lavoroprevidenza

lunedì 27 giugno 2005

CENNI ALLA NUOVA DISCIPLINA SUL CONTRATTO A TERMINE ALLA LUCE DELLA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA

Approfondimento del dott. Enrico Raimondi



CENNI ALLA NUOVA DISCIPLINA SUL CONTRATTO A TERMINE ALLA LUCE DELLA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA


di


dott. Enrico Raimondi


La nuova normativa sul contratto a tempo determinato, introdotta dal D.lgs. n. 368/2001, impone al datore di lavoro di specificare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano, nel caso concreto, l’apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro.


Quest’obbligo è desumibile da un’interpretazione corretta dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 che, sebbene abbia ampliato le ipotesi che rendono legittimo apporre un termine di durata ad un contratto di lavoro subordinato, non ha messo, tuttavia, in discussione il principio dell’eccezionalità del termine, che, pertanto, deve essere giustificato.


Questa tesi, sostenuta dalla migliore dottrina, trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che “anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001 l’apposizione del termine al rapporto di lavoro subordinato costituisce deroga al principio generale secondo cui detto rapporto, per sua natura, è a tempo determinato” (Cass., sez. lav., 21 maggio 2002, n. 7468. Conf.: Trib.Piacenza, 3 febbraio 2004).


La nuova normativa, infatti, prescrive la forma scritta per la validità dell’atto, anche per quanto attiene alla indicazione delle cause giustificative dell’apposizione del termine di durata ed esse non possono essere definite in modo generico, ma in modo specifico.


Sebbene il livello di specificità richiesto dalla norma non comporti una descrizione molto dettagliata delle esigenze economiche ed organizzative, si ritiene, tuttavia, che non siano sufficienti formulazioni generiche o di stile.


L’orientamento appena ricordato è condiviso dalla giurisprudenza di merito, come si evince dalla pronuncia del Tribunale di Milano del 15 ottobre 2003, secondo cui “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate” le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano l’apposizione stessa del termine.


È evidente che la previsione di specificare nel contratto le causali è giustificata anche dalla necessità, per il giudice, di operare l’eventuale accertamento giudiziale sulla legittimità del termine. La giurisprudenza formatasi sul punto è univoca nel ritenere, infatti, che “anche nel contesto normativo delineato dal d.lgs. n. 368/2001 la legittima apposizione del termine ad un rapporto di lavoro presuppone che il datore di lavoro indichi specificamente le ragioni che la giustificano e, in sede giudiziaria, provi l’effettiva ricorrenza in fatto delle esigenze che legittimano la deroga al principio generale per cui l’ordinario rapporto di lavoro è a tempo indeterminato, nonché il nesso eziologico tra tali esigenze e la stipulazione del singolo contratto a termine” (Trib. Milano, 31 ottobre 2003).


Pare, dunque, pacifico che “le ragioni che stanno alla base della apposizione del termine devono essere infatti indicate contestualmente nel contratto stipulato e devono rispondere a requisiti di oggettività, in modo da essere riscontrabili al momento della assunzione e verificabili anche in seguito” (Trib. Ravenna, 7 ottobre 2003; conf.: Trib. Milano, 13 novembre 2003; Trib. Piacenza, 3 febbraio 2004).


Tale orientamento sembra ormai prevalente tra i giudici di merito se il Tribunale di Frosinone, con sentenza del 9 febbraio 2005, ha potuto affermare che “la sussistenza delle circostanze enunciate dal datore deve essere oggettivamente controllabile e deve essere messa in relazione con la specifica assunzione della quale si tratta” (Trib. Frosinone, 9 febbraio 2005).


Inoltre, l’onere di provare in giudizio la sussistenza degli elementi giustificativi di tale forma di contratto spetterà sicuramente al datore di lavoro (Cass. sez. lav., 14 gennaio 2004, n. 381, Cass. sez. lav., 22 gennaio 2004, n. 995), il quale non potrebbe addurre con successo che tali elementi essenziali, pur non essendo specificate per iscritto nel contratto, potevano essere presunte o erano conosciute dal lavoratore al momento della conclusione del contratto di lavoro.


Questa eventualità, infatti, non solo contrasterebbe con quanto è previsto dalla legge, ma comunque non sarebbe idonea ad esimere il datore di lavoro a provare non soltanto la conoscenza delle esigenze economiche e produttive da parte del lavoratore, ma, soprattutto, il nesso causale tra tali esigenze e l’assunzione a termine effettuata. Sul punto, si segnala una sentenza della Corte d’Appello di Milano che, ritenuto fatto notorio l’aumento dell’attività di un’azienda, nella fattispecie le Poste s.p.a., nel periodo compreso tra dicembre e gennaio, ha sostenuto che in caso di contestazione “grava sul datore di lavoro l’onere della prova sia in ordine all’aumento e alla stagionalità dell’attività, sia in ordine al nesso causale tra il numero di assunzioni a termine e il dedotto aumento dell’attività” (App. Milano, 9 dicembre 2003).


Non v’è dubbio, pertanto, che la mancata specificazione per iscritto delle ragioni giustificative del termine comportano la nullità dell’apposizione di tale elemento e la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, per effetto dell’applicazione dell’art. 1419 secondo comma (Trib. Arezzo, 14 giugno 2002). Le tesi contrarie, pur sostenute da parte della dottrina, non trovano riscontro nella giurisprudenza che, fino a questo momento, ha ritenuto che “nel caso di apposizione del termine al di fuori dei casi consentiti dal d.lgs. n. 368/2001 il contratto deve essere considerato a tempo indeterminato” (App. Milano, 9 dicembre 2003), dalla data di scadenza del primo contratto a termine (Trib. Modena, 14 giugno 2004).


Per concludere sul punto, pare opportuno citare, per la sua estrema chiarezza, la sentenza di un giudice di merito che ha ritenuto che “quanto agli effetti della declaratoria di tale nullità … deve ritenersi che la clausola oppositiva del termine sia sostituita di diritto dalla norma imperativa che prevede la normale durata a tempo indeterminato del rapporto, asi sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c.. Pertanto il rapporto di lavoro del ricorrente deve intendersi sorto fin dall’inizio come a tempo indeterminato” Trib. Frosinone, 9 febbraio 2005).






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