1. Cos’è il lavoro autonomo professionale.
Quando si parla di lavoro autonomo dal punto di vista dell’inquadramento del rapporto di lavoro è possibile distinguere tre fattispecie:
a) lavoro autonomo, contratto d’opera o professionale (artt. 2222 e 2230 c.c.);
b) lavoro autonomo occasionale accessorio (art. 70 e ss. del D. Lgs. 273/2003);
a) collaborazione coordinata e continuativa e a progetto (art. 409 c.p.c. e artt. 61 e ss. del D. Lgs. 273/2003).
Nell’ambito delle prestazioni d’opera vi è il contratto d’opera intellettuale che è regolato dagli artt. 2230 e ss. del c.c. Nel contratto di opera professionale non è necessario che l’opera, quale oggetto del rapporto, sia compiutamente delimitata in tutti i suoi particolari e dettagli, essendo sufficiente la sua individuazione nelle caratteristiche essenziali. L’impegno assunto dal professionista costituisce di regola un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista si obbliga a prestare la propria opera intellettuale e scientifica per raggiungere il risultato sperato, ma non a conseguirlo. Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto e può, tuttavia, avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione.
L’art. 1176 c.c. prevede che nell’adempiere la prestazione il lavoratore autonomo deve usare la diligenza del buon padre di famiglia; peraltro, la giurisprudenza preminente precisa che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
2. I compensi.
In tema di compensi spettanti ai prestatori d opera intellettuale, l art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai relativi criteri di liquidazione, indicando, in primo luogo, l accordo delle parti, in via soltanto subordinata le tariffe professionali ovvero gli usi, in estremo subordine, infine, la decisione del giudice, previo parere obbligatorio (anche se non vincolante) delle associazioni professionali. Pertanto, il ricorso a tali criteri di carattere sussidiario è precluso al giudice quando esista uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Vedi: Cass. civile sez. II, 23 maggio 2000, n. 6732). Infatti, a tal riguardo, la giurisprudenza maggioritaria e la dottrina sostengono che ai sensi dell art. 2233 c.c., la determinazione del compenso per le prestazioni professionali va effettuata, in assenza di disciplina convenzionale, alla stregua delle norme di natura regolamentare trasfuse nella tariffa approvata nelle forme di legge, o, alternativamente, degli usi eventualmente vigenti nella materia, mentre solo subordinatamente alla accertata impossibilità di applicazione di tali criteri può venire in rilievo la valutazione equitativa del giudice, svincolata dal rispetto dei limiti tariffari. Peraltro, la situazione di impossibilità di reperimento della fonte regolatrice della determinazione del compenso non può ritenersi integrata per il solo dato di fatto della omessa allegazione, da parte del professionista, del parere del competente organo professionale, ove il giudice, a sua volta, abbia omesso di provvedere alla acquisizione dello stesso, in conformità al disposto del citato art. 2233 c.c. In tale ipotesi, è, pertanto, illegittima la determinazione del compenso effettuata con valutazione equitativa del giudice in deroga ai minimi tariffari, in quanto operata al di fuori delle condizioni cui la predetta norma codicistica subordina l esercizio di tale potere da parte del giudice, senza che assuma rilievo, al riguardo, la problematica relativa alla lamentata incompatibilità del carattere inderogabile dei minimi tariffari, previsto dalla normativa vigente, con i principi dell ordinamento comunitario in materia di libera concorrenza.
Il potere del giudice di determinare discrezionalmente il compenso del professionista, incontra il duplice limite della richiesta obbligatoria del parere non vincolante dell associazione professionale cui il professionista appartiene e della necessità di adeguare la misura del compenso all importanza dell opera e al
decoro della professione: l esercizio di tal potere, inoltre, è subordinato alla mancanza di un intesa fra gli interessati circa la misura del compenso (Vedi, Cass. civile sez. II, 22 gennaio 2000, n. 694).
Inoltre, bisogna sottolineare che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che le disposizioni degli art. 2229 ss. c.c. relative al contratto di prestazione d opera non escludono la possibilità di accordi di prestazione gratuita, nè determinano una presunzione, anche iuris tantum, di onerosità dell opera intellettuale. Quindi, in tema di prestazione d opera intellettuale, la onerosità del relativo contratto, che ne costituisce elemento normale, come risulta dall art. 2233 c.c., non ne integra, peraltro, un elemento essenziale, nè può essere considerato un limite di ordine pubblico alla autonomia contrattuale delle parti, le quali, pertanto, ben possono prevedere espressamente la gratuità dello stesso. (Nella fattispecie, la S.C., in applicazione di detto principio, ha confermato la decisione della Corte di merito, la quale aveva ritenuto legittima la clausola contrattuale che condizionava il diritto al compenso per la prestazione di un ingegnere, cui il comune di Castellana Grotte aveva commissionato un progetto relativo alla sistemazione delle strade esterne di quel centro, al conseguimento delle approvazioni richieste e dei finanziamenti pubblici delle opere, eventi non verificatisi, con conseguente, mancata corresponsione dell onorario al professionista per la prestazione svolta dallo stesso).