L’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 può essere considerato, nonostante le numerose modifiche apportate dall’art. 33 del D.Lgs n. 546 del 1993 e poi dall’art. 29 del D.Lgs n. 80 del 1998, la “norma cardine” che ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie concernenti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, lasciando al giudice amministrativo una residuale giurisdizione relativa a determinati rapporti di impiego del personale.
Non poche sono state le critiche a tale scelta di sottrarre al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di lavoro pubblico e, soprattutto, di reintrodurre un riparto di giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario per materie, piuttosto che per situazioni soggettive lese.
Critiche che ponevano la propria attenzione sul pericolo di possibili incidenti processuali, dovuti alle interferenze tra controversie spettanti alla giurisdizione del giudice amministrativo, aventi ad oggetto questioni di natura organizzativa, e controversie attribuite al giudice ordinario, relative al rapporto di lavoro; si pensi, ad esempio, alla sospensione del processo pendente dinanzi al giudice civile in attesa della definizione del “pregiudiziale” processo amministrativo,.
Con simile vigore il Consiglio di Stato aveva contestato il processo di “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro pubblico, operato dalla legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, cui era strettamente collegato il processo di trasferimento delle controversie in materia di lavoro pubblico dal giudice amministrativo al giudice ordinario, sottolineando gli inconvenienti derivanti da tale trasferimento.
Si poneva, infatti, in evidenza che “la privatizzazione generale e globale del pubblico impiego non sarebbe stata obiettivamente possibile, non potendosi alterare la sostanza del rapporto di impiego pubblico che trae la sua qualificazione dalla natura degli interessi che sono implicati nell’attività amministrativa dei poteri dell’ente pubblico e delle strutture in cui i lavoratori sono inseriti”.
Tali critiche, però, non sono servite a placare la foga del legislatore che, prima con la legge n. 59 del 1997, nota anche come Bassanini 1, e poi con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, attuativo della predetta legge, ha voluto delegare il Governo ad emanare decreti legislativi per completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e a riscrivere, in esecuzione della delega, il precedente art. 68, fissando al 30 giugno 1998 la data di devoluzione delle controversie di lavoro pubblico al giudice ordinario. La stessa norma chiarisce che “le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. e debbono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000”.
A completamento della riforma è, poi, intervenuto il D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 che ha aggiunto al comma 1 dell’art. 68 il “conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e le responsabilità dirigenziali…”, chiarendo la natura contrattuale dell’incarico di direzione e delle relative responsabilità.
Con l’emanazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, la materia dell’impiego e, in particolare, il trasferimento di giurisdizione, corollario ormai naturale della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, hanno trovato la sua organica risistemazione.
L’art. 63 del D.Lgs. 165/2001, recependo l’art. 68 D.Lgs. 29/93, devolve, ora, al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse le controversie concernenti l’assunzione, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali (voce aggiunta dall’art. 18 del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387) e la responsabilità dirigenziale.
Il medesimo articolo ricomprende nel concetto di pubblica amministrazione le amministrazioni dello Stato, inclusi gli istituti, le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative; le aziende ed amministrazioni dotate di ordinamento autonomo; gli enti territoriali (ivi compresi i consorzi e le associazioni tra questi); le istituzioni universitarie; gli istituti autonomi case popolari; le camere di commercio, industria e artigianato e agricoltura nonché tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.
Sono devolute, inoltre, al giudice ordinario, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) e le controversie promosse dalle organizzazioni sindacali, dall’ARAN e dalle pubbliche amministrazioni relative alle procedure di contrattazione collettiva.
Quanto alla cessazione del rapporto di lavoro, è soppressa la giurisdizione del G.A. per il trattamento di fine rapporto, che transita in capo al G.O.
In ultimo, l’art. 17, comma 74 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (c.d. Bassanini-bis ), con opzione da ultimo confermata dal D.Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico enti locali), ha ricompresso la categoria dei segretari comunali e provinciali nell’ambito della contrattazione collettiva, per cui anche tale categoria rientra adesso nel comparto di contrattazione delle amministrazioni locali.
La giurisdizione del G.O. viene in essere, ogni qual volta la controversia riguardi un rapporto di lavoro subordinato o equiparato, ossia abbia per oggetto un atto di gestione di natura privatistica.
Si può parlare, quindi, di giurisdizione esclusiva?
A riguardo la Sez. V del Consiglio di Stato, con sentenza n. 1519, rileggendo l’art. 68 del D.Lgs. 29/93, ha rilevato la piena esclusività di tale giurisdizione; giurisdizione ormai indifferente alla posizione soggettiva dedotta (propria del criterio tradizionale di riparto fra le due giurisdizioni) e, dunque, estesa a eventuali posizioni di interesse legittimo, residuanti a seguito della privatizzazione.
Tale affermazione ci lascia, però, perplessi, soprattutto in riferimento alla sola possibilità, in capo al G.O., di disapplicare l’atto amministrativo, con la conseguente necessità, da parte dell’interessato, di rivolgersi al G.A. ai fini dell’eventuale annullamento dell’atto lesivo di interessi legittimi.
Ma vi è di più. La giurisdizione esclusiva del G.O., estesa anche agli interessi legittimi, andrebbe a cozzare con la riserva al G.A. della cognizione degli interessi legittimi, sancita dall’art. 103 della Costituzione.
Viene invece riservata al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di procedure di ammissione al rapporto di lavoro. Si tratta di controversie riguardanti la procedura concorsuale in senso stretto (dalla pubblicazione del bando all’approvazione della graduatoria dei vincitori) e riservate al giudice degli interessi legittimi, dal momento che gli atti relativi ad una procedura di evidenza pubblica sono e rimangono amministrativi. I concorsi dunque conservano la natura pubblicistica poiché antecedenti alla costituzione del rapporto di lavoro e quindi esclusi dalla sua privatizzazione.
La Commissione paritetica di studio dell’11 dicembre 2003 ha ridefinito il concetto di concorso. Si tratta di una procedura caratterizzata dalla valutazione dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria. Rimangono escluse da tale definizione le assunzioni che non sono basate su una logica selettiva o le procedure di mera verifica di idoneità dei soggetti da assumere volte solo alla mera verifica della capacità in termini assoluti del soggetto.
In seguito la Cassazione civile (Sez. Un., 13 agosto 2002, n. 12200) ha chiarito che non costituiscono procedure concorsuali quelle rivolte alle attività propedeutiche all’assunzione.
E’ proprio in tema di assunzione che si riafferma la giurisdizione del G.O. la quale si caratterizza dal potere di pronunciare sentenze con efficacia costitutiva (art. 68 comma 2), purchè si tratti di assunzioni che avvengono attraverso meccanismi non concorsuali.
Non poca importanza riveste la posizione del soggetto vincitore del concorso, per alcuni collocabile nell’alveo del diritto soggettivo, per altri in quello dell’interesse legittimo.
A riguardo è indispensabile focalizzare l’attenzione sul momento della proclamazione del vincitore e distinguerlo dai momenti dell’emanazione del bando, espletamento delle procedure concorsuali e approvazione della graduatoria, nei quali la pubblica amministrazione può rivalutare la compatibilità della copertura del posto con l’interesse pubblico.
Infatti in seguito a detta proclamazione, la P.A. non esercita più poteri di natura pubblicistica, ma è semplicemente tenuta alla esecuzione del contratto di assunzione, non avendo più, l’atto di nomina, alcuna natura discrezionale.
Questa teoria ben si sposa con la tesi della Cassazione secondo cui “per i lavoratori, con i quali il rapporto di impiego si costituisce mediante contratto e non in virtù di atto unilaterale di nomina, deve riconoscersi il grado di protezione del diritto soggettivo all’interesse a stipulare il contratto, correlato all’obbligo della P.A. di prestare il proprio consenso. Esaurita la procedura concorsuale, infatti, si è ormai sul terreno degli atti di gestione e della capacità di diritto privato ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. 165/2001”.
Rientrano in particolare nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria le controversie proposte da soggetti che pretendano di essere inclusi nel novero dei chiamati alla stipulazione del contratto di lavoro, i quali vantano una certa posizione nella graduatoria già approvata e sono in possesso dei requisiti stabiliti dal bando di concorso. Tali soggetti fanno valere, dunque, il loro diritto all’assunzione senza porre in discussione le procedure concorsuali, con la conseguenza che, trattandosi di impiego assoggettato al regime contrattuale, la domanda giudiziale a tal fine proposta è devoluta alla giurisdizione del G.O., ai sensi dell’art. 63, comma 1 del D.Lgs. n. 165/2001.
Un particolare problema, susseguente alla divisione per materia, riguarda l’individuazione della competenza nel caso di concorsi interni riservati a persone che hanno già incardinato un rapporto di lavoro con una P.A. e che mirano al passaggio da un’area inferiore a quella superiore.
Una prima interpretazione ha qualificato tali procedure interne come atti privatistici di gestione del rapporto di lavoro, alla luce del combinato disposto degli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 165/2001 che demanda alla P.A. la capacità privatistica di gestire i rapporti di lavoro con i dipendenti per mezzo di atti “datoriali”. Le progressioni in carriera, dunque, altro non sono che forme di modificazione per gradi di un lavoro già in itinere, attraverso le quali si mira ad una elevazione dell’inquadramento e non alla stipulazione di un ulteriore contratto.
Di tutt’altra opinione è stata, però, la Cassazione che, con la sentenza del 15 ottobre 2003, n. 15403 delle Sezioni Unite, riservando alla giurisdizione del G.A. “le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle P.A.”, ha chiarito l’ambito di operatività del comma 4 dell’art. 63, D.Lgs. 165/2001 che fa riferimento anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore. Il termine “assunzione” deve, in tal senso, essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire, e non più soltanto all’ingresso iniziale all’interno del solo personale.
Opinione, questa, di recente confermata dalla Sez. IV del Consiglio di Stato che, con sentenza del 7 giugno 2004, n. 3542, ha ribadito che le procedure (anche selettive) che consentono al dipendente il passaggio da un’area inferiore a quella superiore si configurano come vere e proprie procedure concorsuali in ordine alle quali sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo.
Sono inoltre sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario le categorie di lavoratori escluse dal processo di privatizzazione (art. 2, comma 4 del D.Lgs. n. 29/93 ora art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001), per le quali rimane ferma la giurisdizione piena, oltre che esclusiva, del giudice amministrativo. Il requisito di pienezza è riconducibile alla scelta del legislatore di togliere al G.O. la cognizione delle questioni patrimoniali consequenziali; decisione, questa, che evita di sovraccaricare ulteriormente il G.O. nella cui sfera di competenza tali pronunzie dovrebbero rientrare.
Il dipendente non privatizzato potrà, quindi, rivolgersi al G.A. per ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo, oltre che (o solo) il risarcimento del danno.
Si è voluto, in tal senso, rendere il processo amministrativo il più possibile vicino a quello civile, caratterizzandolo di quei requisiti di maggior rapidità che dovrebbero essere tipici del rito ordinario. Si pensi, ad esempio, all’art. 8 della legge n. 205/2000 nella parte in cui chiede l’applicazione del libro IV del codice di procedura civile, ossia delle norme in materia di ingiunzione.