Sono oltre due milioni e mezzo i lavoratori che lavorano tra le 24 e le 7, le 23 e le 6 oppure tra le 22 e le 6, e che per tale ragione possono essere definiti “lavoratori notturni”, ossia lavoratori che svolgono, in tali periodi, almeno tre ore del loro orario giornaliero di lavoro. Se i contratti collettivi non dispongono nulla in materia viene considerato lavoratore notturno quel lavoratore che svolge nel corso della notte almeno una parte del suo orario giornaliero, per un minimo di 80 giorni all’anno. Sulla totalità dei lavoratori notturni, il 24% è rappresentato da donne e il 76% da uomini.
A lavorare di notte sono soprattutto gli operai addetti alle industrie e alle attività manifatturiere, in particolare metalmeccanici, addetti al settore agroalimentare e cementifero, dove i “lavoratori notturni” sono 600mila. Il 15,7% è occupato nei servizi di smaltimento rifiuti e nelle pulizie, il 13,7% è impiegato nel settore dei trasporti, della logistica e della viabilità. Seguono poi gli addetti alla sicurezza (11,8%), alla sanità e all’assistenza (11%), nonché i lavoratori addetti ai call centers.
Il lavoratore notturno va sottoposto a visita medica preventiva e periodica biennale. È vietata l esecuzione di lavoro notturno, dalle 24 alle 6, da parte delle donne incinte, dall accertamento della gravidanza fino a un anno di età del bambino. Possono poi chiedere l’esenzione, alternativamente, i lavoratori e le lavoratrici subordinate, fino a che il bambino non abbia raggiunto i tre anni di età, l’unico genitore affidatario e convivente di un minore di 12 anni e coloro che abbiano a carico un disabile.
I lavoratori notturni sono destinatari di una particolare tutela, prevista dalle Direttive Europee 93/ 104/Ce e 2000/34/Ce, trasfuse nel decreto legislativo 66 del 2003, peraltro recentemente modificato dal decreto legislativo 213 del 2004. Con quest’ultimo provvedimento, in particolare, è stato posto l’accento sulla valutazione della salute dei lavoratori, da effettuarsi a carico del datore di lavoro tramite le strutture sanitarie pubbliche o il medico competente, con controlli periodici e preventivi, almeno ogni due anni, diretti a verificare l’assenza di eventuali controindicazioni alle prestazioni di lavoro notturno.
Il datore di lavoro, inoltre, deve garantire un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno, mentre per le lavorazioni che comportano rischi particolari, devono essere approntate adeguate misure di protezione, sia personale che collettive.
Il lavoro notturno è stato oggetto di numerosi studi che hanno condotto a risultati a volte contrastanti. In particolare, il lavoro notturno sarebbe “antibiologico”, dal momento che obbliga “a rovesciare il normale ciclo sonno-veglia”. Circa il 63 per cento delle persone impiegate di notte accusa disturbi del sonno, la cui durata può ridursi a 4-6 ore, mente la durata media per la persona sana è di 7-9 ore. Questa perdita determina una riduzione di energie e di reattività e provoca in breve tempo malesseri simili a quelli provocati dai voli con cambiamento di fuso orario: disturbi del sonno, irritabilità, dispepsia.
Particolarmente danneggiate dal lavoro notturno sarebbero le donne in gravidanza. Secondo i risultati pubblicati nello scorso novembre dal Journal of occupational & environmental medicine, un’indagine condotta in Danimarca su oltre 33.000 donne gestanti (di cui 8.000 occupate in lavoro a turni), ha dimostrato un netto aumento di rischio di aborto nelle lavoratrici stabilmente adibite ai turni di notte. |