio e, preliminarmente, ha eccepito la carenza di legittimazione passiva, sia rispetto alla richiesta di reintegrazione nelle mansioni, in quanto cessato dal servizio il 30/4/2003, sia rispetto alla domanda risarcitoria, il cui unico destinatario poteva essere il datore di lavoro. Nel merito, deducendo l’infondatezza delle domande proposte in ricorso, ne ha chiesto il rigetto. In particolare, ha contestato il demansionamento, sostenendo che semmai si era verificata la situazione opposta, per il sistematico boicottaggio posto in essere dal ricorrente sin dal suo insediamento, che gli aveva impedito di svolgere a pieno le sue funzioni e procurato conseguenze psicologiche e fisiche, sfociate in uno stato di infermità, con lunghi periodi di assenza dal servizio per le necessarie cure (dal 14/10/2002 al 14/11/2002 e dal 14/11/2002 alla data di cessazione del servizio) e che lo avevano determinato a presentare le dimissioni con decorrenza dall’1/5/2003.
La causa è stata istruita con documenti e con i testi F. C., B. A., D.C. G., S. W., A. L., F. V., S. M., M. G..
All’esito, è stata espletata consulenza tecnica d’ufficio sulle condizioni di salute del ricorrente.
Autorizzato il deposito di note conclusive, nelle note depositate il ricorrente, riconoscendo di essere stato reintegrato nelle mansioni di sua competenza di seguito all’avvicendamento del dirigente scolastico, ha dichiarato di voler abbandonare la relativa domanda.
All’odierna udienza sulle riportate conclusioni la causa è stata discussa e decisa con lettura pubblica del dispositivo steso in calce alla presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente chiede di essere risarcito dei danni, patrimoniali e non, che ricollega all’attività “mobbizzante” del Dirigente Scolastico, prof. M..
Per valutare se realmente vi sia stata un’attività persecutoria nei confronti del ricorrente da parte del prof. M. occorre ricostruire i fatti e verificare se siano stati posti in essere atti e/o comportamenti, anche non autonomamente sanzionabili, ripetuti in maniera frequente e duratura al fine di danneggiare il lavoratore. Il mobbing, infatti, secondo la nozione elaborata dalla psicologia del lavoro (i primi studiosi sono stati Hans Leymann ed in Italia Harald Ege) è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso all’interno del luogo di lavoro, in cui gli attacchi reiterati e sistematici hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la professionalità della vittima.
Appare utile muovere, anche se in ordine cronologico rappresenta l’epilogo della vicenda, dalle risultanze dell’indagine ispettiva disposta dal Ministero dell’Istruzione presso l’Istituto S. Agostino negli ultimi mesi del 2002, di seguito all’esposto con cui il personale della segreteria denunciava diversi eventi e situazioni che vedevano protagonista il prof. M. e, in generale, lamentava che il Dirigente Scolastico non aveva mai stabilito un dialogo con le diverse componenti della scuola (ATA, docenti, genitori e alunni) e, anzi, organizzava la scuola secondo criteri autoritari.
Sulla base degli accertamenti condotti, l’organo ispettivo ha espresso il parere che fosse auspicabile utilizzare il Dirigente Scolastico ad altri compiti o trasferirlo per incompatibilità ambientale, avendo rilevato nella scuola una situazione di continua denigrazione della professionalità nei confronti del D.G.S.A. odierno ricorrente, come della maggior parte del personale dell’Istituto, oltre a diverse disfunzioni sia sotto il profilo relazionale, che normativo.
Del personale di segreteria fanno parte gli assistenti amministrativi B., D.C. e S., i quali, sentiti come testimoni, hanno riferito che il prof. M. sin dal suo insediamento in Istituto, dove i rapporti con i precedenti dirigenti si erano sempre distinti per spirito di collaborazione funzionale e fiducia reciproca, ha alimentato con il suo modo di fare un contesto di tensioni e di relazioni conflittuali con tutti, compreso il corpo docenti; in particolare, nei confronti del personale della segreteria non ha stabilito un rapporto di fiducia e di collaborazione, giungendo al punto di far affiggere all’albo la comunicazione di servizio datata 31/8/2002 con cui si avvisava che i rapporti tra la segreteria e la presidenza dovevano essere tenuti soltanto dalla dott.ssa A. (riguardo a questa specifica circostanza, l’organo ispettivo ha evidenziato che non sono soggetti a pubblicazione all’albo gli atti concernenti singole persone).
Da quanto sopra (risultati dell’indagine ispettiva ed emergenze testimoniali), si ricava un dato di fatto senz’altro significativo, che induce a ravvisare nella scuola diretta dal prof. M. l’esistenza di una situazione di conflitto generalizzato e latente nei rapporti tra il D.S. e le varie componenti di Istituto, anche se i testi non hanno mancato di confermare che i contrasti maggiori il prof. M. li aveva con il ricorrente. Sarebbe, tuttavia, prematuro trarne delle valutazioni in merito alla condizione lavorativa lamentata dal ricorrente, perché l’ambiente di lavoro teso, la gestione della scuola secondo moduli autoritari o in forme inadempienti delle norme vigenti in materia di lavoro, di gestione amministrativo-contabile, in materia didattica, per un verso, non sono ancora “il mobbing”, fenomeno che per esistere ha bisogno di una strategia persecutoria mirata nei confronti di una persona o di un gruppo determinato di persone; per altro verso, non lo escludono a priori, perché, anzi, la psicologia del lavoro insegna che la situazione di conflitto generalizzato, del tutto contro tutti o, come in questo caso, dell’uno contro tutti, può essere un terreno fertile allo sviluppo del mobbing.
Bisogna, allora, approfondire i rapporti del prof. M. con il F., per vedere se lo stato di conflittualità alimentato nella scuola abbia creato le condizioni per una violenza psicologica particolarmente accanita nei confronti del D.S.G.A., ovvero della figura professionale che, insieme al Dirigente Scolastico, costituisce un elemento fondante del sistema funzionale di Istituto, in quanto preposto, con autonomia operativa, ai servizi amministrativi e generali dell’istituzione scolastica, di cui coordina il personale. Non è un caso che si sia rimarcato qual è la qualifica del ricorrente e la ragione risiede nel fatto che non pare si possa trascurare che proprio le funzioni da egli ricoperte possono averne facilitato il ruolo di vittima; nell’ambito di una gestione dell’istituzione scolastica non informata a criteri partecipativi, infatti, chi rischia più di altri di diventarne il capro espiatorio è colui che è inchiodato dalla posizione funzionale che occupa ad un rapporto di collaborazione istituzionale e professionale con il capo d’istituto da cui dipende l’organizzazione autoritaria e nello specifico la persona in questione è il ricorrente, visto che le competenze del Dirigente Scolastico e del Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi si intrecciano in modo da costituire un unicum normativo (art.25 D. Lgs. 165/2001).
A parlare, comunque, devono essere fatti oggettivi e comprovati, non mere congetture e, allora, si passi ad esaminare la cronologia degli accadimenti documentati.
· In data 11/1/2002 il D.S. ha inviato un ordine di servizio al D.S.G.A., avente ad oggetto la liquidazione di emolumenti in favore di determinati dipendenti, avvertendolo che in caso di inadempienza entro 15 giorni, sarebbe stato sottoposto a provvedimento disciplinare. L’organo ispettivo ha accertato che i fondi per le liquidazioni non erano stati erogati.
· Il 4/3/2002 il D.S. ha chiesto formalmente al D.S.G.A. chiarimenti per i seguenti punti: conferimento delle supplenze; pagamento dello stipendio alle insegnanti supplenti; acquisto di P.C., fotocopiatrice e armadio; situazione di cassa dell’Istituto. L’organo ispettivo ha accertato a tal proposito, nell’ordine: che, dopo un primo momento, in cui era stato rispettato l’ordine della graduatoria fornita dalla scuola pilota, il procedimento per le nomine era stato impartito dal prof. M., essendo, peraltro, il D.S. che conferisce le supplenze in base al C.c.n.l.; che non erano stati erogati i fondi per il pagamento degli stipendi ai supplenti; che gli acquisti di PC, fotocopiatrice e armadi non erano stati apportati nei capitoli di spesa in conto capitale e che il D.S. non aveva tenuto conto delle normative per attivare le procedure previste dal regolamento contabile D.I. n. 4/2002 e D.A. 895/2001.
· Con prot. ris. n. 5 dell’11/3/2002 il D.S. ha inoltrato al Dirigente del C.S.A. di Agrigento una richiesta di informazioni sui flussi di cassa, che così recitava: “… sospetto di essere continuamente boicottato dal D.S.G.A. dell’Istituto”.
· In data 13/3/2002 il D.S. ha reiterato l’ordine di servizio al D.S.G.A. riguardante la richiesta di una relazione sulla situazione di cassa, benché il F. avesse formalmente precisato, nei chiarimenti forniti, che solo in data 8/3/2002 erano pervenute le istruzioni per la predisposizione del programma annuale, riservandosi di fornire dettagliatamente l’avanzo di amministrazione dei fondi statali e regionali.
· In data 15/3/2002 il D.S. ha inviato una contestazione di addebiti al D.S.G.A., sostenendo che i chiarimenti forniti erano falsi e insoddisfacenti.
· In data 16/3/2002 il D.S. ha chiesto al D.S.G.A. il resoconto delle somme disponibili.
· In data 2/7/2002 il D.S. ha mandato al D.S.G.A. un ordine di servizio, riguardante la decurtazione di un giorno di stipendio al personale ausiliario LSU Clemente e Polizzi. L’organo ispettivo ha evidenziato che la retribuzione viene erogata dall’IPACEM e non dalla scuola.
· In data 4/7/2002 il D.S. ha replicato ordine di servizio al D.S.G.A., sul presupposto, esplicitato nella nota, che competeva al responsabile amministrativo dirigere il personale ausiliario, minacciando l’adozione dei provvedimenti urgenti del caso.
· Lo stesso giorno, con nota ris. 12, ha invitato il D.S.G.A. a consegnare entro 24 ore le chiavi delle segreterie, dei cassetti e degli armadi e lo ha diffidato “dallo spendere anche un euro senza l’autorizzazione scritta del Dirigente o in sua assenza del Vicario”.
· Con nota ris. 13, in pari data, ha contestato i seguenti addebiti al D.S.G.A.: oltraggio e calunnie gravi rivolte al D.S.; minacce al D.S.; ostruzionismo e abuso di potere.
· Il D.S. ha inviato una precisazione sull’ordine di servizio n. 12 del 4/7/2002, con cui ha escluso dall’autorizzazione preventiva le spese postali e per l’ordinaria pulizia dei locali.
· Il 13/7/2002 il D.S. ha annotato nel foglio di presenza del personale ATA l’assenza arbitraria del D.S.G.A.. Risulta dalla relazione ispettiva che il D.S.G.A. aveva presentato domanda il 4/7/2002 per fruire delle quattro giornate di festività soppresse, regolarmente protocollata, e le festività erano state accordate dal D.S..
· Il 17/7/2002 il D.S. ha richiesto all’Ufficio Scolastico Regionale di Palermo e al C.S.A. di Agrigento “visita ispettiva urgente per accertare le responsabilità del D.S.G.A.”.
· Il 5/9/2002 il D.S. ha invitato il D.S.G.A., con comunicazione di servizio, ad ordinare tutto il materiale necessario per il nuovo anno scolastico.
· Con prot. 24/ris dell’11/10/2002 il D.S. ha sollecitato all’Ufficio Scolastico Regionale di Palermo la visita ispettiva.
· In data 21/10/2002 ha emanato un o.s. al D.S.G.A., avente per oggetto il trasferimento immediato del P.C. dall’ufficio del D.S.G.A. all’ufficio del D.S. L’organo ispettivo ha appurato che in quel P.C. erano caricati tutti i programmi necessari alla funzione.
· Lo stesso giorno, gli ha inviato un ulteriore o.s., a parziale modifica del precedente, in cui ha specificato che si trattava di prelevare “solo il Monitor, la tastiera e il mobiletto porta P.C.”.
· In data 29/10/2002 il D.S. ha replicato l’ordine di servizio con cui invitava il D.S.G.A. a consegnare le chiavi delle due segreterie e lo diffidava formalmente in caso di inadempienza dei suoi compiti.
· Il 6/11/2002 il D.S. ha sporto formale denuncia contro il D.S.G.A. alla Procura della Repubblica di Agrigento, alla D.I.A. di Agrigento, al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Naro, per la scomparsa di importanti documenti di ufficio e la manomissione del registro di protocollo.
· Nel corso della visita ispettiva, il D.S. ha affermato, nel colloquio avuto con l’organo ispettivo, che il D.S.G.A. voleva comandare, che aveva firmato i certificati sostitutivi della terza media al suo posto. In base alla normativa vigente (art.187, commi 1 e 2, T.U. 297/94), l’organo ispettivo ha ritenuto che il D.S.G.A. possa firmare i certificati, in quanto di sua competenza.
Singolarmente presi, molti degli atti e dei comportamenti elencati rivelano, in alcuni casi autonomamente, in altri sulla base di quanto accertato in sede ispettiva, chiare disfunzioni sia sotto il profilo relazionale del Dirigente, sia sotto il profilo normativo, che già l’organo ispettivo, del resto, ha evidenziato: il D.S. non conosce la situazione finanziaria dell’Istituto in cui opera e chiede informazioni al dirigente del CSA, accusando il DSGA di boicottarlo; immancabilmente sotto la minaccia della sanzione disciplinare, ma senza mai farne ricorso, pretende dal D.S.G.A. la corresponsione di finanziamenti senza che i relativi fondi siano stati ancora erogati; gli chiede chiarimenti su procedure da egli stesso impartite (supplenze); lo accusa di dichiarazioni false e insoddisfacenti in merito a dati contabili non ancora disponibili; gli ordina di emettere provvedimenti estranei alle competenze del DSGA (retribuzione degli l.s.u.) e lo accusa, senza che sia risultato vero, di compiere atti al di fuori delle sue funzioni (certificati sostitutivi degli attestati di licenza); gli sottrae l’autonomia di spesa; gli annota come arbitrarie assenze che egli stesso aveva autorizzato; lo priva degli strumenti di lavoro (computer contenente tutti i programmi necessari alla funzione); lo accusa di malefatte mai accertate (sparizione di documenti, manomissione del registro protocollo) e richiede formalmente una visita ispettiva per accertarne le responsabilità.
Considerati nel loro insieme sotto il profilo delle norme regolatrici del rapporto di lavoro, non sembra si possa dubitare che i reiterati ordini di servizio, le continue richieste di chiarimenti e di resoconti, l’abusiva ingerenza nelle procedure di spesa da parte del prof. M., in effetti, abbiano marcatamente ridotto l’ambito di autonomia operativa che compete al responsabile amministrativo, con una progressività che è giunta al punto, con la sottrazione del P.C. contenente i dati necessari alla funzione, di creare condizioni ostative alla possibilità per il ricorrente di svolgere l’attività lavorativa.
Oltre che sul piano della professionalità, mortificata sotto l’aspetto dell’autonomia funzionale, l’attacco è stato sferrato sotto il profilo della personalità morale del lavoratore, mediante frasi ingiuriose, come l’accusa di mantenere la segreteria in “stato di disservizio … tendente a provocare disordine e a screditare il suo legale rappresentante, con una tattica di boicottaggio subdola, ma fin troppo evidente” (cfr. richiesta di chiarimenti del 4/3/2002), frasi diffamatorie tese a screditare il D.G.S.A. agli occhi del dirigente del C.S.A. (“… sospetto di essere continuamente boicottato dal D.S.G.A. dell’Istituto”), reiterate minacce di punirlo con sanzioni disciplinari, addebiti di responsabilità insussistenti, anche con formali contestazioni, e finanche ripicche (vedi l’ordine di consegna delle chiavi dell’ufficio e di tutti i cassetti e gli armadi ivi contenuti).
Il raggio dell’azione denigratoria si allunga ulteriormente passando ad esaminare le emergenze dell’istruttoria testimoniale. I testi B., S. e D.C. hanno riferito che il prof. M. ha offeso il ricorrente in presenza dei colleghi definendolo “lestofante, ladro, turbatore d’asta ” e la circostanza è chiaramente indicativa di un’aggressione al D.S.G.A. anche sotto il profilo della reputazione nell’ambito della comunità scolastica, volta a screditarlo agli occhi del personale che da lui dipendeva per il coordinamento.
A questo punto, la ricostruzione dei fatti è completa e si tratta di stabilire se si possa riconscere una strategia mobbizzante nell’operato del titolare dell’istituzione scolastica, non ignorando il Tribunale che il mobbing in prima battuta è una realtà fenomenica, non un concetto giuridico, e che, pertanto, intanto si potrà riconoscerlo nella fattispecie concreta, in quanto la fattispecie medesima sia perfettamente sussumibile nei requisiti richiesti dalla psicologia del lavoro, nazionale e internazionale, compreso l’andamento nelle sei fasi successive del modello Ege.
Iniziando dalle categorie di attacchi mobbizzanti, si osserva che le azioni ostili ai danni del D.S.G.A. rientrano in almeno tre delle cinque categorie elaborate dallo studioso. In effetti, il ricorrente ha subito attacchi ai contatti umani, con continue critiche alle sue prestazioni (situazione di cassa, supplenze, lavoro della segreteria), ripetute minacce scritte (irrogazione di sanzioni disciplinari), accuse ingiustificate, frasi ingiuriose e diffamatorie.
Inoltre, il ricorrente è stato dequalificato sul piano delle mansioni, a causa della pressante ingerenza arbitrariamente esercitata dal convenuto nella sfera di autonomia operativa riservata alle funzioni di D.G.S.A., e, sia pure per un breve lasso di tempo, è stato privato degli strumenti di lavoro.
Ha subito attacchi contro la reputazione, con le false voci fatte circolare sul suo conto (accuse di boicottaggio denunciate al Dirigente del CSA, richiesta di visita ispettiva per farne accertare le responsabilità) e in occasione delle offese rivoltegli in presenza dei colleghi.
Passando ai parametri di riconoscimento del mobbing, si osserva che gli atti persecutori hanno avuto una durata complessiva superiore a sei mesi, da gennaio ad ottobre 2002, e in questo arco temporale si sono concentrati particolarmente in alcuni mesi.
La conflittualità ha avuto un andamento successivo, fino alla fase di insorgenza dei sintomi psicosomatici (cfr. certificazione medica e relazione di C.T.U. medico-legale).
In tale ambito, l’elemento materiale del mobbing è senz’altro integrato, perché secondo la definizione data dagli psicologi del lavoro il mobbing è un attacco ripetuto, continuato, sistematico, duraturo e il ricorrente in un arco temporale di circa otto mesi, non senza trascurare l’ostilità latente manifestatagli dal capo d’istituto nei rapporti quotidiani (“ogni giorno il prof. M. mandava una lettera al segretario”, teste S.), è stato vittima di almeno venti comprovate azioni mobbizzanti, fra atti illegittimi sotto il profilo delle regole che governano il rapporto di lavoro (ordini di servizio lesivi dell’autonomia professionale del D.G.S.A.) e condotte aggressive sul piano dei rapporti umani.
Più difficile capire le ragioni dell’intento persecutorio, che senz’altro trapela dai chiarimenti richiesti su procedure gestite dal richiedente, dalle continue minacce di sanzioni mai irrogate, dalle accuse ingiustificate, dalle ingiurie e dalle diffamazioni, dalle critiche soggettive e che fa da collante delle diverse aggressioni, in un unicum strategico che colora di significato persecutorio anche comportamenti di per sé innocui (richiesta di consegna delle chiavi). Un contributo può venire dalle dichiarazioni che il prof. M. ha reso all’ispettrice a proposito del ricorrente: “... vuole comandare, ha firmato i certificati sostitutivi della 3^ media; non ha provveduto all’acquisto di una cassaforte e di un computer per l’Ufficio della Presidenza”, circostanze indicative di una volontà mirata nei confronti del ricorrente, di fargliela pagare per determinate cose fatte e non fatte.
Si aggiunga la possibilità, come si diceva all’inizio, che le disfunzioni relazionali abbiano portato il D.S. a sviluppare un sentimento di rivalsa nei confronti della figura professionale con cui più avrebbe dovuto instaurare un rapporto di cooperazione funzionale; in altre parole, è verosimile ritenere che la posizione funzionale ricoperta dal F. ne abbia facilitato il ruolo di vittima, considerata, peraltro, la considerazione di cui il ricorrente godeva nel settore della scuola (“era il punto di riferimento per la provincia e per il provveditorato che a lui si rivolgeva per le questioni di segreteria”, cfr. teste F., Preside dell’Istituto dal 1992 al 1995).
Anche in questo secondo caso, comunque, è essenziale rilevare che non è indifferente che nella posizione di D.G.S.A. ci si sia trovato il ricorrente, non potendosi escludere, perché ogni individuo è irripetibile, che, a fronte dei metodi oggettivamente poco empatici del D.S., reazioni comportamentali diverse da quelle che ha avuto il ricorrente non avrebbero portato il primo ad un sentimento altrettanto ostile. In altri termini, ad essere chiamate in causa - come sempre, del resto, nelle questioni di mobbing -, sono le caratteristiche personologiche del ricorrente, che la consulenza tecnica d’ufficio ha puntualmente evidenziato, sia pure, com’è inevitabile, dopo che il lavoratore è stato mobbizzato: tendenza al perfezionismo e alla ricerca della minuziosità, tratti di timidezza e riservatezza, una certa difficoltà ad esprimere i sentimenti e le emozioni, sensibilità alle critiche. Per quel che vale, visto che non è possibile sapere come fosse la personalità del periziato prima di essere vittima della violenza psicologica sul luogo di lavoro, l’analisi del c.t.u. si sovrappone agli studi psichiatrici del danno da mobbing, che hanno riscontrato nell’indole scrupolosa, sensibile ai riconoscimenti e alle critiche e con un elevato senso del dovere le caratteristiche caratteriali che agevolano il ruolo di vittima.
Riassumendo, quanto emerso dall’istruttoria prova che nel caso concreto si ravvisano i requisiti tipici della condotta lamentata in ricorso, mentre le giustificazioni addotte dal prof. M., di essere stato lui ostacolato dal F. nello svolgimento delle sue funzioni, già difficilmente credibili alla luce dei risultati dell’indagine ispettiva, non hanno trovato alcun riscontro.
Venendo a questo punto alle valutazioni giuridiche, si osserva che le fonti di responsabilità del prof. M., autore dei fatti illeciti, sono da ricercare nel generale principio del neminem laedere espresso dall’art.2043 cod. civ., la cui violazione è fonte di responsabilità aquiliana.
Una concorrente responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art.2087 c.c., pure evocata in ricorso, non si attaglia all’Istituto Scolastico, la cui avvenuta entificazione (legge 59/97 e DPR 275/99) non implica che tanto il potere disciplinare, quanto la gestione degli aspetti giuridici ed economici del rapporto di lavoro con il personale scolastico si siano trasferiti all’istituzione scolastica-persona giuridica, continuando a far capo agli organi ministeriali centrali, ovvero decentrati sul territorio, che la esercitano per mezzo degli atti di gestione del rapporto di lavoro che il Dirigente Scolastico pone in essere come organo dell’amministrazione statale; la conseguenza è che il datore di lavoro del personale scolastico continua ad essere lo Stato, nella sua personificazione del Ministero dell’Istruzione. Da tanto discende che per avvantaggiarsi della responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell’art.2087 c.c., in solido con il dipendente autore dei fatti illeciti, il lavoratore avrebbe dovuto chiamare in giudizio il Ministero, non l’Istituto S. Agostino, ammesso che al datore di lavoro fosse imputabile nella fattispecie concreta di aver omesso di adottare le misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti vessatori da parte del Dirigente Scolastico. Non avendolo fatto, non può prospettare un concorso di azioni e avvalersi dei benefici della responsabilità solidale, per cui il danno ingiusto è soltanto quello che si ponga in rapporto di causalità con la violazione da parte del superiore gerarchico dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza in ambito extracontrattuale.
In tale ambito, la regola del neminem laedere trova la sua consacrazione nell’art.2059 c.c., ora che questa norma, dopo essere rimasta per lungo tempo quasi del tutto inutilizzata, è risorta nella nuova sistemazione dogmatica del danno civile elaborata con il fondamentale contributo delle due sentenze gemelle della Suprema Corte di Cassazione del maggio 2003 (nn. 8827 e 8828 del 31/5/2003). Secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata che analogamente alla Cassazione ne ha dato la Corte Costituzionale (sent. n. 233 dell’11/7/2003), la norma, infatti, chiarisce il portato della regola del neminem laedere nelle relazioni interpersonali con specifico riferimento alle situazioni normativamente previste e tipizzate, oltre l’aspetto meramente patrimoniale del danno; il risultato non è più quello di un ambito di tutela risarcitoria ristretto al danno morale (che, a questo punto, diventa riparabile anche quando non derivi da un fatto penalmente rilevante), ma la possibilità di una tutela piena dei diritti inviolabili della persona (art.2 Cost.). Nella categoria del danno non patrimoniale, quindi, superata la bipartizione nelle componenti del danno morale e del danno biologico, la figura aggiuntiva del danno esistenziale si presta a salvaguardare il profilo relazionale-sociale dell’individuo, che viene così protetto in tutte le attività e manifestazioni espressive della personalità.
Sulla scorta di tali principi, il lavoratore vittima del mobbing che provi che le conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le attività persecutorie compiute per nuocerlo ha diritto alla riparazione di tutti gli aspetti non patrimoniali di danno sofferti, anche se per la liquidazione non potrà che farsi ricorso al criterio dell’equità, trattandosi di riparare la lesione di valori inerenti alla persona.
Ebbene, la prova che l’attività mobbizzante posta in essere dal prof. M. abbia arrecato nocumento al ricorrente può dirsi acquisita.
Aspetti di danno di natura patrimoniale si rinvengono nella lesione della professionalità specifica, desumibile in base agli elementi di fatto emersi relativamente alla qualità e alla durata della dequalificazione, rispetto ai quali la consequenzialità del danno è normale secondo l’id quod plerumque accidit. Ordini di servizio e richieste di chiarimenti in continuazione, reiterate accuse ingiustificate e minacce di sanzioni, divieto di esercitare l’autonomia di spesa (“ogni giorno il prof. M. mandava una lettera al segretario, … ha tolto il computer dalla sua stanza … Lo accusava di ritardare il pagamento degli stipendi … gli vietava di spendere soldi senza la sua autorizzazione ” - teste S.) implicano per il responsabile amministrativo di una scuola, le cui funzioni consistono nell’organizzare i servizi generali amministrativo-contabili dell’istituzione scolastica nell’ambito degli obiettivi assegnati e degli indirizzi impartiti, senz’altro una sottoutilizzazione delle esperienze lavorative. Le esperienze lavorative sono beni che hanno un valore economico, perché la professionalità specifica non è solo il portato delle nozioni teoriche, ma anche dell’applicazione pratica, e considerato che è stato prolungato il periodo di tempo durante il quale il ricorrente è stato limitato nelle possibilità applicative della proprie capacità ed attitudini (da gennaio ad ottobre 2002), deve ritenersi che il danno patrimoniale si sia prodotto nella sua sfera giuridica in conseguenza della dequalificazione professionale subita.
Aspetti di danno non patrimoniale sono pure presenti, nelle tre componenti del danno biologico, morale ed esistenziale.
Il “disturbo post-tramautico da stress cronico moderato in personalità di tipo dipendente” è la diagnosi in ambito psicopatologico che descrive il quadro clinico del ricorrente secondo il giudizio medico-legale del c.t.u., il quale ha precisato, quanto alle cause dell’infermità, che le situazioni collegate all’attività lavorativa sono state senz’altro un fattore di lesività, ma che il disturbo visivo presente nella storia clinica del periziato fin dal 1984 è da includere fra gli eventi stressogeni, perché responsabile di una forte vulnerabilità nello stato d’animo del lavoratore, che lo ha predisposto ulteriormente a nuovi stress. In ambito somatico il ricorrente è risultato affetto, oltre che dal predetto disturbo visivo, da “malattia da reflusso gastro-esofageo per disordine motorio di transizione sec. Hellemans-Vantrappen”.
La diagnosi e le considerazioni medico-legali formulate dal consulente tecnico d’ufficio sono senz’altro suffragate da ogni necessario accertamento clinico e specialistico, compiuto con particolare riferimento alla peculiare strutturazione della personalità del periziato (indagini clinico-anamnestetiche, psichiche e testologiche), ma il convincimento del giudice, supportato dalla documentazione sanitaria a firma degli specialisti ai quali il periziato si è rivolto per le cure, è che il quadro clinico accertato deponga per una condizione psicopatologica di più lieve entità. Tanto l’anamnesi, quanto l’esame obiettivo e testologico, infatti, nemmeno lontanamente rivelano, ora come al tempo dei fatti accaduti nell’ambiente lavorativo, i sintomi peculiari del DPTS: persistente rievocazione dell’esperienza traumatica attraverso immagini, pensieri, incubi notturni, accompagnata da sensazioni di vergogna, rabbia, tristezza, paura, sentimenti di irrealtà e/o di estraneità, sensazioni fisiche quali sudorazione profusa, dispnea, pianto improvviso, tachicardia, nausea, diarrea, tremori; rapporto fobico con tutti gli stimoli che possono rievocare l’evento (persone, luoghi, attività, ascolto di programmi televisivi, lettura di giornali, situazioni sociali); amnesia psicogena, intorpidimento emozionale, apatia; stato di iperattivazione costante che si manifesta con disturbi del sonno, maggiore irritabilità e aggressività, deficit di concentrazione, stato di ipervigilanza.
Rispetto a questo genere di disturbi, che il c.t.u. ha escluso nel periziato affermando che non sono emersi disturbi psicosensoriali, che il pensiero è stato logico, l’ideazione lucida, i processi ideativi coerenti (cfr. pag. 8 della relazione), l’analisi delle funzioni psichiche ha evidenziato nel ricorrente un quadro clinico ben distante dal punto di vista nosografico e tipico della personalità di tipo dipendente: tendenza alla ricerca della minuziosità, difficoltà ad esprimere con parole i sentimenti e le emozioni esperite, sentimenti di scarsa autostima, preoccupazione del giudizio degli altri, incertezze nel prendere decisioni, vita affettiva nel complesso poco equilibrata e facilmente influenzabile, particolare sensibilità alle stimolazioni esterne ed ambientali, sbilanciamento verso l’intellettualizzazione, insofferenza alle critiche, contatto sociale condizionato da una migliorabile adattività intellettuale indicativa di una polarizzazione sul proprio sé e da un bisogno di assertività, fattore ostacolante la realizzazione di una piena vita di relazione.
Di contro, sono testimoniate testologicamente valenze nevrotiche (incidente nevrosi astenica, la cui entità sintomatologica è espressa dal numero considerevole di fenomeni particolari) e aura depressiva, che sono comunque sintomi di una condizione psicopatologica di entità notevolmente più lieve del DPTS e che il c.t.u. ha condivisibilmente inquadrato nella fragilità dei processi identificativi tipici della personalità di tipo dipendente.
Unitamente alla storia personale del lavoratore (familiarità negativa quanto a malattie nervose e mentali, inizio nel gennaio 2002 del trattamento psicoterapico, che il ricorrente ha praticato per circa un anno, insieme al trattamento farmacologico prescrittogli da medico specialista neurologo in servizio nella struttura pubblica, assenza di precedenti patologie psichiche o nervose, notevole miglioramento del quadro clinico in seguito alla cessazione dal servizio del prof. M.), le risultanze dell’indagine psicodiagnostica permettono di ritenere che la patologia psichica da cui è affetto il periziato, oltre a rappresentare una comune risposta a situazioni stressanti esogene, denoti caratteristiche morfologiche tali da far desumere un sicuro nesso eziologico con la conflittualità relazionale determinatasi sul posto di lavoro, che, pertanto, non senza risentire del preesistente deficit sensoriale visivo, ha agito come fattore (con)causale nel determinismo e nell’evoluzione della menomazione.
Aspetti di danno esistenziale, ovvero alla sfera relazionale-sociale, sono evidenti negli esiti dell’intervista psichiatrica, che, in sintesi, hanno messo in luce una condizione di << profondo bisogno di ripiegamento su se stesso vissuto come necessario ad incrementare la consapevolezza di sé >>.
Aspetti di danno morale, infine, sono desumibili in base agli elementi di fatto emersi relativamente alla qualità, alla frequenza e alla durata delle azioni ostili, rispetto ai quali la consequenzialità delle ripercussioni sullo stato d’animo in termini di transeunte turbamento può dirsi normale secondo i dati dell’esperienza.
Venendo alla liquidazione del pregiudizio, la lesione patrimoniale può essere risarcita facendo riferimento alla retribuzione, pacificamente ritenuta in giurisprudenza un accettabile parametro per la quantificazione in via equitativa del danno alla professionalità, essendo espressione della qualità e quantità del lavoro prestato (art. 36 Cost.). Circa la misura della retribuzione cui far corrispondere il pregiudizio, deve considerarsi, per un verso, la qualità intrinseca delle mansioni negate (<< attività lavorativa di rilevante complessità ed avente rilevanza esterna >> secondo la declaratoria contrattuale collettiva) in rapporto alla durata del demansionamento (circa otto mesi), posto che la perdita del valore della professionalità è direttamente proporzionale al contenuto professionale delle mansioni non esercitate e al trascorrere del tempo di dequalificazione; per altro verso, va detto che che il demansionamento non si è verificato nelle forme più gravi dello svuotamento di mansioni o dell’assegnazione a mansioni inferiori. In tale prospettiva, appare proporzionato all’entità del danno risarcirlo con una somma pari a un 1/4 della retribuzione mensile per i primi cinque mesi di demansionamento, ad un 1/3 per i successivi quattro mesi (escluso il mese di ferie in agosto); in base alle buste paga del periodo, la retribuzione lorda utile come parametro di riferimento è di € 2170,00 (grosso modo) e, pertanto, a titolo di danno patrimoniale spetta al danneggiato la complessiva somma di € 5606,00.
Per il risarcimento della lesione sanitariamente accertata, considerato che secondo il parere espresso dal c.t.u. il quadro clinico è in atto consolidato, anche se in parziale remissione, può farsi riferimento per l’individuazione del grado di invalidità permanente ai valori delle tabelle approvate con decreto del Ministero del Lavoro, D.M. 12/7/2000 (le tabelle allegate al d.m. Sanità del 5/2/1992 per la valutazione dell’invalidità civile non prevedono un’infermità corrispondente dal punto di vista nosografico alla patologia da cui è risultato affetto il ricorrente e neanche prevedono il DPTS). Su tale base, può ritenersi che l’infermità comporti un danno biologico decisamente inferiore al 6% (che è la percentuale di danno biologico attribuita dalle tabelle al disturbo post-traumatico da stress cronico moderato), del quale, si noti, il danneggiante risponde interamente. La precisazione origina dal fatto che, come si è visto, precedenti condizioni soggettive della vittima hanno interferito con l’eziologia degli eventi dannosi, comprese le problematiche personologiche del lavoratore (profilo di tipo dipendente), il ctu essendo del parere che si tratti di problematiche strutturali (pag. 15 della relazione, in relazione all’ultimo quesito). Anche se non si dubita che le condizioni soggettive preesistenti possano aver reso il lavoratore particolarmente sensibile e reattivo alle stimolazioni esterne, l’eventualità che abbiano esercitato un’azione concorrente (il c.t.u. l’ha affermato senza mezzi termini per il disturbo visivo) non potrebbe comunque comportare alcuna riduzione della responsabilità civile del danneggiante per il minor grado di efficienza causale della condotta, perché una comparazione del grado di incidenza eziologica è ammessa nell’ordinamento positivo del danno ingiusto civile solo nel caso di concorso di comportamenti umani colpevoli, ai sensi e per gli effetti degli artt.1227 e 2055, co.1, c.c. (Cass. 9/4/2003, n. 5539). Sicché, il danneggiante resterebbe responsabile anche per gli aspetti di danno non direttamente ricollegabili alla sua condotta e, sulla scorta di tali principi, considerata l’età del ricorrente (58 anni), risponde ad equità risarcire la lesione medico-legale con la somma di € 2.500,00 (del resto, secondo la tabella di liquidazione del danno biologico del Tribunale di Palermo per l’anno 2004, ipotizzando una percentuale di invalidità del 4% la liquidazione sarebbe pari a € 2570,71, considerato che il valore punto corrispondente al grado di lesione è di € 805,67, il coefficiente di rivalutazione ex Dm 22/7/2003 è pari a 1,0496 e il coefficiente di devalutazione riferito all’età del danneggiato è pari a 0,760).
Per le altre voci di danno non patrimoniale, considerate tutte le specificità del caso (qualità, frequenza e durata delle azioni ostili, posizione occupata dal danneggiato nell’organizzazione dell’Istituto scolastico, età e profilo personologico del danneggiato, risultati dell’analisi delle sue funzioni psichiche) e non potendosi trascurare che la lesione è direttamente proporzionale al trascorrere del tempo, si ritiene equo liquidare il danno morale in misura di una frazione del danno biologico, pari a 1/5, per ogni mese di attività mobbizzante e, quindi, nel complessivo ammontare di € 5000,00 e altrettanto, grosso modo, appare congruo liquidare per il danno esistenziale.
In conclusione, le somme spettanti al ricorrente a titolo di risarcimento del danno ammontano complessivamente ad € 18.000,00 a carico del prof. M., e possono così riepilogarsi:
€ 5606,00 per danno patrimoniale;
€ 2500,00 per danno biologico;
€ 5000,00 per danno morale;
€ 4894,00 per danno esistenziale.
La domanda risarcitoria nei confronti dell’Istituto S. Agostino deve invece essere rigettata, essendosi rilevato, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, che l’Istituto non riveste nei confronti del ricorrente la qualità di datore di lavoro.
Le spese del giudizio, nei rapporti tra il ricorrente e il prof. M., vengono liquidate in € 939,95 per onorari, € 581,55 per diritti, € 190,18 forfettario 12,5% spese generali e poste a carico del convenuto.
Nei confronti dell’Istituto Scolastico non v’è luogo a provvedere, essendo stata scelta dall’Avvocatura dello Stato la rappresentanza e difesa in giudizio ai sensi dell’art.417-bis, co.1, c.p.c. e non sono state documentate spese vive.
Le spese separatamente liquidate al c.t.u. restano definitivamente a carico del prof. M..
P.Q.M
Il Giudice del Lavoro
respinta ogni altra istanza, eccezione e difesa,
condanna M. C. a corrispondere a F. C. la complessiva somma di € 18.000,00, a titolo di risarcimento del danno, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla data di cessazione della lesione al soddisfo.
Rigetta nel resto.
Condanna M. C. alla rifusione delle spese processuali, liquidate, in favore del ricorrente in complessivi € 1711,68.
Non luogo a provvedere per le spese del giudizio nei confronti dell’Istituto Scolastico “S. Agostino”.
Pone definitivamente a carico di M. C. le spese separatamente liquidate al c.t.u.
Agrigento, 1/2/2005
Il Cancelliere
Il Giudice del Lavoro
Lisa Gatto
Il commento
di Francesco Buffa
Una delle più recenti sentenze in materia di danno esistenziale da mobbing arrecato a dipendente pubblico è stata resa da Trib. Agrigento 1 febbraio 2005.
Il caso riguardava un conflitto –durato alcuni mesi- tra il nuovo dirigente di un istituto scolastico ed il direttore dei servizi generali ed amministrativi della stessa scuola (d’ora in avanti DSGA).
Secondo la ricostruzione dei fatti riportata in sentenza, il direttore scolastico aveva accusato il DSGA di boicottarlo; sotto la minaccia della sanzione disciplinare, ma senza mai farne ricorso, aveva preteso dal DSGA la corresponsione di finanziamenti senza che i relativi fondi fossero stati ancora erogati; gli aveva chiesto chiarimenti su procedure da egli stesso impartite (supplenze); lo aveva accusato di dichiarazioni false e insoddisfacenti in merito a dati contabili non ancora disponibili; gli aveva ordinato di emettere provvedimenti estranei alle sue competenze e lo aveva accusato, senza che fosse risultato vero, di compiere atti al di fuori delle sue funzioni; gli aveva sottratto l’autonomia di spesa; aveva annotato come arbitrarie assenze del DSGA che egli stesso aveva invece in precedenza autorizzato; lo aveva da ultimo privato degli strumenti di lavoro (computer contenente tutti i programmi necessari alla funzione); gli aveva chiesto di consegnare le chiavi dei cassetti degli armadi e dei tavoli della segreteria; lo aveva accusato -con denunce all’autorità giudiziaria ed addirittura alla Direzione investigativa antimafia- di malefatte mai accertate (sparizione di documenti, manomissione del registro protocollo) e aveva richiesto formalmente una visita ispettiva per accertarne le responsabilità, visita che poi aveva invece avuto esito contrario. Tali fatti, benché in sé talora illegittimi e talora irrilevanti sotto il profilo giuridico, considerati nel loro insieme sotto il profilo delle norme regolatrici del rapporto di lavoro, integrano secondo la sentenza un demansionamento (reiterati ordini di servizio, continue richieste di chiarimenti e di resoconti, abusiva ingerenza nelle procedure di spesa, tutti aspetti che avevano marcatamente ridotto l’ambito di autonomia operativa che competeva al responsabile amministrativo, con una progressività che era giunta al punto, con la sottrazione del computer contenente i dati necessari alla funzione, di creare condizioni ostative alla possibilità per il segretario di svolgere l’attività lavorativa). Ma la sentenza aggiunge che, oltre che sul piano della professionalità, mortificata sotto l’aspetto dell’autonomia funzionale, l’attacco era stato sferrato sotto il profilo della personalità morale del lavoratore, mediante frasi ingiuriose, frasi diffamatorie tese a screditare il DGSA agli occhi del dirigente del Centro Servizi amministrativi, reiterate minacce di punire il DGSA con sanzioni disciplinari, addebiti di responsabilità insussistenti, anche con formali contestazioni, e finanche ripicche (come con il già riferito ordine di consegna delle chiavi dell’ufficio e di tutti i cassetti e gli armadi ivi contenuti).
Ciò avveniva peraltro in un ambiente di lavoro complessivo in cui i rapporti personali del dirigente scolastico con tutti gli altri sottoposti e con i docenti erano conflittuali: al riguardo la pronuncia osserva incisivamente la rilevanza della condizione lavorativa lamentata dal ricorrente, perché l’ambiente di lavoro teso, la gestione della scuola secondo moduli autoritari o in forme inadempienti delle norme vigenti in materia di lavoro, di gestione amministrativo-contabile, in materia didattica, se, per un verso, non sono ancora “il mobbing” (fenomeno che per esistere ha bisogno di una strategia persecutoria mirata nei confronti di una persona o di un gruppo determinato di persone), tuttavia, per altro verso, non lo escludono a priori, perché, come insegna la psicologia del lavoro, la situazione di conflitto generalizzato, del “tutto contro tutti” o, come nel caso, dell’ “uno contro tutti”, può essere un terreno fertile allo sviluppo del mobbing.
La sentenza ha ritenuto che l’elemento materiale del mobbing è stato nel caso senz’altro integrato, ravvisandosi un attacco sistematico e duraturo alla persona del ricorrente, in un arco temporale di circa otto mesi, con atti lesivi dell’autonomia professionale del DGSA e condotte aggressive sul piano dei rapporti umani.
Vengono peraltro nel caso riscontrati a carico del dipendente mobbizzato i sintomi peculiari del disturbo postraumatico da stress (DPTS): persistente rievocazione dell’esperienza traumatica attraverso immagini, pensieri, incubi notturni, accompagnata da sensazioni di vergogna, rabbia, tristezza, paura, sentimenti di irrealtà e/o di estraneità, sensazioni fisiche quali sudorazione profusa, dispnea, pianto improvviso, tachicardia, nausea, diarrea, tremori; rapporto fobico con tutti gli stimoli che possono rievocare l’evento (persone, luoghi, attività, ascolto di programmi televisivi, lettura di giornali, situazioni sociali); amnesia psicogena, intorpidimento emozionale, apatia; stato di iperattivazione costante che si manifesta con disturbi del sonno, maggiore irritabilità e aggressività, deficit di concentrazione, stato di ipervigilanza.
Meno problematica è poi l’individuazione del nesso causale tra le condotte mobbizzanti ed il danno, e ciò nonostante il riscontro della personalità del ricorrente che la consulenza tecnica d’ufficio ritiene di indole scrupolosa, sensibile ai riconoscimenti e alle critiche e con un elevato senso del dovere: infatti, la stessa sentenza opportunamente osserva che, sebbene si tratti di aspetti caratteriali che agevolano il ruolo di vittima e se le condizioni soggettive preesistenti possano aver reso il lavoratore particolarmente sensibile e reattivo alle stimolazioni esterne, l’eventualità che queste abbiano esercitato un’azione concorrente non potrebbe comunque comportare alcuna riduzione della responsabilità civile del danneggiante per il minor grado di efficienza causale della condotta, perché una comparazione del grado di incidenza eziologica è ammessa nell’ordinamento positivo del danno ingiusto civile solo nel caso di concorso di comportamenti umani colpevoli, ai sensi e per gli effetti degli artt.1227 e 2055, co.1, c.c. (Cass. 9/4/2003, n. 5539).
La pronuncia risarcisce il danno patrimoniale e non patrimoniale: sotto tale ultimo profilo, per quel che qui più interessa, superata la bipartizione nelle componenti del danno morale e del danno biologico, viene inclusa nella categoria del danno non patrimoniale -in linea con la più recente giurisprudenza delle magistrature superiori- la figura aggiuntiva del danno esistenziale, che secondo la sentenza “attiene e salvaguarda il profilo relazionale-sociale dell’individuo” e consente di proteggerlo “in tutte le attività e manifestazioni espressive della personalità”. Sulla scorta di tali principi, ritiene la decisione che il lavoratore vittima del mobbing (che provi che le conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le attività persecutorie compiute per nuocerlo) ha diritto alla riparazione di tutti gli aspetti non patrimoniali di danno sofferti, anche se per la liquidazione non potrà che farsi ricorso al criterio dell’equità, trattandosi di riparare la lesione di valori inerenti alla persona.
Condivisibile sul piano dei principi generali affermati, e sulla riconducibilità al fenomeno del mobbing delle condotte persecutorie del preside verso il segretario scolastico, la sentenza lo è meno in relazione al tipo di danno esistenziale riscontrato ed al criterio di liquidazione dello stesso.
Quanto al danno esistenziale, infatti, la sentenza afferma testualmente che “aspetti di danno esistenziale, ovvero alla sfera relazionale-sociale, sono evidenti negli esiti dell’intervista psichiatrica, che, in sintesi, hanno messo in luce una condizione di profondo bisogno di ripiegamento su se stesso vissuto come necessario ad incrementare la consapevolezza di sé”: non è chiara del tutto infatti la distinzione tra tale “ripiegamento” ed il danno morale, del pari risarcito dalla sentenza, mentre suscita perplessità la perfetta equiparazione ritenuta in sentenza tra danno esistenziale ed un generico “danno alla sfera relazionale-sociale”, non meglio precisato peraltro nel caso concreto in relazione ai risultati dell’istruttoria processuale.
Invero, la categoria concettuale del danno esistenziale e la sua risarcibilità sono ormai acquisite nella giurisprudenza più recente delle supreme magistrature: infatti, le sentenze delle supreme magistrature (sentenze della Cassazione, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, Corte costituzionale, 11 luglio 2003, n. 233; la Cassazione penale, sentenza 25 novembre 2003-22 gennaio 2004, n. 2050; nonché Corte dei Conti 23 aprile 2003).
Le pronunce hanno chiarito che ciò che rileva, ai fini dell ammissione a risarcimento, in riferimento all art. 2059 c.c., è l ingiusta lesione di un interesse alla persona, dal quale possano conseguire pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. Tuttavia, come rilevato dalla miglior dottrina, il danno esistenziale non ha nulla a che vedere con le lacrime, le sofferenze, i dolori, i patemi d animo: il danno morale è essenzialmente un sentire, il danno esistenziale è piuttosto un non fare, cioè un non poter più fare, un dover agire altrimenti, un relazionarsi diversamente.
A differenza del danno biologico che si identifica nella concreta lesione suscettibile di accertamento medico-legale, da provarsi con riferimento all entità ai fini risarcitori, il danno esistenziale deve essere specificamente provato nei suoi stessi presupposti e può ben sussistere anche in mancanza di una lesione, presentandosi, anzi, come esclusiva ed unica conseguenza del fatto che si assume lesivo.
Le possibili voci riconducibili alla categoria del danno esistenziale sono decisamente ampie, e si incentrano nella lesione della sfera ontologico-esistenziale: la compromissione peggiorativa del danneggiato nella vita di relazione sarebbe però risarcibile non in quanto tale, bensì solo quando sia in grado di incidere in modo significativo sull esplicazione delle normali attività, di per sé legate al regolare svolgimento dei rapporti sociali e delle attività ricreative.
Quanto poi alla liquidazione del danno, per le voci di danno non patrimoniale la sentenza, considerate tutte le specificità del caso (qualità, frequenza e durata delle azioni ostili, posizione occupata dal danneggiato nell’organizzazione dell’Istituto scolastico, età e profilo del danneggiato, risultati dell’analisi delle sue funzioni psichiche) e valutato che la lesione è direttamente proporzionale al trascorrere del tempo, ritiene equo liquidare il danno morale in misura di una frazione del danno biologico, pari a 1/5, per ogni mese di attività mobbizzante, e altrettanto ritiene congruo liquidare per il danno esistenziale.
Nella valutazione liquidativa del danno, in altri termini, si riflette la lacuna della decisione che non enuclea con sufficiente chiarezza e tratti distintivi il danno esistenziale subito in concreto dal ricorrente, sicché poi in sede liquidativa non viene in considerazione la lesione ad un autonomo bene della vita il cui valore sia determinabile con equità, bensì una frazione (pur determinata nella sua misura con riferimento a parametri non retributivi) del danno biologico, che invece ha tutt’altra natura.
In giurisprudenza, quanto al mobbing nel lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, si segnalano tribunale di Trieste 23.12.03, trib. Tempio Pausania 10 luglio 2003, Tribunale di Lecce 23 agosto 2001, Tribunale di Crotone 10 luglio 2001, Trib. Forlì 30.1.03, trib. Pinerolo 6 febbraio 2003, tutte edite in www.lavoroweb.altervista.org.
In dottrina, vanno richiamati: ALBISINNI M. T. e DE LORENZI M., Il mobbing: ipotesi legislative e prime pronunce giurisprudenziali; Alpa G., Il danno biologico: parabola o evoluzione di un progetto di politica del diritto?, in La nuova giur. civile comm., 2000, n. 4, 375; Alpa G., La giurisprudenz ed il fenomeno del mobbing, relazione al convegno Mobbing: dalla molestia alla persecuzione sul luogo di lavoro, organizzato dal Centro studi diritto del lavoro Dominio Napoletano in Genova 3.12.99, in www.izan.simpletnet.com/napoletano/ ; AMATO F., CASCIANO M. V., LAZZERONI L. e LOFFREDO A., Il mobbing - Aspetti lavoristici: nozione, responsabilità, tutele, Giuffrè, Milano, 2002, pag. XVII-178; Amato, Ascesa e declino del danno alla vita di relazione, in Danno e resp., 1996, 715; Anteo, “Mobbing, nuova forma di violenza”, in Milano Finanza – inserto della FD – del 27 aprile 1999; ASCENZI A. e BERGAGIO G. 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(a cura di), Guida valutativa per il danno biologico, Giuffrè, 1996; Bargagna M., Canale M., Consigliere F., Calmieri L., Umani Ronchi G., Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente, Giuffrè Editore, Milano, 1996; Bassino Silvia, Mobbing e spleen, intervista a Maria Grazia Cassitto, in www.unicam.it/ssdici/mobbing/mobb15_00.html; Bentivegna, “Il concetto medico-legale del danno biologico”, in C.G.I.L, ufficio legale, 17 maggio 1998, 18ss.; Benucci Fabio, Il fenomeno del mobbing: preliminari indicazioni nell’ambito della valutazione medico legale, in www.unicam.it/ssdici/mobbing/mobb1_00.html; Bianchi Leonardo, Ammalarsi di lavoro, Edizioni Entropie, 2001; Biasone A., Mobbing. Reagire si può, ecco come fare, in Corriere Lavoro, inserto del Corriere della Sera, 16/10/1998; Boccomino M., Il mobbing tra danno biologico e danno esistenziale, in Braun A. 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