LA DONNA E LE PARI OPPORTUNITA’ NEL MONDO DEL LAVORO
Dott.ssa Giuseppina Rosaria Aliberti (Ingegnere)
1. Introduzione
La donna italiana è un pianeta in piena evoluzione e crescita. Rappresenta oggi la componente più dinamica della società, quella che sta modificando con più rapidità le proprie coordinate sociali, culturali ed economiche, influenzando in misura determinante lo sviluppo del sistema Italiano. Spesso si parla delle donne solo come soggetto, oggi attivo e forte, di rivendicazioni, e come vittima di discriminazioni che tutt’ora persistono in alcuni passaggi sociali. Questo tipo di approccio, che ha pe-raltro molte giustificazioni legate ai singoli eventi dell’attualità, rischia sovente di far perdere di vista la complessità di una realtà femminile che non è statica, ma in rapidissimo cambiamento, non un fotogramma femminile ma una immagine in movimento. Questa lettura di prospettiva, passata ma anche futura, consente di raccontare una donna che è sempre più protagonista della realtà sociale, culturale ed economica del nostro paese. Una donna attiva che non nasconde i problemi ancora aperti ma che guarda al domani con fiducia.
Ne emerge un quadro interessantissimo perché consente non solo di vedere le problematiche odierne ed i “soffitti di cristallo” che restano da infrangere ma anche di valutare quanto è stato fatto, da dove siamo partite, ed i trend che si stanno affermando. Una donna che lavora di più, e che utilizza sempre più le forme di la-voro più moderne e flessibili; una donna che investe di più in cultura ed in formazione; una donna che cerca di conciliare famiglia e lavoro; una donna per la quale la terza età si avvia a diventare una fase di vita sempre più attiva, sempre più culturalmente vivace.
2. Confronto tra la condizione delle donne nel passato e nel presente
Le donne sono state per decenni, insieme ad anziani e bambini, soggetti invisibili nel mondo del lavoro. In passato le donne cominciavano a lavorare in giovane età, avevano minori aspirazioni, un livello di istruzione più basso rispetto a quello degli uomini e il lavoro era vissuto per lo più come una esperienza transitoria.
Oggi ci si avvicina al mondo del lavoro in età più avanzata, con un livello di istruzione elevato, con aspettative certamente più alte e con l’intenzione di non abbandonare il lavoro prima di aver maturato la pensione. Emergono pertanto nuove soggettività femminili, in tutte le età, anche nell’età anziana. L’universo femminile è divenuto col passare degli anni fortemente eterogeneo e dinamico: le donne investono di più in cultura rispetto agli uomini, riescono meglio negli studi, danno maggiore rilievo al lavoro rispetto al passato, rivestono una molteplicità di ruoli nelle diverse fasi della vita, presentano percorsi di vita più complessi e frastagliati.
Un intreccio di trasformazioni, aspirazioni e comportamenti che ridefinisce le loro traiettorie biografiche (formative, lavorative, affettive, coniugali), modificando ampiezza e contenuti delle diverse fasi del ciclo di vita individuale e familiare. Grazie alla lunga marcia nel campo dell’istruzione che le ha portate da una situazione di totale svantaggio al sorpasso in tutti gli ordini di studi, e dopo essere entrate con determinazione in corsi tradizionalmente maschili, le donne si affermano anche nel campo culturale e delle nuove tecnologie. Infatti, le ragazze fruendo di cultura più dei ragazzi, hanno azzerato nel giro di poco tempo lo svantaggio femminile nel campo delle nuove tecnologie (terreno tradizionalmente maschile). Il lavoro, divenuto sempre più un aspetto importante dell’identità femminile, ha visto cresce il numero delle donne occupate, il loro coinvolgimento in tutti i tipi di lavoro (compresi i turni, il lavoro notturno, il lavoro serale e domenicale), migliorando in tal modo la posizione lavorativa.
Si evidenzia tuttavia il permanere di alcune aree di criticità:
· nella transizione scuola-lavoro le donne trovano lavoro più tardi, sono peggio retribuite e continuano ad essere meno soddisfatte del tipo di lavoro trovato;
· nelle barriere di accesso al mercato del lavoro con particolare riferimento ai carichi di lavoro familiare;
· nelle interruzioni del lavoro in concomitanza della nascita dei figli;
· nelle forti difficoltà di accesso ai ruoli decisionali alti;
· nella situazione socio-economica svantaggiata delle donne anziane.
3. Le donne nel mondo del lavoro e nella famiglia
Il crescente investimento femminile in istruzione va di pari passo con la capacità di instaurare un rapporto di coppia in cui le donne hanno più spazio per stabilire insieme al partner regole di condotta, negoziare diritti e doveri, suddividersi spazi e tempi di azione. In molti ambiti della vita familiare le donne sono protagoniste dei processi decisionali in misura pari a quella dell’uomo e ciò connota i rapporti di coppia in misura crescente tra le generazioni più giovani. Basti pensare che, la stragrande maggioranza delle donne con meno di 34 anni ritiene di avere lo stesso peso del coniuge nella scelta delle persone da frequentare, su cosa fare nel tempo libero e dove andare in vacanza, su quanto spendere per gli svaghi e su come educare i figli.
Al crescere del titolo di studio aumenta quindi la condivisione delle decisioni familiari, e ciò sottolinea l’importanza dell’investimento in istruzione nel ridefinire il ruolo delle donne all’interno della coppia. Del resto, la crescente presenza femminile nel mercato del lavoro non è stata accompagnata da un adeguato riequilibrio dei ruoli
familiari, anche se i padri più giovani, soprattutto quando hanno un elevato livello di istruzione, mostrano segnali di un maggiore coinvolgimento nel lavoro di cura.
Infatti l’occupazione femminile cresce ma in un contesto di forte sovraccarico di lavoro sulle donne. Il lavoro familiare rimane ancora essenzialmente attribuito alla responsabilità femminile, indipendentemente dalla presenza di un impegno extra-domestico, più o meno esigente in termini emozionali e di tempo. Le donne che ricoprono contemporaneamente i ruoli di lavoratrice, moglie e madre accumulano un consistente ammontare di lavoro giornaliero. Se si considera il lavoro di cura e il lavoro extradomestico, il 52,4 per cento delle donne occupate con bimbi con meno di 5 anni dichiara di lavorare complessivamente 60 ore o più a settimana. La scarsa condivisione del lavoro familiare tra i partner e il forte schiacciamento del tempo per sé che ne deriva per le donne fa si che la maggioranza delle lavoratrici con figli fino a 13 anni sia insoddisfatta del tempo libero.
E’ così che spesso l’utilizzo del part-time diventa una possibile soluzione per ‘liberare tempo, ma mentre le single che utilizzano il part-time riescono a liberare tempo per sé, guadagnando spazio per tempo libero nel pomeriggio, ciò non succede per le donne in coppia con figli fino a 13 anni: il tempo liberato dal lavoro serve per conciliare lavoro e famiglia e non per recuperare tempo per sé. Ma a volte il part-time non è sufficiente e l’organizzazione della vita familiare è tale che c’è bisogno di ricorrere all’aiuto di qualcuno nel lavoro di cura.
Il carico complessivo sulle donne lavoratrici è analogo per le impiegate, le operaie, le dirigenti o le imprenditrici, e anche per le madri lavoratrici con figli più grandi.
I padri più collaborativi sono gli impiegati, quelli meno coinvolti sono, invece, i lavoratori in proprio e gli operai. I carichi legati ad un ancora asimmetrica divisione del lavoro familiare concorrono a determinare un quadro di generale difficoltà nella conciliazione tra il lavoro extra-domestico e quello familiare, cui si affiancano le carenze nell offerta dei servizi all’infanzia.
4. Disparità tra i sessi nel mondo del lavoro
I brillanti successi registrati nello studio e nella fruizione culturale non vengono adeguatamente ricompensati nel momento in cui le donne accedono al mondo del lavoro; o meglio servono alle donne per superare più facilmente barriere all’ingresso ma non per trovare un lavoro adeguato al titolo di studio raggiunto perlomeno all’inizio della vita lavorativa.
A tre anni dal conseguimento del diploma o della laurea le donne risultano essere svantaggiate rispetto al lavoro quale che sia il titolo di studio posseduto: le diplomate che lavorano sono il 52,7 per cento contro il 58,7 per cento dei maschi, le laureate il 69 per cento contro il 79 per cento dei maschi. Lo svantaggio femminile cresce nel Mezzogiorno, solo il 40 per cento delle diplomate e il 53,7 per cento delle laureate a tre anni dal titolo di studio ha un lavoro contro il 54,8 per cento dei diplomati e il 69,2 per cento dei laureati.
Nelle altre zone lo svantaggio è minore e nel Nord le diplomate presentano un tasso di occupazione più elevato dei diplomati (67,2 per cento contro 64,3 per cento). Inoltre il livello di occupazione femminile cresce accentuando una struttura diversa da quella maschile. Le donne sono più “impiegate“ degli uomini (45 per cento contro 24,9 per cento ) e meno operaie. è migliorata la posizione professionale delle donne perché aumentano le imprenditrici, le dirigenti e le occupate con posizione di direttivo o quadro mentre diminuiscono le lavoratrici in proprio e le coadiuvanti familiari. Il numero delle libere professioniste è più che raddoppiato, tuttavia la presenza delle donne nei luoghi decisionali alti, nonostante la dinamica segnalata, presenta ancora forti criticità.
5. Norme per la tutela del lavoro femminile
L’attuale sistema normativo in materia di parità e pari opportunità tra uomini e donne testimonia, con sempre maggiore evidenza, un fondamentale mutamento di prospettiva verificatosi negli ultimi decenni nella considerazione delle problematiche femminili. In particolare, da una concezione della tutela delle donne orientata alla predisposizione di interventi, per lo più settoriali, di protezione ovvero di rimozione degli ostacoli giuridici alla piena affermazione del principio di eguaglianza formale tra i sessi – solennemente sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione – si è ormai definitivamente passati ad un’ottica di promozione della piena ed effettiva partecipazione delle donne alla vita politica, sociale ed economica necessaria alla compiuta affermazione dell’identità di genere e alla valorizzazione della specificità femminile.
In altri termini, acquisita ormai l’eliminazione dei dispositivi formali di discriminazione tra i sessi, gli interventi normativi si sono progressivamente e prevalentemente indirizzati a favorire le condizioni più idonee alla realizzazione sostanziale e concreta delle pari opportunità. Infatti si assiste al prevalere di una produzione normativa informata alla logica dell’incentivazione di “azioni positive” su quella, più tradizionale, diretta alla mera rimozione/attenuazione di divieti e limiti.
Le norme di seguito considerate, integrano e contribuiscono a rendere possibile l’attuazione di quel sistema di garanzie e di tutele giuridiche su cui si è sin qui fondata l’affermazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione tra i sessi.
Tra i settori tradizionalmente più interessati dall’evoluzione normativa in materia di pari opportunità vi è il lavoro, inteso come dimensione infungibile della piena ed attiva partecipazione delle donne alla vita economica e sociale. In tale ambito, infatti, più che in altri, risulta evidente il passaggio dalle forme di tutela formale ed astratta – caratterizzanti la prima fase dell’affermazione dell’identità e dei diritti di genere nel novecento– a forme di tutela specificatamente mirate alla concreta rimozione delle disuguaglianze di fatto.
Storicamente, il compiersi di tale passaggio può essere collocato negli anni settanta del secolo scorso allorquando il tessuto normativo –sino ad allora costituito da provvedimenti di carattere prevalentemente e meramente protettivo– si arricchisce di importanti leggi di riforma le quali, finalmente, iniziano a considerare le problematiche sociali della condizione lavorativa femminile nella loro dimensione concreta e nella loro specifica complessità.
Ci si riferisce, in primo luogo, alle leggi nn. 1204 e 1044 del 1971, rispettivamente in materia di asili nido e tutela delle lavoratrici madri. Ad esse seguirà, a sei anni di distanza, la legge n. 903/1977 (“Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”) direttamente rivolta ad assicurare la pari dignità delle lavoratrici e la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai lavoratori di sesso maschile, da ottenersi (anche) attraverso un riequilibrio dei ruoli all’interno della famiglia. Nello stesso periodo sono databili gli interventi delle istituzioni comunitarie finalizzati allo svolgimento del principio di uguaglianza tra uomini e donne nel settore lavorativo, già implicitamente previsto nel Trattato di Roma 5 .
Si tratta:
– della direttiva 9 febbraio 1976, n. 207 relativa alla parità di accesso al lavoro, alla formazione e alle promozioni professionali da realizzarsi mediante l’eliminazione delle discriminazioni fondate, direttamente o indirettamente, sul sesso;
– della direttiva 19 dicembre 1978, n. 7 relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale.
Più recentemente veniva emanata la direttiva del Consiglio 11 dicembre 1986, n. 613 che, da un lato, ha esteso le forme di tutela già previste per le lavoratrici subordinate a quelle che esercitano attività autonoma o di lavoro agricolo; dall’altro, ha previsto specifiche misure in tema di tutela della maternità.
Per quanto riguarda poi il ruolo che la donna occupa all’interno della famiglia, è proprio la progressiva centralità assunta dalle tematiche della conciliazione lavoro-famiglia a rappresentare con evidenza il segnalato mutamento di approccio legislativo in materia di tutela del lavoro femminile e a sancire la definitiva affermazione di un’ottica di genere nella rivisitazione degli assetti complessivi del sistema di welfare.
All’inizio degli anni novanta il concetto di “conciliazione” tra lavoro e famiglia viene introdotto nei documenti e nella normativa dell’Unione europea con la predisposizione di raccomandazioni (92/241/CEE) e direttive (92/85 CEE e 96/94 CEE) le quali muovono dall’assunto che il problema della conciliazione lavoro-famiglia non riguarda soltanto le donne, come ritenuto in passato, ma tutti i lavoratori.
Conseguentemente, gli Stati membri dell’Unione vengono invitati (e/o vincolati) all’adozione di provvedimenti legislativi ed amministrativi diretti a promuovere una crescente condivisione delle responsabilità familiari tra i sessi anche al fine di agevolare l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro e la loro crescita professionale. L’obiettivo di un’equa partecipazione delle donne ad una strategia di crescita economica orientata verso l’aumento dell’occupazione nell’Unione europea deve essere perseguita – secondo la Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli stati membri del 6 dicembre 1994 – attraverso il miglioramento dell’organizzazione dell’orario di lavoro, l’agevolazione all’inserimento e al reinserimento delle donne nel mercato del lavoro, una maggiore partecipazione degli
uomini alla vita familiare.
In Italia, il primo atto legislativo espressamente rivolto allo sviluppo di politiche di conciliazione è la legge n. 285/1997 (“Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l adolescenza”), che prevede interventi a livello centrale e locale per promuovere la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell infanzia e dell adolescenza privilegiando l ambiente ad esse più confacente, vale a dire la famiglia (naturale, affidataria, adot-tiva).
Ma i principi della conciliazione emergono definitivamente e in maniera netta nella legge n. 53/2000 (“Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”) in cui appare ormai acquisita la scelta di politica legislativa tendente a favorire concretamente la condivisione di compiti e responsabilità tra i coniugi nella cura dei figli e nella gestione degli impegni familiari, nonché il rapido reinserimento della donna nell’ambiente di lavoro a seguito della maternità.
Rilevante, sotto tale profilo, è la specifica disciplina che la legge da ultimo citata introduce in materia di “congedi parentali”, in quanto, da un lato, amplia la portata dei diritti di astensione dal lavoro finalizzata alla cura dei figli 6 , dall’altro ne estende (ed incentiva) la possibilità di fruizione da parte del padre 7 .
Inoltre, la normativa in discorso punta ad un complessivo riassetto della relazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, garantendo periodi di astensione dal lavoro per motivi di assistenza ai disabili, per decesso e grave infermità del coniuge o dei parenti entro il secondo grado e per la formazione culturale e professionale dei/delle lavoratori/lavoratrici.
Per quanto riguarda in particolare quest’ultimo aspetto va rilevato come l’introduzione del congedo non retribuito per la formazione, finalizzato al completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, della laurea oppure alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro, costituisca un utile strumento per il conseguimento delle pari opportunità nello sviluppo professionale: esso infatti è diretto a favorire quanti (uomini, ma soprattutto donne) erano sinora costretti a sottrarre allo studio e alla formazione il tempo necessario al lavoro e agli impegni familiari.
Per effetto della progressiva assimilazione tra pubblico impiego e lavoro privato operata a partire dal d.lgs n. 29/93 si tende, ormai, ad uniformare sostanzialmente gli istituti di tutela del lavoro femminile e di promozione delle pari opportunità sia nel lavoro alle dipendenze dei privati che in quello alle dipendenze della pubblica amministrazione. A livello nazionale il tema del lavoro costituisce il primo (e tuttora,
principale) settore di intervento in materia di promozione di azioni positive.
Se ne occupa la legge n. 125/1991 (Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro) espressamente rivolta a “favorire l occupazione femminile e realizzare, l uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro, anche mediante l adozione di misure, denominate azioni positive per le donne, al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità”
(art.1).
Le azioni positive hanno in particolare lo scopo di:
– eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella formazione scolastica e professionale, nell accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
– favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione; favorire l accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
– superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
– promuovere l inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
– favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi.
6. Le donne: un universo di emozioni
In queste pagine è stato ampiamente spiegato il ruolo della donna nell’attuale società, le sue difficoltà per inserirsi nel mondo del lavoro ed una volta raggiunta questa meta, le difficoltà alle quali è sottoposta nel momento in cui decide di farsi una famiglia. Si è cercato di trovare una soluzione a tutti i “se” ed i “ma” che hanno visto protagonista la donna delle più assurde ed ingiuste vicende lavorative e familiari, a tal punto che finalmente è intervenuta la legge per darci un po’ di respiro.
Le aziende, sia pubbliche che private, si dicono disposte ad assumere “le donne” e ad impegnarsi nei loro confronti con azioni positive che possano farle sentire alla pari con gli uomini che, in Italia, rappresentano il sesso forte per eccellenza. Tuttavia, anche se le cose stanno cambiando per le donne, il modo di concepire il loro processo evolutivo è molto lento. Ancora oggi soprattutto nei piccoli paesini, ci sono esempi di quella drammaturgia borghese che i lavori letterari di Cechov e Pirandello evidenziarono già ai loro tempi: una insanabile frattura fra gli autentici valori della vita e le norme comportamentali imposte dalle società.
La mediocrità di molti datori di lavoro, l’ipocrisia dei colleghi, l’egoismo di alcuni coniugi, non sono altro che il simbolo manifesto delle oggettive carenze di un istituto legislativo inserito in un contesto sociale dominato dalla corsa sfrenata al denaro, al lavoro, all’ansia di affermazione che schiaccia i soggetti più deboli, rendendo superficiali i rapporti interpersonali e che finisce sovente con l’inghiottire l’universo interiore delle persone più sensibili, paralizzando desideri, ambizioni, sentimenti, impedendo la realizzazione del sé, di quella spiritualità che è il senso ultimo di ognuno.