LA TRADUZIONE DEGLI ATTI
DIRITTO DELL’IMPUTATO STRANIERO”
di Mario Pavone **
Le pagine dei giornali, le televisioni, le radio di tutta l’Europa hanno riportato negli ultimi anni le vicende del Popolo Albanese.
La Puglia ha dovuto affrontare dal 1991 in poi il problema dei profughi albanesi, prima, e, negli anni successivi.quello dei profughi del Kosovo, del Kurdistan cui si aggiungono ogni giorno gli emigranti Cinesi, Indiani, Pakistani, Magrebini e d’altri Paesi dell’Est che raggiungono l Europa per trovare lavoro e benessere.
Le organizzazioni criminali albanesi traggono ormai lauti profitti traghettando di notte nell Adriatico -e cercando di sfuggire alla Polizia - le migliaia di cittadini di vane nazionalità che partendo dai Paesi d’origine tentano di raggiungere ogni giorno dalla Puglia le zone industriali dell’Europa settentrionale in cerca di lavoro.
Qualche volta gli scafisti albanesi sono intercettati ed arrestati accrescendo la già numerosa popolazione carceraria straniera detenuta nelle Carceri italiane ed in costante aumento negli ultimi anni (1) anche in termini percentuali 2) e che genera ulteriori problemi gestionali connessi all aumento dei detenuti (3).
Il fenomeno assume particolare rilievo, peraltro, con riferimento agli episodi di micro-criminalità, sempre più diffusi attribuibili alle organizzazioni criminali che, provenendo dai Paesi extra-comunitari, hanno assunto un ruolo dominante nel panorama della criminalità organizzata che affligge in generale tutti i Paesi Occidentali e che genera nuovi problemi al Legislatore chiamato ad adeguare la normativa vigente alle mutate condizioni sociali.
Uno dei problemi posti al Legislatore italiano da tale situazione è costituito dal riconoscimento agli imputati stranieri dei diritti sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell Uomo e delle libertà fondamentali e più in generale dall Ordinamento Giudiziario con particolare riguardo all art.143 del Codice di Procedura penale che disciplina la traduzione degli atti in relazione all’art. 109 (lingua degli atti) ed art.l69(notifica degli atti all imputato straniero).
L art.143, 2 comma.CPP impone, infatti, al Giudice procedente la nomina di un interprete e la traduzione degli atti nella lingua dell imputato straniero al fine di comprendere l accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa mentre l art.109, 2 comma CPP prescrive la traduzione degli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta.
L’inosservanza di tali disposizioni è stabilita a pena di nullità assoluta ai sensi degli artt.177,178,179 CPP per violazione del diritto di difesa costituzionalmente sancito atteso che concerne l assistenza dell imputato incapace di comprendere la lingua e le accuse formulate nei suoi confronti.
L art.109, 2 comma CPP., inoltre, fa espresso rinvio alle norme previste da leggi speciali e dalle Convenzioni Internazionali con la conseguenza che trova applicazione nel caso di specie l art.6 lett. A) ed E) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo, recepita dall’Ordinamento dello Stato con la Legge 4/8/1955 n.848.
Infine l art.169, terzo comma, CPP impone la notifica degli atti nella lingua dello straniero
La violazione dell art.143 in relazione all art.l09 CPP comporta la nullità assoluta (e non relativa come sostenuto da alcuni Tribunali) degli atti compiuti ovvero indirizzati all imputato alloglotta laddove sii stessi non risultino tradotti nella madrelingua dello stesso.
Sul punto la Corte di Cassazione ha sancito che "in materia di diritto di difesa, l interpretazione dell art. 143 CPP conforme ai principi costituzionali (art.24 Cost.) ed alle Convenzioni internazionali sottoscritte dall Italia, impone che si proceda all’immediata nomina dell interprete o dei traduttore allorché si verifichi la circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell imputato tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall’Autorità procedente. E ciò vale anche in fase d’indagini preliminari sia per l effetto dell estensione all indagato di tutte le garanzie assicurate all imputato (art.61 CPP) sia per effetto del riferimento esplicito contenuto nello stesso art. 143 alla nomina dell interprete in relazione alle attività processuali del Giudice così come alle attività del P.M. o dell ufficiale di PG, come peraltro statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 10 del 12 /1 / 1993 "(4)
Infatti, secondo la Suprema Corte "lo straniero ha il diritto di farsi assistere gratuitamente da fin interprete al fine di comprendere l esatto significato dell accusa formulata nei suoi confronti e di conoscere le facoltà che l ordinamento processuale gli riconosce per contrastare l accusa stessa(5).
In conseguenza, "la violazione dell art. 143, CPP, risolvendosi in una menomazione del diritto di difesa concreti la nullità generale prevista dall art. 178, lett. e) CPP per violazione delle disposizioni concernenti l assistenza dell imputato". (7)
Inoltre la Cassazione ha sancito che "l art. 143 CPP va applicato ogni volta che l imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati sia scritti che orali. Ne consegue che la titolazione di tale diritto integra una nullità assoluta, insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento"(8).
Tale principio scaturisce, altresì, dalla lettura dell art.169 CPP e dall art. 63 Disp. Att. CPP che concernono le formalità per la notificazione degli atti ad imputato straniero (comma tre), atteso che "l’art.143 CPP estende all imputato straniero, che abbia bisogno della traduzione nella lingua a lui nota degli atti scritti del processo le garanzie previste dall art. 109 comma due CPP per l imputato italiano appartenente ad una minoranza linguistica" (9)
La Suprema Corte ha inoltre stabilito che "tali garanzie si estendono, in conformità della lettura fornita dalla Corte Costituzionale con sentenza n.10 del 19/1/1993, a tutti gli atti indirizzati all imputato alloglotta dei quali occorre assicurare la traduzione nella lingua a lui nota in compreso l ordine d’esecuzione ai sensi dell art.656 CPP
Di recente la Corte di Cassazione, sul punto è pervenuta persino a sancire la "inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie non tradotte contenute nel verbale di denuncia prestata dal cittadino straniero" (11)
I giudici di legittimità,.peraltro,si sono uniformati a quanto la Corte Costituzionale aveva chiarito in sede interpretativa affermando che "il diritto sancito dall art. 143 rientra nell ambito delle garanzie inviolabili della difesa individuando nella nonna mia sorta d clausola generale m quanto lo stranero non a conoscenza della nostra lingua dei» partecipare al processo senza subire ingiuste limitazioni connesse alla sua posizione linguistica e quindi non subire passivamente il processo a suo canea e di poter invece rendere pienamente conto degli addebiti mossi" e che "la mancanza di un espresso obbligo di traduzione nella lingua nota all imputato straniero sia dei decreto di citazione... non può impedire la piena espansione della garanzia assicurata dall art. 143, comma uno,in conformità a diritti dell imputato riconosciuti dalle Convenzioni Internazionali ratificate dall Italia e dall art.24,comma due della Costituzione"(12)
La Corte costituzionale ha inteso cosi impedire una lettura induttiva della norma dell art.143 non conforme all’adesione prestata alle Convenzioni Internazionali da parte dello Stato assicurando tutte le garanzie processuali dalle stesse previste.
D altra parte l’art.5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo,fa esclusivo riferimento alla figura dell arrestato,prevedendo che questi abbia diritto ad essere informato nella lingua da lui conosciuta delle ragioni dell arresto mentre l art.3, lett.a) della stessa Convenzione attribuisce all imputato straniero il diritto ad essere edotto nella madrelingua circa la natura e la causa dell accusa.
Analoga impostazione peraltro e ribadita dall art.14, n.3 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall ONU il 16/12/1966 e ratificato m Italia con la L.25/10/1977 n.881.
Ne è riprova quanto sanato dall art.5 del DL 30/12/1989 n.416, convertito nella Legge 28/2/1990 n.39,che impone l obbligo di traduzione degli atti d’espulsione da comunicare e/o notificare allo interessato come pure l’art.1 del Protocollo n.7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali, concernente l’estensione della lista dei diritti civili e politici,adottato a Strasburgo il 22/11/1984 e recepito dall Ordinamento interno italiano con L.9/4/1990n.98.
In definitiva, secondo la Corte Costituzionale e la Suprema Corte,una corretta applicazione dell art.143 CPP impone l adozione delle salvaguardie ivi previste per assicurare m concreto l esercizio del diritto di difesa dell indagato straniero non già per eccesso di formalismo ma in conformità ai principi anche di valenza internazionale cui l Ordinamento deve uniformarsi (13)
In relazione a questa tematica va ricordato che la stessa Corte Europea dei Diritti dell Uomo è giunta a pronunciarsi sfavorevolmente nei confronti del nostro Paese a causa del mancato rispetto delle esigenze di comprensione linguistica(14) atteso che la mancata traduzione degli atti contribuisce a vanificare ogni possibilità di consapevole partecipazione al procedimento dell imputato al fine di contrastare efficacemente le tesi accusatone(15)
Va aggiunto,infine,che con l art.2 della Legge delega al nuovo CPP il Legislatore aveva stabilito l adeguamento del Codice di Rito "alle norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall Italia e relative ai diritti della persona ed al processo penale".
In tal modo,con riferimento alle esigenze di tutela linguistica risulta ora richiamabile il disposto dell art.76 Cost. accanto a quelli dell artl.3,comma uno della Costituzione,volto a tutelare il principio d’eguaglianza di fronte alla Legge e dell art 10, comma due della Costituzione,che nel prevedere la regolamentazione per legge della condizione giuridica dello straniero impone che tale regolamentazione sia effettuata in conformità delle norme e dei trattati internazionali(16)
L art.143 CPP,nella corretta interpretazione,svolge la funzione di raccordo con il dettato delle Convenzioni internazionali dandone pratica attuazione con la conseguenza che l assistenza dell interprete deve riguardare non solo gli atti orali ma anche quelli scritti,onde rendere l imputato edotto degli addebiti formulati nei suoi confronti e quindi della contestazione dell accusa nonché dei vari atti che gli siano notificati nel corso del giudizio (17)
Come ricordato,il diritto all assistenza dell interprete norma dell art.l43,si estende alla fase delle indagini preliminari ai sensi dell art.61,1 comma CPP.
La violazione di tale norma comporta la nullità assoluta ai sensi dell ari. 178, lett. c,CPP traducendosi in un’inosservanza delle disposizioni concernenti l assistenza a tale soggetto (18),mentre va ravvisata una nullità assoluta ex art.179 CPP della omessa traduzione del decreto di citazione equiparabile alla omessa citazione dell imputato.
La giurisprudenza della Suprema Corte si è adeguata all insegnamento costituzionale estendendo l obbligo di traduzione anche agli atti notificati all imputato straniero ai sensi dell art.169,comma tre CPP,che va interpretato in conseguenza,anche m relazione all art.63,norme att. CPP.come obbligo di notifica dell atto nella "lingua ufficiale dello Stato in cui l imputato risulta essere nato"(19)(20).
Soggiace a tale principio l Ordinanza d’applicazione di misura cautelare emessa dal GIP qualora sia notificata allo straniero indagato senza l’allegata versione nella lingua dello stesso.
Sul punto menta attenta considerazione l art.23 della L.8/5/1995 n.332 che ha introdotto l art.92, comma 1-bis,delle norme d’attuazione del CPP in base al quale il Direttore del Carcere deve accertare anche con l ausilio di un interprete che l interessato abbia una precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia garantendo in tal modo il rispetto dell art.5,comma due della Convenzione Europea dei diritti dell uomo.
Ma l’eccepita nullità si estende anche allo stesso Decreto di citazione a giudizio dinanzi al GIP come pure ai successivi atti consequenziali relativi al dibattimento ed alla stessa sentenza di condanna oggetto d’impugnazione atteso che gli stessi sono viziati dalla medesima nullità d’ordine generale ovvero da nullità relativa ritualmente eccepita.
In definitiva si è in presenza da parte d’alcuni Giudici della "violazione e falsa applicazione dell art.5,comma due ed art.6, lett. a) ed e) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo. Ratificata con L.4/8/1955 n.848,la violazione dell art.14 n.3 lett. a) ed f) del Patto Internazionale dir. civ. pol. ed infine la violazione dell ari 10,comma 2 e 24,comma 2 Cost. con la conseguente nullità del procedimento".
La norma dell art.5 della Convenzione,cui fa implicito riferimento l art.109 CPP,prescrive infatti che "ogni persona arrestata deve essere informata ne! più breve tempo ed m una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell arresto e degli addebiti contestati".
Il successivo art.6, lett. a) prescrive il diritto dell accusato "ad essere informato nel più breve tempo ed in una lingua che comprendere ed in maniera dettagliata del contenuto dell accusa elevata contro di lui",mentre la stessa norma, lette) stabilisce il diritto dell accusato "di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza".
L art.l0,comma due della Costituzione stabilisce sul punto che "la condizione giuridica dello straniero e regolata dalla Legge conformità delle norme e dei trattati internazionali”.
In conseguenza, art.2 della Legge Delega al nuovo Codice di Procedura Penale si è adeguato a tali norme dettando i principi ispiratori del trattamento dell imputato straniero improntati al aspetto delle Convenzioni e dei Trattati internazionali sottoscritti dall Italia.
L art.143 CPP che ha introdotto nella legislazione processualistica penale la "traduzione degli atti" rappresenta per il Legislatore lo strumento finalizzato a superare uno stato in incomunicabilità linguistica processuale comprensivo sia della interpretazione orale sia della traduzione scritta dei documenti processuali concernenti l’accusa rivolta all’imputato straniero(21).
Non vi è margine,quindi,per un’interpretazione difforme ovvero riduttiva della normativa vigente da parte dei Giudici italiani investiti del problema nel rispetto dei diritti dell’imputato straniero sancito dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dai Trattati internazionali sottoscritti e recepiti dall’Ordinamento italiano.
Ostuni lì, Ottobre 2002
** Avvocato
Patrocinante in Cassazione
NOTE
(1)v. Tab.1 -detenuti stranieri anni 1981-1996
(2) v.Tab.2-percentuale detenuti stranieri 1981-1996
(3) v.Tab.3- detenuti 1959-1995
(4)v.Cass.Sez.VI,sent.n.9450 del 19/10/1993,Bangula; cfr Cass.Sez.I sent.n.2228 del 30/5/1995,Polisi
(5)v. Cass.Sez.V sent. n.1310 del 22/6/1995, Alagra
(6)v. Cass.Sez.I sent.n.2228 del 30/5/1995, Polisi
(7)v. Cass.Sez.IV sent.n.3174 del 6/4/1993-Kamel
(8)v. Cass.Sez.VI sent.n.293 del 14/10/1994, Chief Mbolou
(9)v. Cass.Sez.III sent.n.3169 del 18/ll/94, Molina
(lO)v. Cass.Sez.VI sent.n.843 del 27/5/1995, Tounsi
(11)v. Cass.Sez.III sent.n.1061 del 4/12/1996, Amitoino
(12)v.Corte Costituzionale sent.n.10/1993
(13)v. Rivello, Trattato di Procedura Penale, Giuffrè, pag.230
(14)v. C.E. sent.l9/12/1989, Brozicek
(I5)v. Giostra.Il diritto dell imputato straniero all interprete, 1978, pag.438.
(16)v. Rivello, op. cit., pag.232
(17)v. C.E. sent.19/12/1989,Kamaninski
(18)v. Cass.SezVII, sent.27/11/92, Kamel
(19)v. Cass.l3/12/1993,Chief Mbolou;Cass.2/7/1993,Bangula
(20)v. Rivello, op. cit.,pag.253;Lattaiizi Lupo-Cod.Proc.pen.,Giuffrè,1997,pag.228 e ss
(21)v. Chiavario ,La normativa degli atti del procedimento,in Comm.al nuovo
CPP ,UTET,1990,pagg.10 e ss
Cassazione – Sezioni unite penali (cc) –
24 settembre 2003-9 febbraio 2004, n. 5052
La questione che l’ordinanza di rimessione ha sottoposto all’esame delle Su è «se l’ordinanza che dispone una misura cautelare nei confronti di uno straniero che non conosca la lingua italiana debba essere tradotta, a pena di nullità, in una lingua a lui nota».
Il secondo motivo del ricorso impone, peraltro, di soffermarsi anche sulla questione, risolta in termini contrastanti dalla giurisprudenza di questa Suprema corte, «se l’inosservanza della disposizione dell’articolo 26, comma 2, legge 63/2001 determini, anche in sede cautelare, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese nell’interrogatorio disciplinato dall’articolo 64 Cpp, da persone il cui esame non sia stato rinnovato».
1. L’ordinanza di rimessione, nel riportare le massime di alcune delle sentenze che ritengono che l’ordinanza di custodia cautelare non debba essere tradotta, dopo avere richiamato Cassazione, 2128/99, Pm in proc. Metuschi ed altri, rv 213523, citata dalle due ordinanze del Tribunale del riesame, trascrive le massime tratte da altre sentenze (Cassazione,17829/02, Essid, rv 221442; 3759/00, Ilir, rv 216284), le quali giustificano la non necessità della traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare osservando che, nel caso l’indagato non conosca la lingua italiana, «la tutela dello stesso è assicurata dall’adempimento dell’obbligo, previsto dall’articolo 94, comma 1bis, disp.att. Cpp del direttore dell’istituto penitenziario di accertare, se del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e di illustrargliene, ove occorra, i contenuti».
L’ordinanza si sofferma, poi, sull’opposto indirizzo riportando il principio formulato dalle sentenze 11598/02, Zubieta Bilbao, rv 221608;4841/99, Zicha, rv 214495; 1527/99, Pm in proc. Braka ed altri, rv 214348.
Secondo queste sentenze «dalla combinata lettura della sentenza della Corte costituzionale 10/1993, con la quale è stato affermato che il diritto all’interprete di cui all’articolo 143 Cpp, comprende il diritto alla traduzione del decreto di citazione a giudizio in tutti i suoi elementi, e dell’articolo 292 dello stesso codice, il quale elenca una serie di elementi che l’ordinanza cautelare deve enunciare a pena di nullità, deriva che anche quest’ultimo provvedimento deve recare la traduzione in lingua nota al destinatario, ove emesso nei confronti di straniero che non conosca la lingua italiana; anche l’ordinanza custodiale, infatti, alla pari del decreto di citazione a giudizio, è un atto dal quale l’indagato straniero che non comprende la lingua italiana può essere pregiudicato nel suo diritto di partecipare al processo libero nella persona, in quanto, non comprendendo il relativo contenuto,non è posto in grado di valutare né quali siano gli indizi ritenuti a suo carico, né se sussistano o meno i presupposti per procedere alla impugnazione dell’ordinanza, a norma dell’articolo 292, comma 2 Cpp».
2.Queste Su aderiscono a quest’ultimo indirizzo facendo propri i principi che seguono, affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza, 10/1993,interpretativa , di rigetto, dell’articolo 143 Cpp.
I.«Grazie al collegamento con l’articolo 143 Cpp – che ad esse assicura la garanzia dell’effettività e dell’applicabilità in concreto – delle norme internazionali, richiamate dall’articolo 2 della legge delega 81/1987 – la “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge 848/55 e il “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici”, firmato il 19 dicembre 1966 a New York, reso esecutivo in Italia con la legge 88/1977 – il diritto dell’imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato, nella lingua da lui conosciuta, della natura e dei motivi dell’imputazione contestatagli deve essere considerato un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile».
II. Trattandosi «di un diritto, la cui garanzia, ancorché esplicitata da atti aventi il rango della legge ordinaria, esprime un contenuto di valore implicito nel riconoscimento costituzionale, a favore di ogni uomo, cittadino o straniero, del diritto inviolabile alla difesa –articolo 24, comma secondo, della Costituzione – ne consegue che, in ragione della natura di quest’ultimo quale principio fondamentale, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, il giudice è sottoposto al vincolo interpretativo di conferire alle norme, che contengono le garanzie dei diritti di difesa in ordine alle esatta comprensione dell’accusa, un significato espansivo, diretto a rendere concreto ed effettivo, nei limiti del possibile, il sopra indicato diritto dell’imputato».
III. «Il sistema tracciato dall’articolo 143 Cpp, nel definire significativamente il contenuto dell’attività dell’interprete in dipendenza della finalità generale di garantire all’imputato che non intende la lingua italiana di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa,
concepisce la figura dell’interprete, innovativamente rispetto al codice precedente, in funzione del diritto di difesa, quale strumento di reale partecipazione dell’imputato al processo attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso».
IV. «L’articolo 143, comma uno, nell’assicurare una garanzia essenziale al godimento di un diritto fondamentale di difesa, deve essere interpretato, pertanto, come una clausola generale, di ampia applicazione, desinata ad espandersi e specificarsi, nell’ambito dei fini normativamente riconosciuti, di fronte al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedano, quali il tipo di atto cui la persona sottoposta al procedimento deve partecipare ovvero il genere di ausilio di cui la stessa abbisogna».
V. «Ciò induce a ritenere che l’articolo 143 suscettibile di un’applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio dell’interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale».
VI. «Il fatto che la suddetta norma sia contenuta nel titolo dedicato alla traduzione degli atti e il fatto che il processo penale, a differenza di quello civile, non distingua la figura del traduttore da quella dell’interprete, inducono a ritenere che, in via generale, il diritto all’interprete possa essere fatto valere e possa essere fruito, stando al tenore dello stesso articolo 143 Cpp, ogni volta che l’imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine agli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali».
VII. «Così interpretato, l’articolo 143, comma uno, Cpp impone la necessaria nomina dell’interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto, se, in difetto di ciò, sia accertata dall’autorità procedente».
3.Come può agevolmente notarsi, la Corte costituzionale ha fatto discendere questi principi, oltre che dagli articoli 2 e 24, comma secondo, della Costituzione, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici ricordano che
l’articolo 6, comma 3, lettera a), della Convenzione stabilisce che «ogni accusato ha diritto a essere informato, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico».
Il Patto contiene una norma pressoché identica, disponendo l’articolo 14, comma 3, lettera a), che «ogni individuo accusato di un reato ha il diritto, in posizione di piena uguaglianza, a essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in lingua a lui comprensibile,della natura e dei motivi dell’accusa e lui rivolta».
Inoltre, sia la Convenzione, sia il Patto prevedono espressamente che «ogni persona che venga arrestata deve essere informata al più presto possibile e in una lingua a lei comprensibile dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico» (articolo 5, comma 2, della Convenzione) e che «chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo arresto, dei motivi dell’arresto medesimo e deve al più presto avere notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui» (articolo 9, comma 2, del Patto).
Il richiamo, poi, della Convenzione e del Patto da parte della Corte costituzionale ha il suo fondamento nella legge delega 81/1987, la quale, nell’articolo 2,prevedeva che «il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate in Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale».
La Relazione al codice, nel titolo quarto – Traduzione degli atti – poneva, a sua volta, in rilievo che «l’articolo 143, comma 1, conferendo allo straniero che non conosce la lingua italiana il diritto di fruire di un interprete per comprendere l’accusa formulata contro di lui, e seguire il compimento degli atti processuali a cui partecipa, si uniforma, in attuazione della legge-delega, agli impegni internazionali sottoscritti dall’Italia a questo riguardo (articolo 6, comma 3, lettera a)) ed e), della Convenzione europea sui diritti dell’uomo; articolo 14,n. 3 lettera a) ed f), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici).
4. Ebbene, se, come afferma la Corte costituzionale, l’articolo 143,comma uno, Cpp deve essere interpretato, anche alla luce delle Convenzioni internazionali, come una clausola generale, di ampia applicazione, destinata ad espandersi e a specificarsi, nell’ambito dei fini normativamente riconosciuti, di fronte dal verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedano, quali il tipo di atto cui la persona sottoposta al procedimento deve partecipare ovvero il genere di ausilio di cui la stessa abbisogna; se l’articolo 143, proprio perché deve essere interpretato come clausola generale di ampia applicazione, destinata ad espandersi, non può non trovare applicazione in tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovasi dell’ausilio dell’interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo; se, infine, il diritto all’interprete può essere fatto valere e può essere fruito, stando al tenore letterale dello stesso articolo 143 Cpp; ogni volta che l’imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali, il provvedimento che dispone la custodia cautelare, per il contenuto che lo contraddistingue – la contestazione di un reato con la indicazione dei gravi indizi di colpevolezza, che giustificano l’emissione del provvedimento coercitivo, e delle esigenze cautelari – e per gli effetti che ne scaturiscono – la privazione della libertà – è certamente uno degli atti rispetto ai quali è pressoché impossibile ipotizzare che colui che ne è il destinatario non voglia esercitare il diritto, inviolabile, di difesa.
Esercizio il cui imprescindibile, naturale, presupposto non può essere, la comprensione dell’atto, impossibile per chi non conosca la lingua italiana, nella quale, obbligatoriamente, come prevede il comma 1 dell’articolo 109, gli atti del procedimento sono compiuti, donde l’onere processuale per il giudice di porre a disposizione dell’indagato o dell’imputato quei presidi, traduzione dell’atto, interprete, che l’ordinamento giuridico prevede nel titolo IV – la cui rubrica preannuncia che le norme che seguono disciplinano la “traduzione degli atti” – del libro secondo, destinato agli atti, del codice di rito.
Non può, quindi, seguirsi l’indirizzo giurisprudenziale, accolto dall’ordinanza impugnata, secondo il quale, come si è visto, la necessità di garantire la consapevole partecipazione agli atti del procedimento non è prospettabile in relazione all’ordinanza cautelare non contenendo quest’ultima, al proprio interno, dati informativi ovvero mirati avvertimenti in ordine all’esistenza e alle modalità di esercizio di diritti e facoltà dell’indagato, in relazione agli effetti dell’atto, cui il difetto della traduzione in lingua italiana si porrebbe come concreto ostacolo.
Se, infatti, non può negarsi che l’ordinanza di custodia cautelare non contenga «quei particolari dati informativi ovvero quei mirati avvertimenti» cui allude l’ordinanza impugnata, perché si faccia luogo alla traduzione o alla nomina dell’interprete non è necessario, però,che l’atto li abbia, essendo sufficiente che il codice di rito colleghi all’atto determinati, ulteriori,atti – quali,nel caso dell’ordinanza che disponga la custodia cautelare, l’interrogatorio di garanzia,previsto dall’articolo 294 Cpp, e la possibilità di impugnare il provvedimento custodiale con la richiesta di riesame disciplinata dall’articolo 309 Cpp – nei quali l’intervento o l’iniziativa dell’interessato hanno senso soltanto se questi, non a conoscenza della lingua italiana, sia stato posto nelle condizioni di comprendere il significato dell’ordinanza.
La norma dell’articolo 294 Cpp dispone, come è noto, che, nel corso delle indagini preliminari e fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice, se non vi ha proceduto nel corso dell’udienza di convalida all’arresto o del fermo di indiziato di reato,procede all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione e il comma 3 della norma prevede che «mediante l’interrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dagli articoli 273, 274 e 275, aggiungendo, nella seconda parte, che, «quando ne ricorrono le condizioni, provvede, a norma dell’articolo 299, alla revoca o alla sostituzione della misura disposta».
È certamente innegabile che l’indagato abbia il diritto, espressamente del diritto di difesa, di contestare l’ordinanza applicativa della misura e, quindi, di offrire contributi perché il giudice si convinca della non permanenza delle condizioni di applicabilità della stessa e della insussistenza delle esigenze cautelari, diritto, però, che l’indagato può esercitare soltanto se sia stato in grado di comprendere il contenuto del provvedimento della libertà e soprattutto le ragioni che hanno portato il giudice a privarlo della libertà.
L’impugnazione del provvedimento con la richiesta di riesame è l’altro atto, collegato all’ordinanza di custodia cautelare, del quale l’indagato o l’imputato può avvalersi per negare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o, quanto meno, delle esistenze cautelari ed è noto che il termine – dieci giorni – per richiedere il riesame dell’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare decorre dalla esecuzione del provvedimento.
L’interessato deve poter fruire di questo termine per intero, sicché deve poter cogliere il contenuto del provvedimento, che intende impugnare, immediatamente, come afferma la Corte costituzionale, anche se, come la stessa precisa, nei limiti del possibile – e si vedrà tra poco quale sia il valore di questa espressione – ed è da ricordare che la giurisprudenza della Corte europea, nel soffermarsi sull’articolo 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, si è più volte pronunciata sulla finalità del diritto riconosciuto all’arrestato alla conoscenza dei motivi della privazione della libertà,
sottolineandone proprio lo stretto collegamento con l’altro diritto riconosciuto «ad ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché questo decisa, entro brevi termini, sulla legalità della detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale» (cfr., per tutte, caso Conka v. Belgium: sentenza 5 febbraio 2002).
5. Non può concludersi sul punto senza rilevare che il diritto dell’indagato e dell’imputato – di essere posti in grado di comprendere,in una lingua che conoscano, il contenuto degli atti ad essi indirizzati – è stato riconosciuto, dall’articolo 111 della Costituzione, modificato, con aggiunte, dalla legge costituzionale 2/1999, come costitutivo del diritto inviolabile di difesa in ogni stato e grado del processo previsto dall’articolo 24, comma secondo, della Costituzione.
L’articolo 111, dopo avere affermato, nel primo comma, che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» e, nel secondo, che «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, nel terzo comma, nell’indicare ciò che la legge deve assicurare perché l’imputato possa esercitare efficacemente, nel processo penale,il diritto di difesa, dispone, nell’ultima parte, che la legge assicura anche che «la persona accusata di un reato sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo e non può dubitarsi che la norma trovi applicazione anche nel procedimento, in tutti i casi, cioè, in cui sia in questione,direttamente o indirettamente, la libertà personale.
Può ritenersi quindi, che l’interpretazione dell’articolo 143 Cpp che la Corte costituzionale ha dato con la sentenza interpretativa di rigetto 10/1993, fondandola sui valori della Costituzione e delle Convenzioni internazionali, sia, a maggior ragione alla luce dell’articolo 111,irreversibile, dovendo ragionevolmente escludersi che la legge ordinaria o l’interprete possano esprimersi, in futuro, in contrasto con l’inequivoco dettato dall’articolo 111 della Carta.
6. Dalla più volte citata sentenza della Corte costituzionale emerge anche quale sia il presupposto che fa sorgere il diritto alla traduzione o all’interprete e, quindi, quando possa dirsi che l’ordinamento giuridico imponga al giudice di disporre per la traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare o di avvalersi di un interprete,perché provveda ad illustrarne all’interessato il contenuto.
Come è stato osservato dalla dottrina, «la sentenza della Corte costituzionale, conferendo al diritto all’interprete un forte fondamento costituzionale individuato nel diritto inviolabile alla difesa, a sua volta ritenuto un principio fondamentale ex articolo 2 Costituzione, ha affermato che tale diritto va reso, sì, “concreto ed effettivo”, ma “nei limiti del possibile”, volendo significare che «anche la garanzia di un diritto inviolabile non può essere scissa da un esame sulla possibilità concreta della sua estrinsecazione e, dunque, da un confronto con la realtà storica in cui tale garanzia è destinata a realizzarsi ed è proprio a questo limite generale della concreta possibilità che va ricollegata l’affermazione successiva della sentenza sulla rilevanza di ciò che risulta dagli atti in ordine alle conoscenze linguistiche dell’imputato».
E l’affermazione successiva della sentenza della Corte costituzionale, cui fa riferimento la dottrina, è quella in cui, distinguendo tra l’articolo 143 e gli articoli 109 e 169 Cpp, il giudice delle leggi afferma sia che «la garanzia apprestata dall’articolo 143 ha carattere generale e si estende a qualsiasi persona, di qualunque nazionalità, che essendo sottoposta a procedimento penale nel territorio dello Stato,risulta essere non in grado di comprendere la lingua italiana», sia che, «interpretato alla luce dei principi appena ricordati, l’articolo 143, primo comma, Cpp impone si proceda alla nomina dell’interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall’autorità procedente».
È l’accertamento della mancata conoscenza della lingua italiana, dunque, ciò che rende possibile dare immediata concretezza ed effettività al diritto alla traduzione o all’interprete ed è da questo accertamento che, scaturendone il diritto dell’indagato alla traduzione o all’intervento dell’interprete, sorge anche l’obbligo per il giudice di consentirne l’esercizio.
Ne consegue che, mentre «l’articolo 169 terzo comma, - il quale prescrive l’obbligo di notificare all’estero, tradotto nella lingua dell’imputato straniero, l’invito a dichiarare o a eleggere domicilio nel territorio dello Stato – impone la redazione dell’atto in una lingua diversa da quella ufficiale in presenza del mero ricorrere della nazionalità straniera dell’imputato, salvo che dagli atti del processo non risulti la conoscenza da parte dell’imputato stesso della lingua italiana»; mentre, cioè, come commenta la dottrina, «l’assenza di elementi sulle conoscenze linguistiche dell’imputato straniero è sufficiente per rendere necessaria la traduzione nel caso previsto dall’articolo 169, comma 3», l’assenza di quegli elementi non è, invece, sufficiente «per rendere operativo il generale diritto all’interprete, previsto dall’articolo 143, comma 1, il quale richiede che risulti dagli atti la non conoscenza della lingua italiana», sicché, se l’indagato o l’imputato non ha avuto alcun contatto con il giudice e se la non conoscenza della lingua italiana non risulta in altro modo dagli atti, il giudice non è tenuto alla traduzione dell’ordinanza.
Sono in questi termini, sul punto, dopo la sentenza della Corte costituzionale tra le altre, Cassazione 2 luglio 1993, Bangula, 27 maggio 1995, Tounsi, 2 giugno 1995, Alegre, 26 aprile 1999, Braka, 14 novembre 2000, Tavanxhiu, Su 31 maggio 2000, Jakani, sentenza, questa, che ha anche affermato che «l’accertamento della conoscenza della lingua italiana da parte dello straniero costituisce un’indagine di mero fatto il cui esito, se riferito dal giudice di merito con argomentazioni esaustive e concludenti, sfugge al sindacato di legittimità».
Il prevalente contrario indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione (Cassazione 6 febbraio 1992, Samire Tandoubis; 6 aprile 1993,Kamel; 20 maggio 1993, Osagie Anuanru; 4 febbraio 1994, Bouariz; 14 settembre 1994, Puertas; 21 novembre 1996, Romero; 18 settembre 1997,Minoun Mohamed; 15 giugno 1998, Zymaj; 23 gennaio 1999, Daraji), secondo il quale è onere dell’indagato dimostrare o, almeno dichiarare di non conoscere la lingua italiana, spettando all’autorità giudiziaria unicamente il potere-dovere di valutarne la necessità, non può essere condiviso perché sottovaluta le affermazioni centrali della sentenza della Corte costituzionale: essere il diritto alla traduzione o all’interprete un diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile riconducibile al diritto inviolabile alla difesa (articolo 24, secondo comma, Costituzione) ed essere compito del giudice, imposto dalla natura di quel diritto, accertare, in assenza dell’iniziativa dell’interessato, la non conoscenza, da parte di quest’ultimo, della lingua italiana.
7. Il giudice, se non è tenuto a disporre la traduzione dell’ordinanza nel momento in cui la emette, ove dagli atti non risulti la non conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato, qualora accerti, dopo l’esecuzione del provvedimento e nel momento in cui procede all’interrogatorio di garanzia previsto dall’articolo 294 Cpp,che l’indagato non conosce la lingua italiana, deve nominare un interprete conferendogli l’incarico di illustrare all’indagato il contenuto dell’atto, oltre che l’incarico di spiegare all’indagato il significato degli ulteriori atti cui partecipa.
Merita di essere sottolineata, sul punto, la sentenza del 12 dicembre 2001, Kislitsyn, la quale, dopo avere posto in rilievo che la nomina di un interprete all’imputato straniero è subordinata all’accertamento della mancata conoscenza della lingua straniera, osserva, con riferimento proprio alla mancata traduzione, nella specie,dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, sia che, «in mancanza di alcun contratto tra le parti, prima della richiesta del provvedimento restrittivo il giudice procedente non poteva ritenere essenziale la nomina di un traduttore», sia che il momento della verifica della suddetta condizione andava identificato nell’interrogatorio di garanzia».
Da quanto appena detto discende che, se soltanto in sede di interrogatorio di garanzia l’indagato è stato posto in grado di comprendere il contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare, il termine per impugnare il provvedimento decorre soltanto da questo momento, non essendovi alcuna ragione per non consentire all’indagato di avvalersi dell’intero termine per impugnare previsto dalla legge.
In questo senso è anche la dottrina, la quale, dopo aver detto che «lo straniero – indagato o imputato – che abbia avuto notificato un atto scritto redatto soltanto in italiano ha la facoltà di rivolgersi all’ufficio che ha emanato tale atto, facendo presente in modo verosimile che non conosce la lingua italiana», aggiunge che, «quindi, quello straniero ha il diritto di ottenere la sollecita traduzione dell’atto scritto, con la conseguenza che gli eventuali termini collegati alla notifica medesima iniziano a decorrere soltanto dalla consegna della traduzione».
8. Va, però, prestata attenzione anche a quell’indirizzo giurisprudenziale, pure citato nell’ordinanza di rimessone, secondo cui «il giudice, il quale ignori che lo straniero non comprende la lingua italiana, non ha il dovere di disporre che il provvedimento di custodia cautelare emesso nei suoi confronti gli sia notificato insieme con la traduzione, anche perché, qualora lo straniero stesso non sia in grado di capire la lingua italiana, la concreta conoscenza dell’atto è assicurata dal disposto dell’articolo 94, comma 1bis, disp. att. Cpp che pone a carico del direttore dell’istituto penitenziario o di un operatore da lui delegato l’onere di accertare, se del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento con cui è stata disposta la sua custodia e di illustrargliene, ove occorra, i contenuti (Cassazione 12 aprile 2002,Asilo; 10 maggio 2002, Essid; 12 aprile 2001, Tuschi; 26 giugno 2000,Ilir; 20 marzo 2000, Weizer; Su 31 maggio 2000, Jakani).
Questo indirizzo è, in parte, nel vero.
Si è detto in precedenza che, ove risulti dagli atti, nel momento in cui è emesso il provvedimento custodiale, che l’indagato non conosce la lingua italiana, il giudice deve disporre immediatamente che l’ordinanza sia eseguita con la consegna anche di copia della traduzione della stessa nella lingua conosciuta dallo straniero.
È questo e non altro il significato dell’affermazione con la quale la Corte costituzionale ha posto in rilievo «il diritto dell’imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informativo nella lingua da lui conosciuta, della natura e dei motivi dell’imputazione contestatagli», immediatezza che il giudice delle leggi ha ribadito trattando del presupposto per la traduzione e dicendo che la traduzione deve essere disposta immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui
confronti si procede».
Non è, pertanto, condivisibile Cassazione 14 novembre 2000, Tavanxhiu, quando afferma, con riferimento «all’obbligo di traduzione dell’ordinanza impositiva della misura cautelare già all’atto dell’emissione», che «l’ordinanza impositiva della custodia cautelare in carcere non deve essere notificata insieme alla sua traduzione all’imputato od indagato alloglotta, perché in tal caso la tutela di costui è assicurata, a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, dall’obbligo del direttore dell’istituto penitenziario di accertare, se del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e di illustragliene, ove occorra, i contenuti ponendolo, quindi, in condizione di sapere di che lo si accusa e di predisporre gli appositi rimedi».
Ma, diverso è il caso in cui, non risultando dagli atti che l’indagato non conosce la lingua italiana, l’agente incaricato di eseguire l’ordinanza gliene consegni copia senza la traduzione e il direttore dell’istituto penitenziario, nel quale l’indagato è stato tradotto, o l’operatore designato dal direttore, accerti, se del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e gliene illustri, ove occorra,i contenuti.
La traduzione dell’ordinanza nel momento in cui è emessa o la nomina di un interprete per la traduzione in sede di interrogarono di garanzia non sono, invero, fine a se stessi, ma sono strumenti, mezzi per conoscere il contenuto del provvedimento e, quindi, per consentire all’indagato di esercitare effettivamente il diritto di difesa, sicché il giudice,quando proceda, all’interrogatorio previsto dall’articolo 294 Cpp, può legittimamente astenersi dalla nomina di un interprete per la traduzione dell’ordinanza custodiale se accerti che l’indagato, grazie
all’intervento, previsto dalla legge, del direttore dell’istituto penitenziario, ne ha precisa conoscenza, soltanto dalla quale – e ciò anche nel caso in cui l’indagato ha avuto quella conoscenza nell’istituto penitenziario – decorre, come si è detto, il termine per impugnare.
Né si obietti, come lo obietta il ricorrente nella memoria, che «l’articolo 94, 1bis, disp. att. prevede un accertamento sommario, per giunta di carattere amministrativo, che non sfocia in alcun atto del procedimento, che è affidato alla buona volontà del direttore del penitenziario e del quale non è neppure prevista la verbalizzazione».
È, invero, da osservare che, se non può negare che si tratta di un accertamento da compiersi in sede amministrativa, è certo, però, che la legge impone al direttore di accertare se l’interessato ha precisa conoscenza dell’atto e di illustrargliene, ove necessario, il contenuto,il che esclude categoricamente che l’intervento del direttore o dell’operatore dell’istituto penitenziario possa risolversi in un accertamento sommario.
Sarà, in ogni caso, compito del giudice, in sede di interrogatorio di garanzia, rendersi conto se l’indagato ha precisa conoscenza dell’atto e, quindi, di provvedere, eventualmente, alla nomina dell’interprete anche a tal fine.
9. Non può, infine, condividersi quell’ulteriore indirizzo – esposto anch’esso nella ordinanza di rimessione – secondo il quale, nel caso – non poco frequente – di ordinanza custodiale emessa nell’udienza di convalida dell’arresto dopo l’interrogatorio dell’arrestato e dopo l’ordinanza di convalida, non occorre la traduzione dell’ordinanza, «perché, in questo caso, la presenza dell’interprete all’udienza di convalida e al relativo interrogatorio ha consentito di informare l’arrestato in ordine all’imputazione e agli elementi fondanti l’accusa, nonché di consentirgli di spiegare un’effettiva difesa rendendo la versione dei fatti nella propria lingua in un momento antecedente l’emissione del titolo limitativo della libertà personale, in maniera da non rendere necessaria ai fini difensivi la traduzione dell’ordinanza impositiva nella lingua straniera parlata dall’indagato» (Cassazione, 17 dicembre 2002, Bohm, rv 223487; 4 febbraio 2000, Weizer, rv 216526; 5 maggio 1999, Metuschi, rv 213523).
Nell’interrogatorio previsto dall’articolo 391,comma 2, seconda parte,Cpp – interrogatorio che la norma dell’articolo 294, comma 1, colloca espressamente sullo stesso piano di quello in essa previsto – l’indagato, che non conosca la lingua italiana, è posto, grazie all’intervento dell’interprete, nella condizione di avere precisa conoscenza delle ragioni dell’arresto e di difendersi.
Ma, l’ordinanza di custodia cautelare, eventualmente emessa dopo l’ordinanza di convalida, se, molto verosimilmente, nulla aggiunge a quanto già noto all’arrestato in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, deve anche soffermarsi, ritenendole sussistenti, sulle esigenze cautelari, rispetto alle quali l’indagato ha sentito, al più, la richiesta del Pm, tradotta dall’interprete, di applicazione della misura cautelare anche per determinate esigenze cautelari, senza, però, essere in grado di sapere, se non leggendo il provvedimento in una lingua a lui nota o sentendone la traduzione dell’interprete presente, se e in quale misura il giudice della convalida le abbia fatte proprie ed è noto che l’indagato, con la richiesta di riesame, può limitarsi a contestare la sussistenza delle esigenze cautelari.
10. La omessa traduzione del provvedimento custodiale nel momento in cui è emesso, ove ne ricorra il presupposto, o la m ancata nomina dell’interprete per la traduzione in sede di interrogarono di garanzia, quando non si sia già provveduto ai sensi della norma dell’articolo 94,comma 1bis, disp. att., è causa di nullità dell’atto – rispettivamente,dell’ordinanza di custodia cautelare o dell’interroga torio di garanzia – nullità che, come hanno affermato queste Su nella sentenza Jakani, già citata, deve annoverarsi, in difetto di una specifica previsione della norma dell’articolo 143 Cpp, tra le nullità contemplate dagli articoli 178, lettera c), e 180 Cpp, la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza (in questo senso, quanto alla omessa nomina dell’interprete, Cassazione 27 novembre 1992, Kamel, rv 198431, 198432; 2 ottobre 1994, Kourami, rv 199465; 10 aprile 1995, Polisi, rv 20156; 17 dicembre 1998, Daraji, rv 213068; 13 giugno 2001, Sharp, rv 220040).
11. Tutto ciò chiarito, nella specie non può, peraltro, non condividersi l’affermazione dell’ordinanza impugnata, conforme, sul punto, all’affermazione della precedente ordinanza del Tribunale per il riesame annullata dalla Corte di cassazione.
L’ordinanza impugnata, se ha premesso, errando che il provvedimento che dispone la custodia cautelare non deve essere tradotto, ha aggiunto che,«nel caso in esame, non è ipotizzabile alcuna menomazione del diritto dello Zalagaitis di essere al più presto informato con completezza ed in modo intelligibile della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta, dovendosi osservare che, quando l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa, l’indagato era latitante – per cui non risultava di fatto
possibile alcun accertamento sulla conoscenza della lingua italiana – e che, sopravvenuta l’esecuzione della ordinanza custodiale, lo Zalagaitis è stato sentito dal Gip in sede di interrogatorio di garanzia con l’assistenza di un interprete di lingua lituana che ha proceduto alla traduzione delle considerazioni mosse all’indagato e delle ragioni che avevano determinato l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti».
Queste proposizioni dicono con chiarezza che il giudice di merito ha accertato, valutando il relativo l’atto – l’interrogatorio di garanzia – che l’indagato, in quella sede, era stato posto in grado di rendersi conto delle contestazioni mossegli nell’ordinanza di custodia cautelare e delle ragioni, nella stessa esposte, che le avevano determinata.
A questo accertamento in fatto, adeguatamente motivato, non può eccepirsi, come si fa nel ricorso, che «l’interrogatorio è stato reso senza che il prevenuto abbia avuto integrale conoscenza del provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti» che è evidente l’irrilevanza processuale di questa eccezione.
Se, infatti, l’ordinanza custodiale non può non essere completamente tradotta allorché, risultando dagli atti la non conoscenza, da parte dell’indagato, della lingua italiana, venga eseguita con la consegna di copia, non solo dell’originale in lingua italiana, ma anche della traduzione, l’intervento dell’interprete che, in sede di interrogatorio ex articolo 294 Cpp, esponga all’indagato, dinanzi al giudice e con la garanzia della presenza del difensore, la contestazione che gli è stata mossa indicandogli le ragioni – ivi comprese le ragioni relative alle
esigenze cautelari – non può, invece, non esonerare il giudice dal disporre la traduzione letterale dell’ordinanza custodiale.
Può astrattamente verificarsi, anche se la presenza del giudice e del difensore lo fanno più che ragionevolmente escludere, che la traduzione dell’interprete trascuri i dettagli rilevanti.
Il ricorrente, però, si è limitato ad eccepire che la traduzione non è stata dettagliata, senza escludere espressamente che, come ha affermato l’ordinanza impugnata, l’interprete ha indicato all’indagato la contestazione e le ragioni che l’avevano determinata, ha indicato, cioè, i dettagli rilevanti,quanto era necessario per consentire all’indagato di difendersi.
12. Il secondo motivo è fondato. Con questo motivo il ricorrente pone l’ulteriore questione, risolta in termini contrastanti dalla giurisprudenza di questa Suprema corte, dell’utilizzabilità delle dichiarazioni – nella specie, delle dichiarazioni della coindagata Gadeikyte Iolanta, assunte dal Gip il 5 febbraio e dal Pm il 9 febbraio 2001 – rilasciata prima dell’entrata in vigore della legge 63/2001 pubblicata il successivo 22 marzo.
Questa legge, dando attuazione ai principi sul giusto processo dettatati dall’articolo 111 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 2/1999, ha modificato, tra le altre, le regole generali da osservarsi nell’interrogatorio dell’indagato disciplinato nell’articolo 64 Cpp.
Ha, innanzitutto, sostituito il comma tre di quest’articolo nel senso che, «prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; b) salvo quanto disposto dall’articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso; c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’articolo 197 le garanzie di cui all’articolo 197bis».
Ha introdotto poi, nell’articolo il comma 3bis prevedendovi che «l’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 2, lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata» e che «in mancanza dell’avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l’ufficio di testimone».
La legge, inoltre, nei cinque commi dell’articolo 26 ha previsto regole di diritto intertemporale disponendo, nei commi 1 e 2, che qui interessano, che – comma 1 - «nei processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5» e che –comma 2 - «se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il Pm provvede a rinnovare l’esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197bis del Cpp, come rispettivamente modificato ed introdotto dalla presente legge, secondo le norme ivi previste».
Relativamente al regime intertemporale si è posta, dunque, la questione dell’applicabilità dell’articolo 64 Cpp, come modificato dalla legge in esame, nella fase delle indagini preliminari ed, in particolare, dell’utilizzabilità, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, di cui all’articolo 273, comma 1, Cpp, delle dichiarazioni rese, nel corso delle predette indagini, prima – come nel caso in esame – della novella legislativa e, quindi, senza le formalità previste dall’articolo 64 Cpp, così come modificato.
Nel senso dell’applicabilità dell’articolo 64, come modificato, e dell’inutilizza bilità delle dichiarazioni assunte prima della novella legislativa si sono espresse Cassazione 16 novembre 2001, Gullace, rv 220604; 13 novembre 2002, Fiore, rv 222714; 1 luglio 2002, Qira, rv 223359; 11 febbraio 2002, Giuliano, rv 220997, 13 novembre 2001,Romanelli; 25 marzo 2002, Perna.
Secondo queste sentenze, «le dichiarazioni che concernono la responsabilità di altri rese da indagati il cui interrogatorio ovvero le cui dichiarazioni ai sensi dell’articolo 350 Cpp sono stati assunti senza l’osservanza delle garanzie di cui all’articolo 64, comma tre, lettera c), Cpp, non sono utilizzabili ai fii della valutazione della sussistenza dei gravi indizi, ai sensi dell’articolo 273, comma 1, Cpp, anche se l’interrogatorio o le dichiarazioni sono stati resi prima dell’entrata in vigore della legge 63/2001, ma non siano stati rinnovati dalla pubblica accusa in osservanza delle prescrizioni di cui all’articolo 26, comma 2, della medesima legge».
Secondo l’opposto indirizzo, invece, «la chiusura delle indagini preliminari costituisce “lo sbarramento” dell’iniziativa del Pm per la rinnovazione dell’esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197bis Cpp, con la conseguenza che deve escludersi che gli atti legittimamente “compiuti ed esauriti” nel procedimento de libertate in base alla previdente disciplina, tra cui l’acquisizione e valutazione, ai fini della sussistenza del grave quadro indiziario, della prova dichiarativa,
debbano ritenersi non più utilizzabili ai fini dello stesso procedimento; tali atti, una volta che siano stati acquisiti e valutati legittimamente nella vigenza del pregresso regime e si sia esaurita l’attività di indagine, che ha portato all’applicazione e alla conferma della misura cautelare, sono, quindi, utilizzabili nel suddetto procedimento incidentale, comportando l’esaurimento della fase delle indagini preliminari la loro inutilizzabilità nel giudizio di merito (Cassazione 20 novembre 2001, Andolfi, rv 221548; 29 gennaio 2002,Deodato, rv 221553; 16 ottobre 2001, Calfato, rv 20042).
Queste Su ritengono di dovere aderire al primo indirizzo, con alcune puntualizzazioni.
Secondo Cassazione, 6 novembre 2001, Gullace, dal dato letterale delle disposizioni di diritto transitorio dettate dall’articolo 26 di evince che – fatte salve le eccezioni previste nei commi da 3 a 5, che si riferiscono alla fase del giudizio e mutuano la loro legittimità costituzionale dall’articolo 2 dalla legge costituzio nale 2/1999 - «le modifiche introdotte dalla legge 63/2001 devono trovare “immediata applicazione” non solo nei processi in corso, in base al disposto di cui al primo comma del citato articolo 26, ma anche nella “fase delle indagini preliminari”, avendo il legislatore espressamente previsto, nel comma due del citato articolo 26, che il Pm deve provvedere a rinnovare l’esame dell’indagato con l’osservanza delle garanzie di cui all’articolo 64 Cpp, come modificato dalla novella, anche con riferimento all’ipotesi che questi possa assumere la qualità di testimone, ai sensi dell’articolo 197bis Cpp».
Dal combinato disposto dei primi due commi dell’articolo 26 deriva quindi, che «anche nella fase delle indagini preliminari trova applicazione la sanzione della inutilizzabilità, ai sensi dell’articolo 64, comma 3bis, Cpp, delle dichiarazioni rese dall’indagato su fatti che concernono la responsabilità di altri, se l’interrogatorio non è stato preceduto dall’avvertimento di cui al terzo comma lettera c) del medesimo articolo, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, alla cui sussistenza l’articolo 273, comma uno, Cpp subordina l’applicazione di misura limitative della libertà personale».
Ebbene, l’interpretazione dell’articolo 26, comma 2 della legge 63/2001 non può non essere preceduta, per coglierne il valore,dall’interpretazione del comma 1 dello stesso articolo, il quale dispone che «nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5».
Come è stato osservato dalla dottrina, non v’è alcuna ragione di dubitare che il termine “processi” usato dalla legge debba essere inteso quale sinonimo di procedimenti, senza alcuna distinzione di fasi o gradi «ed è proprio la mancanza di un ulteriore limite di riferimento che induce a cogliere, nella formula impiegata dalla disposizione in esame,una norma singolare dai contenuti, ben diversi dal principi generale tempus regit actum in virtù del quale gli atti legittimamente compiutisi in un determinato momento storico conservano validità».
«L’actus preso in considerazione della legge attuativa del giusto processo non è, infatti, - prosegue la dottrina – il singolo atto probatorio ovvero una fase o un grado dell’iter processuale, ma si identifica con l’intero arco del procedimento in corso e, all’interno di tale spazio, l’efficacia immediata della nuova disciplina riguarda, indistintamente, tutti gli atti processuali compiuti o da porre in essere».
Ne consegue che, «se il principio tempus regit actum neutralizza l’efficacia della nuova disciplina rispetto agli atti ormai acquisiti, la norma singolare contenuta nell’articolo 26, comma 1, laddove prescrive l’immediata operatività dello ius superveniens ai “processi in corso”, impone al giudice di vagliare la legittimità dell’atto probatorio alla luce della disciplina vigente, non già al momento dell’acquisizione, bensì al tempo della decisione», e quindi della sua utilizzazio ne processuale.
Si osserva, dalla stessa dottrina, che «una simile chiave di lettura comporta, peraltro, conseguenza meno dirompenti di quanto appaia a prima vista, ove si consideri come i divieti probatori introdotti dalla legge 63/2001 possiedano una comune ratio ispiratrice individuabile nell’attuazione del metodo del contraddittorio enunciato all’articolo 111, comma 2, della Costituzione, sicché poiché i nuovi canoni costituzionali estendono la loro efficacia a tutte le vicende nate all’indomani del 7 gennaio 2000, l’effetto retroattivo della legge 63/2001 interessa uno spazio già investito in gran parte del divieto di acquisire conoscenze formate al di fuori del metodo dialogico e sotto questa luce ben si comprende la scelta a favore di una parziale retroattività delle nuove regola probatorie compiuta dall’articolo 26, comma 1, non dovendo trascurarsi, inoltre, come il precetto in discorso conosca varie deroghe, di entità differenziata a seconda della fase del procedimento presa in considerazione».
Se questo è l’ambito dell’articolo 26, comma 1, della legge in esame, la regola transitoria del comma due «è destinata ad operare nella fase delle indagini preliminari e guarda all’ipotesi in cui gli organi investigativi abbiano già assunto dichiarazioni nel corso di un interrogatorio alla data di entrata in vigore della legge, facendosi carico, in tal caso, al Pm di “rinnovare”, secondo le forme ex articoli 64 e 197bis, “rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge”, l’esame dei soggetti indicati».
L’articolo 26, comma 2, significa, allora, che il Pm deve procedere ad un nuovo interrogatorio, avendo voluto il legislatore “meglio garantire la funzionalità del sistema, premurandosi rispetto al rischio di dispersione delle conoscenze raccolte nel corso delle indagini».
Lo ius superveniens – la legge 63/2001 – è stato, dunque, reso applicabile, anche alla fase delle indagini preliminari e anche ai procedimenti de liberatate, dalla regola di cui al comma 1 dell’articolo 26, con la conseguenza che, dopo l’entrata in vigore della legge, un interrogatorio, assunto ai sensi dell’articolo 64 nella formulazione anteriore all’intervento delle modifiche introdotte dalla legge 63/2001, è inutilizzabile sia, ovviamente, nel successivo dibattimento, sia nel
corso delle indagini preliminari e, in particolare, nell’ambito delle decisioni de libertate.
La rinnovazione dell’esame, prevista dal comma 2 dell’articolo 26, importa, invece, che l’interrogatorio possa essere utilizzato nel dibattimento e, prima ancora, nella fase delle indagini preliminari e nel procedimento de libertate.
Nel caso di specie il Pm non ha proceduto a rinnovare l’interrogatorio della Gadeikyte e questa omissione fa sì che agli atti retino le dichiarazioni, inutilizzabili, della coindagata rese, in due occasioni,in data antecedente a quella dell’entrata in vigore della legge 63/2001.
Il Tribunale del riesame non avrebbe potuto utilizzarle, mentre l’ordinanza impugnata dà atto che hanno avuto un ruolo determinante nel rigetto della richiesta di riesame.
14. Una volta ritenute inutilizzabili le dichiarazioni della Gadeikyte, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, spettando la giudice di merito accertare se e in che misura i gravi indizi di colpevolezza continuino a sussistere e, conseguentemente, se e in quale misura persistano le esigenze cautelari.