PATTO DI PROVA E ASSUNZIONE OBBLIGATORIE DEGLI INVALIDICassazione, Sezione Lavoro, 27.01. 2004, n. 1458“Il recesso dell imprenditore è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individualecontenuta nella legge 15 luglio 1966 n. 604, onde non richiede una formale comunicazione del motivodel recesso, spettando al lavoratore, che alleghi l illegittimità del licenziamento, provare eventualimotivi illeciti o discriminatori”.nota a cura dell’Avv. Rocchina Staiano-Dottore di ricerca Università di SalernoSEGUE TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZALA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE LAVOROComposta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. Paolino DELL ANNO PresidenteDott. Francesco Antonio MAIORANO ConsigliereDott. Grazia CATALDI ConsigliereDott. Maura LA TERZA ConsigliereDott. Ulpiano MORCAVALLO Rel. Consigliereha pronunciato la seguenteSENTENZAsul ricorso proposto da:XXX, elettivamente domiciliata in ROMA, aaaa, pressolo studio dell avvocato GIUSEPPE MACCARONE, che la rappresenta edifende, giusta delega in atti;- ricorrente -controYYY, in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliato in ROMA,bbbb, pressolo studio dell avvocato PIERO BIASIOTTI, che lo rappresenta edifende, giusta delega in atti;- controricorrente -avverso la sentenza n. 38990/00 del Tribunale di ROMA, decisa il27/9/00 e depositata il 04/12/00 R.G.N. 32142/98;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del16/06/03 dal Consigliere Dott. Ulpiano MORCAVALLO;udito l Avvocato BIASIOTTI PIERO;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Maurizio VELARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Con sentenza 27 settembre - 4 dicembre 2000 n. 38990/2000, la Corte d appello di Roma, accogliendo il gravame della società YYY avverso la sentenza pronunciata dal Pretore del lavoro della stessa città, ha respinto la domanda proposta da XXX, invalida civile avviata al lavoro presso la predetta società ai sensi della legge n. 482 del 1968, intesa alla declaratoria di inefficacia del recesso dal contratto all esito del periodo di prova e alla conseguente ricostituzione del rapporto ai sensi dell art. 2932 c.c.
I giudici di appello hanno ritenuto che la datrice di lavoro, nel recedere dal rapporto di lavoro per mancato superamento della prova, non fosse tenuta a motivare il recesso, non essendo tale obbligo previsto da alcuna disposizione di legge; ed hanno rilevato, altresì, che le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non consentivano di verificare la illegittimità del recesso sotto profili diversi dalla omessa motivazione del recesso, in mancanza di alcuna specificazione circa la dedotta illiceità dei motivi di recesso e circa la dedotta incidenza, su tali motivi, della condizione di invalida, mentre le successive allegazioni contenute nelle memorie difensive erano inammissibili in quanto tardive.
Per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice ricorre deducendo due motivi di impugnazione.
La società resiste con controricorso illustrato da memoria.
Diritto
Con il primo motivo di ricorso, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli art. 2096 c.c. e 10 della legge n. 482 del 1968, si deduce che erroneamente il Tribunale abbia escluso la sussistenza dell obbligo della motivazione del recesso, trascurando di considerare che, come anche affermato dalla giurisprudenza, il recesso dell imprenditore nel periodo di prova, pur essendo sottratto in linea generale alla disciplina dei licenziamenti individuali, è tuttavia soggetto all obbligo di motivazione quando il recesso riguarda il mancato superamento della prova da parte di un lavoratore appartenente alle categorie protette.
Tale motivo non è fondato,
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 2 agosto 2002 n. 11633, che ha risolto il contrasto di giurisprudenza che era insorto sulla questione, nell ipotesi di patto di prova stipulato con invalido assunto in base alla legge 2 aprile 1968 n. 482 il recesso dell imprenditore è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale contenuta nella legge 15 luglio 1966 n. 604, onde non richiede una formale comunicazione del motivo del recesso, spettando al lavoratore, che alleghi l illegittimità del licenziamento, provare eventuali motivi illeciti o discriminatori.
Alla luce di tale principio, che qui ulteriormente si ribadisce, la decisione dei giudici di appello, che hanno ritenuto insussistente l obbligo di motivazione anzidetto, si sottrae alle censure della ricorrente.
Con il secondo motivo, denunciandosi omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, si lamenta che il Tribunale abbia omesso di esaminare, ritenendole intempestive, le allegazioni relative alla valutazione della prova, svolte successivamente alla proposizione del ricorso, ai sensi dell art. 420 c.p.c., in risposta alle deduzioni di parte avversa contenute nella memoria costitutiva.
Neanche tale motivo è fondato.
A seguito del recesso del datore di lavoro dal patto di prova, il lavoratore ben può direttamente contestare tale recesso in sede giudiziale, allegando fatti (fra i quali l elusione della legge protettiva degli invalidi) dimostranti l illiceità del motivo e pertanto l invalidità dell atto negoziale unilaterale (cfr. Cass. S.U. n. 11633 del 2002 cit.).
Tale contestazione, peraltro, non può che avvenire nelle forme proprie del rito del lavoro, rimanendo soggetta, quindi, all onere di una specifica allegazione in sede di ricorso introduttivo, ex art. 414 c.p.c., e alla eventuale preclusione in caso di mancato assolvimento di tale onere.
Né può trovare accoglimento la tesi della ricorrente, secondo cui la mancata comunicazione dei motivi di recesso prima del giudizio e la avvenuta esplicitazione degli stessi solo nella memoria costitutiva di cui all art. 416 c.p.c. autorizzerebbero il lavoratore ricorrente a contestarne la legittimità in sede di discussione, ai sensi dell art. 420, primo comma, c.p.c. Ed infatti la manifestazione di volontà del datore di lavoro di recedere dal contratto, in quanto riferita ad un rapporto in prova, si qualifica come valutazione negativa della stessa e comporta la definitiva e vincolante identificazione della ragione che giustifica il potere di recesso, con la conseguenza che il lavoratore ha l onere di contestare tale valutazione con la deduzione dell illegittimità dell atto (cfr. Cass. 29 maggio 1999 n. 5290).
Con riferimento alla controversia in esame, pertanto, il Tribunale, una volta accertato che il ricorso introduttivo non conteneva specifici profili di contestazione diversi da quelli inerenti alla mancata motivazione del recesso, del tutto correttamente ha escluso che tale contestazione potesse essere avanzata dalla lavoratrice con successivi atti difensivi, a ciò ostando la previsione di cui all art. 414 c.p.c.
Ne deriva, in conclusione, che il ricorso deve essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 GEN. 2004.
PENSIONI E AMIANTO (21/05/2005)
Cassazione, Sezione Lavoro, 17 gennaio 2005, n. 757
“Il beneficio previsto dall’art. 13, 8° comma, della L. 257/1992,relativo alla rivalutazione del coefficiente 1,5 dei periodi lavorativi comportanti esposizione all’amianto, va riconosciuto ai lavoratori che abbiano conseguito la pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero l’inabilità con decorrenza successiva alla entrata in vigore della legge n. 257/92. Costoro, pur avendo maturato i requisiti richiesti anche senza la prevista maggiorazione, possono tuttavia giovarsene per migliorare la prestazione, opportunamente comunicando all ente previdenziale l avvenuta esposizione all amianto alle condizioni previste dalla legge; si asterranno dalla richiesta solo coloro che, avendo già raggiunto il massimo di prestazione conseguibile, ossia i 40 anni di contribuzione, non riceverebbero alcun giovamento dall applicazione della legge”.
nota a cura dell’Avv. Rocchina Staiano-Dottore di ricerca Università di Salerno
SEGUE TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dai Magistrati:
Dott. Ettore MERCURIO Presidente
Dott. Alberto SPANÒ Consigliere
Dott. Giovanni MAZZARELLA Consigliere
Dott. Corrado GUGLIELMUCCI Consigliere
Prof. Bruno BALLETTI Cons. relatore
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.M., rappresentato e difeso dall avv. G. Sante Assennato (in
sostituzione dell avv. Franco Agostini deceduto), presso il cui
studio è elettivamente domiciliato in Roma alla via Poma 2, giusta
procura per notar Furio Dei Rossi;
- ricorrente -
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - I.N.P.S. -, in persona
del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Alessandro Riccio e Nicola Valente ed elettivamente
domiciliato in Roma alla via della Frezza 17, giusta procura in calce
alla copia notificata del ricorso;
- resistente -
e contro
ISTITUTO NAZIONALE PER L ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL
LAVORO - I.N.A.I.L. -, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonino Catania e
Giuseppe De Ferrà ed elettivamente domiciliato in Roma alla via IV
Novembre 144, giusta procura per notar C.F. Tuccari;
- resistente -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste-Sezione Lavoro
n. 154/01 del 27 dicembre 2001 (resa nel giudizio di appello avente
il n. di r.g. 242/2000).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19
ottobre 2004 dal consigliere Bruno Balletti;
Uditi gli avv.ti Roberto Amodeo (per delega dell avv. Assennato) e
Luciana Romeo (per delega dell avv. De Ferrà);
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Umberto Apice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Con ricorso al Giudice del Lavoro di Trieste M.B. titolare di pensione di anzianità dal gennaio 1996 come ex dipendente della s.p.a. "Altiforni e Ferriere di Servola"- conveniva in giudizio l I.N.P.S. e l I.N.A.I.L. per sentire dichiarare il proprio diritto al beneficio previsto dall ottavo comma dell art. 13 della legge n. 257/1992; beneficio consistente nell applicazione del coefficiente moltiplicatore 1,5 al periodo di continuativa ultradecennale attività prestata dal ricorrente in ambiente di lavoro esposto direttamente ed indirettamente all amianto.
Si costituivano in giudizio l I.N.P.S. e l I.N.A.I.L. che impugnavano integralmente la domanda attorea e ne chiedevano il rigetto.
L adito Giudice del lavoro rigettava la domanda del B. e - su impugnativa del soccombente e ricostituitosi il contraddittorio (con l I.N.A.I.L. che proponeva ricorso incidentale) - la Corte di Appello di Trieste respingeva l appello "principale", dichiarava inammissibile l appello "incidentale" e, per l effetto, confermava integralmente la sentenza di primo grado.
Per quello che rileva in questa sede la Corte territoriale ha rimarcato che: a) «l attore era in quiescenza sino dal gennaio 1996 con pensione di vecchiaia (decorrente dal mese indicato ora), prima della presente domanda giudiziale»; b) «la finalità delle leggi nn. 257/1992 e 271/1993 era solo quella di ovviare ai riflessi sull occupazione dell abbandono delle lavorazioni con l amianto con ricorso ad una serie di misure usuali in questi casi (cassa integrazione straordinaria, prepensionamenti e, come qui viene chiesto, supervalutazione del periodo contributivo effettivo)».
Per la cassazione di tale sentenza M.B. ha proposto ricorso affidato a due motivi e sostenuto da memoria ex art. 378 c.p.c..
L I.N.P.S. e l I.N.A.I.L. si sono costituiti in giudizio depositando rituale procura difensiva.
Diritto
I -. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 12 della legge n. 257/1992 e 13 (ottavo comma) della legge n. 271/1993, nonché vizi di motivazione" - rileva che «non esiste alcun riferimento testuale che possa far ritenere valida la limitazione e conclusione ritenuta dalla Corte di Appello, né di date né di pensionamenti avvenuti, ritenendosi di un beneficio approvato ai lavoratori senza alcuna limitazione restrittiva in proposito» e censura la sentenza impugnata in quanto «la tesi (sostenuta e fatta propria dalla Corte territoriale) secondo la quale sarebbero esclusi dal beneficio coloro già pensionati prima dell atto introduttivo del giudizio o prima dell entrata in vigore della legge, è illogica priva oltre che di valore di interpretazione testuale, è anche del tutto priva di criteri di interpretazione logica e aderente alle norme costituzionali, e anche mancante di ragionevolezza».
Con il secondo motivo il ricorrente - denunciando "violazione dell art. 12 della legge n. 257/1992 e dell art. 13 (ottavo comma) della legge n. 271/1993, nonché vizio di motivazione" - addebita alla Corte di Appello di Trieste di non avere considerato che «in realtà lo stato di esposizione al rischio costituisce lo stato di fatto concretante il beneficio; in ordine al quale necessita l accertamento del beneficio, per cui il contraddittorio eventuale sull esposizione al rischio spetta all I.N.A.I.L.».
II -. Il secondo motivo di ricorso - da esaminarsi prioritariamente rispetto al primo - si connota per la sua evidente inammissibilità.
Al riguardo, come si è dinanzi constatato, la Corte di Appello di Trieste aveva dichiarato inammissibile l appello incidentale dell I.N.A.I.L. sul punto dell eccepito difetto di interesse dell originario ricorrente, mentre le censure proposte con il secondo motivo di ricorso attengono a statuizioni sostanzialmente "di merito" non contenute affatto nella sentenza impugnata (che, vale ribadirlo, si arresta alla preliminare declaratoria di inammissibilità sulla questione "processuale" riguardante la posizione dell I.N.A.I.L. nel giudizio di appello).
Si conferma, pertanto, l inammissibilità del motivo di esame in quanto risulta così viziato per difetto di interesse il ricorso per cassazione che avendo attribuito alla statuizione impugnata una portata diversa da quella effettiva, censuri tale pronunzia per conseguire un risultato (nella specie, di ordine processuale) già ottenuto con la statuizione predetta (Cass. n. 1075/1994).
III -. Il primo motivo di ricorso si appalesa, invece, fondato nei sensi di cui alle considerazioni che seguono.
Nelle numerose decisioni di questa Corte che, successivamente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 2000 e tenendo conto del disposto dell art. 80, comma 25, della legge n. 388/2000 (legge finanziaria per il 2001), si sono occupate della questione controversa (ex plurimis; Cass. n. 5764/2001, Cass. n. 8859/2001, Cass. n. 13786/2001, Cass. n. 2926/2002, le cui argomentate motivazioni il Collegio fa proprie), la norma dell art. 13, ottavo comma, della legge n. 257/92 e successive modifiche è stata interpretata nel senso che la rivalutazione per il coefficiente 1, 5 dei periodi lavorativi comportanti esposizione all amianto, mentre non compete ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge n. 257/92 (28 aprile 1992) siano già titolari di una pensione di anzianità, o di vecchiaia ovvero di inabilità (quale prevista dall art. 2 della legge n. 222/1984), è invece applicabile ai lavoratori che, a quella medesima data, siano dipendenti delle imprese direttamente investite dall intervento legislativo (art. 1, secondo comma, della legge n. 257/92) di ulteriore produzione e uso della sostanza nociva, come pure ai lavoratori occupati in imprese operanti in settori diversi (o in quella stessa di provenienza, la quale, in ipotesi, abbia realizzato una riconversione produttiva), nonché a coloro che (sempre a quella data) versino in uno stato di temporanea "non occupazione" e, infine, ai titolari della pensione di invalidità (di cui al rd. l. n. 636/1939, convertito in legge n. 1272/1939 e successive modifiche) o dell assegno di invalidità (di cui all art. 1 legge n. 222/1984).
Di conseguenza, quindi, le sole situazioni che si pongono come ostative all applicazione del ripetuto art. 13, ottavo comma, sono quelle nelle quali l interessato, al momento della entrata in vigore della legge n. 257/1992, abbia definitivamente cessato l attività lavorativa e acquisito il diritto a una pensione (di anzianità o di vecchiaia) "fisiologicamente" collegata al realizzarsi di un simile evento, ovvero quelle nelle quali - sempre a tale momento - fruisca di una pensione di inabilità, stante la incompatibilità di tale trattamento, specificamente prevista dalla legge (art. 2, quinto comma, della legge n. 222/1984), con un attività lavorativa retribuita.
Per converso, il beneficio va riconosciuto ai lavoratori che abbiano conseguito la pensione di anzianità, o di vecchiaia ovvero di inabilità con decorrenza successiva alla entrata in vigore della legge n. 257/92, giusta il principio per cui la prestazione si liquida in base alle disposizioni vigenti (e, quindi con i vantaggi dalle stesse ritraibili) al momento di acquisizione del diritto. Costoro, pur avendo maturato i requisiti richiesti anche senza la prevista maggiorazione, possono tuttavia giovarsene per migliorare la prestazione, opportunamente comunicando all ente previdenziale l avvenuta esposizione all amianto alle condizioni previste dalla legge; si asterranno dalla richiesta solo coloro che, avendo già raggiunto il massimo di prestazione conseguibile, ossia i 40 anni di contribuzione, non riceverebbero alcun giovamento dall applicazione della legge.
Ciò, beninteso, sempre che ricorrano - nelle concrete fattispecie - tutti i presupposti necessari ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto all invocato beneficio, attinenti, segnatamente, alla esposizione ultradecennale all amianto, alla soggezione dell interessato all assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dalla esposizione all amianto e al rischio morbigeno, nella nozione fornitane dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte e, sinteticamente, definibile come rischio effettivo (e non solo presunto) del manifestarsi, anche a distanza di anni, delle malattie, quali esse siano, che l amianto è capace di generare, a causa della presenza, nel luogo di lavoro, di una concentrazione di fibre che, per essere superiore, in intensità, ai valori limite di cui al d.lvo n. 277/1991, come modificati dall art. 3 della legge n. 257/92 (poi sostituito dall art. 16 della legge n. 128/1998 ed anche in relazione ai successivi sviluppi della legislazione in materia), determina una obiettiva pericolosità dell attività lavorativa svolta.
Alla stregua di questi principi - che trovano fondamento nella identità del rischio morbigeno affrontato dai soggetti sopra menzionati, per i quali tutti sussiste, altresì, l uguale aspettativa della cessazione anticipata e definitiva dell attività lavorativa con l incremento di anzianità offerto dalla legge - la sentenza impugnata deve ritenersi non conforme a diritto, per aver rigettato la domanda del lavoratore sul presupposto, giuridicamente errato, che l aver conseguito una pensione di anzianità nella vigenza della legge n. 257/92 (ma senza la prevista maggiorazione) fosse di ostacolo all applicazione della norma dell art. 13, ottavo comma, della stessa legge.
IV -. In definitiva - confermando la statuizione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso - il primo motivo di ricorso proposto da M.B. deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione e deve, quindi, disporsi la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa ad altro giudice indicato nella Corte di Appello di Venezia per l indispensabile accertamento della ricorrenza, in concreto, di tutti gli elementi che integrano, nel loro insieme, la fattispecie costitutiva dell affermato diritto.
Il giudice di rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Venezia.
Così deciso, in Roma, il giorno 19 ottobre 2004.
EPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 GEN. 2005