CORSI E RICORSI NELLA PROGRESSIONE DI CARRIERA DELLA P.A.
Prof. Sergio Sabetta
Una recente indagine realizzata dall’Università LUISS – Guido Carli e dalla Methis Sviluppo S.A.L. per conto del dicastero della funzione pubblica ha preso in esame il settore dei ministeri e degli enti pubblici non economici per un totale di circa 255 mila dipendenti, pari a quasi il 10% dell’intero pubblico impiego, evidenziando gli aumenti per avanzamenti di carriera a seguito di corsi – concorsi interni.
Le progressioni orizzontali nella stessa area sono state pari al 61%, mentre le progressioni verticali da un’area all’altra sono state pari al 53%. La progressione non è stata omogenea in tutte le amministrazioni, variando notevolmente sia all’interno del comparto ministeriali, dal 5% delle infrastrutture al 99% del lavoro e dell’istruzione, che del comparto enti pubblici non economici, dal 25% dell’INPS al 100% dell’ENPALS.
L’area con il maggiore incremento ha riguardato la C, in particolare gli enti pubblici non economici, in cui si è raggiunto il 77,1% dell’intero personale.
E’ facile intuire che qualcosa non ha funzionato, quando si considera la piramide rovesciata che si è andata formando e i comportamenti fortemente disomogenei tra varie amministrazioni similari, a cui si è contrapposto l’ennesimo irrigidimento sulle dotazioni organiche ( ex art. 1, comma 93, della L. n. 311/04 – Finanziaria ) dal quale ne è seguita la circolare d’attuazione del dipartimento della funzione pubblica e del ministero dell’economia e delle finanze prot. n. 14115/05 in data 11/4/2005, nel tentativo di ridurre del 5% la spesa complessiva per il personale in servizio.
Già all’inizio del secolo scorso con il T.U. n. 693/1908 si ebbe un primo intervento nella sistematizzazione del rapporto di pubblico impiego, sfociato dieci anni dopo nel R.D. n. 1971/1919 con cui si introdussero le promozioni “a ruolo aperto” riducendo al contempo i gradi nell’ambito delle varie carriere. Ma solo quattro anni dopo, con la riforma De Stefani (RR.DD. nn. 2395 e 2960 del 1923), si ebbe la restaurazione del sistema a “ruolo chiuso” che, eliminando uno dei capisaldi della riforma del 1919, ritornò al sistema giolittiano del 1908 adottando il modello militare sia nella struttura che nello spirito e ricomprendendo tutto il personale civile in tre categorie distinte per titolo di studio (direttivi, di concetto, esecutivi).
L’impostazione della struttura è rimasta sostanzialmente la stessa nonostante il T.U. n. 3/1957, che ha provveduto a sistematizzare la giurisprudenza del Consiglio di Stato accumulata negli anni sul pubblico impiego e le varie leggine di settore con cui dal dopoguerra in poi si è provveduto ad interventi, in alcuni casi clientelari, nelle varie amministrazioni con la motivazione della necessaria riorganizzazione settoriale.
Negli anni ’80 con la L. n. 312/1980 e la successiva legge quadro n. 93/1983 si è provveduto ad una riorganizzazione del settore stato del pubblico impiego che si è risolto in uno scivolamento generalizzato grazie all’art. 4 della legge in esame, con conseguente svuotamento delle qualifiche iniziali, la reazione fu la creazione di un ulteriore IX qualifica (art. 15, L. n. 23/1986).
Il 1° comma dell’art. 4 contiene una tabella di inquadramento provvisorio nelle qualifiche funzionali a partire dalla seconda qualifica, si realizza in tal modo un primo scivolamento rispetto alle qualifiche dell’art. 2.
Ma il vero problema ha riguardato il quarto comma in cui si considerano i c.d. apicali, questo comma fu immediatamente visto come una pericolosa falla disgregatrice della nuova struttura per funzioni, tanto che il prof. Giannini, all’epoca ministro per la funzione pubblica, cercò di limitare l’impatto normativo proponendo di considerare gli inquadramenti ex commi 4 ai soli fini economici e non giuridici. La proposta fu duramente contestata da parte sindacale sensibile alle rivendicazioni non solo economiche, ma anche ai status dei propri iscritti.
Tuttavia le perplessità rimasero, tanto è vero che l’Ispettorato per gli ordinamenti del personale (I.G.O.P.) fece trascorrere quasi cinque mesi dalla pubblicazione della legge prima di emanare la circolare n. 96 del 2/12/80 con cui si dettarono le direttive di competenza per l’inquadramento nelle nuove qualifiche.
A seguito della determinazione dei profili professionali con DD.P.C.M., sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, sono state determinate per ciascuna Amministrazione le dotazioni organiche ai sensi dell’art. 6, 1° c. della L. n. 312/80, tali provvedimento hanno costituito presupposto necessario per le successive operazioni di inquadramento definitivo del personale.
Gli inquadramenti avvennero mediante decreti cumulativi delle singole Amministrazioni anche in soprannumero laddove il contingente dei profili professionali fosse insufficiente, come previsto esplicitamente dall’ottavo comma, con la sola precauzione che fino a quando le posizioni soprannumerarie non saranno riassorbite, i corrispondenti posti nel contingente dei profili professionali della qualifica immediatamente inferiori devono essere considerati indisponibili ai fini del reclutamento .
Al riguardo, relativamente ai provvedimenti adottati dal Ministero del Tesoro, furono sollevate dalla Delegazione al controllo della Corte dei conti una serie di perplessità giuridiche ed economiche sulla copertura finanziaria, dato anche l’effetto retroattivo al 1/1/78 del nuovo inquadramento; la riduzione delle qualifiche funzionali a semplici fasce retributive; il non rispetto dei titoli di studio richiesti per l’accesso alle qualifiche superiori. In sostanza si rilevava la circostanza che il nuovo inquadramento costituiva più un premio nei confronti del personale già in servizio, che non il soddisfacimento di specifiche esigenze della pubblica amministrazione.
La Sezione Controllo Stato della Corte dei conti, investita della questione, con delibera n. 2100 del 16/3/1989 riteneva legittimo l’operato dell’Amministrazione, affermando, circa la copertura finanziaria, il superamento di qualsiasi perplessità sulla base del nuovo art. II ter u.c. della L. n. 468/1978 secondo il quale “il provvedimento che comporti oneri accedenti le previsioni legislative di spesa deve precedere logicamente e cronologicamente l’intervento del Parlamento il quale dovrà poi adottare le conseguenti decisioni nel rispetto dell’art. 81 Cost.”.
Il problema delle mansioni superiori di cui ai commi 9° e 10° della L. n. 312/80 rimase congelato dopo lunga diatriba ed una serie di Circolari del Dipartimento della funzione pubblica (n. 21453 del 26/10/88, n. 31144 del 23/3/89, n. 32811 del 28/4/89), in conformità alla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato per la quale l’esercizio di fatto di mansioni superiori o comunque atipiche non può comportare la pretesa ad un trattamento giuridico ed economico diverso da quello conferito al dipendente con atti formali di nomina o promozione, si negava pertanto l’estensione al rapporto di diritto pubblico dell’art. 13 della L. n. 300/1970 (Consiglio di Stato, Sez. IV, 16/3/87, n. 151 e n. 30/9/87, n. 564 e Sez. VI, 6/10/86, n. 767; 2/12/87, n.937).
Diversa l’esperienza del comparto universitario in cui si è avuto un rapido inquadramento ai sensi della L. n. 312/80, ma con una lunga coda di contenzioso e con forti analogie alle procedure contrattuali per aree attualmente in atto nella P.A.
Il personale non docente in servizio al 1/7/79 venne inquadrato provvisoriamente ai sensi dell’art. 82 della L. n. 312/80 in sei qualifiche che andavano dalla seconda, per il personale ausiliario e gli operai comuni, alla settima, per il personale delle carriere direttive. Ma la permanenza fu di breve durata, perché immediatamente si diede attuazione alla procedura prevista per la collocazione nelle qualifiche funzionali corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte nel periodo indicato secondo il disposto dell’art. 85.
Il primo passo fu la costituzione con decreto interministeriale P.I./ Tesoro, in data 27/7/80, della Commissione nazionale paritetica al fine dell’identificazione delle qualifiche dei profili professionali, nonché per la definizione delle procedure di accertamento delle mansioni e funzioni del personale indicato nell’art. 78 (art. 80). Nonostante le successive modifiche alla Commissione predetta (DD.II. 18/8/80 e 15/10/80) questa completò rapidamente i lavori con la pubblicazione del D.P.C.M. in data 24/9/81, contenente la declaratoria delle qualifiche funzionali e dei profili professionali; nel frattempo con decreto interministeriale P.I./Tesoro del 10/12/80 furono determinati i criteri per l’inquadramento del personale in servizio.
Ma anche il personale assunto successivamente al luglio 1979 venne inquadrato con riferimento alle mansioni prevalentemente svolte, come per il restante personale.
Riguardo alla procedura per l’inquadramento ai sensi dell’art. 85, deve osservarsi il decentramento agli Atenei della procedura in questione. Dopo avere rilevato la struttura organizzativa di ciascun ufficio, vennero rilevate mediante schede individuali compilate dai Direttori le singole posizioni, trasmesse successivamente alle competenti Commissioni istruttorie che, sentite le organizzazioni sindacali, trasmettevano le proposte ai C. di A. per la formulazione della proposta ufficiale di inquadramento al Rettore.
Ben presto sorsero contrasti con la Corte dei conti al momento della registrazione dei singoli decreti di inquadramento. Le varie Amministrazioni universitarie diedero interpretazioni piuttosto estensive sia ai dati risultanti dalle schede di rilevamento individuali che ai contenuti delle singole qualifiche funzionali. Si preferì dare la più ampia soddisfazione alle attese del personale in modo da creare un ampio consenso interno, purtroppo ne derivarono vari inconvenienti quali la riduzione delle qualifiche funzionali a sole fasce retributive e lo svuotamento delle qualifiche inferiori con un inquadramento in soprannumero nelle qualifiche superiori, senza che vi fosse un effettivo cambiamento delle mansioni svolte, ma creando le premesse per un ulteriore ampliamento degli organici delle fasce alte.
Ma anche la gestione dell’operazione non fu la più trasparente se solo si esaminano le schede di rilevamento delle mansioni, in cui vi è una notevole differenza fra il personale dei vari Dipartimenti e Facoltà ed il personale del Rettorato, con salti di due, tre, fino a quattro qualifiche in alcuni casi.
Si può sostanzialmente affermare che in alcuni settori vinse il sistema delle clientele, in grado di trasformare un metodo di rilevamento in uno strumento di potere per premiare o penalizzare questo o quel dipendente.
Quanto detto trova conferma nei dati ISTAT al 1989 in cui su 40.940 unità totali ben 10.859 rientrano nelle qualifiche superiori settima e ottava, con un rapporto di uno a tre (Statistiche sull’Amministrazione Pubblica ed. ISTAT 1989, pag. 49, tavola I.25).
Copiosa fu la giurisprudenza della Corte dei conti, all’epoca ancora titolare del controllo di legittimità sui decreti di inquadramento (ante L. n. 20/94), basti pensare alle varie delibere della Sezione controllo Stato quali la n. 1733/87, n. 1573/85, n. 1698/86, n. 1983/88, n. 1695/86 e n. 1748/87 con cui nell’affrontare le varie problematiche emerse si ricusarono i visti di registrazione.
L’opera di razionalizzazione, resa ingrata dalla mole dell’attività svolta, fu vanificata dall’art. 2 della L. n. 63/89 con cui si richiamarono in vita i provvedimenti di inquadramento originariamente adottati, salvo provvedimenti con effetti più favorevoli ai dipendenti, rendendo privi di effetto i successivi decreti di inquadramento posti a correzione e dei precedenti sia a seguito delle osservazioni avanzate dagli uffici di controllo che in autotutela dalla stessa amministrazione.
BIBLIOGRAFIA
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