Le truffe. L’INPS come soggetto passivo del reato.
del Dr. Domenico De Fazio (Funzionario Direzione Generale INPS) )*
* Le opinioni espresse all’interno di tale contributo sono personali e non riconducibili all’amministrazione di appartenenza.
PREMESSA.
Osservando le numerose figure di frode presenti nel nostro ordinamento (artt.640, 640bis, 316bis, 316ter c.p.) non si può non notare la crescita esponenziale del loro numero nel codice e nelle leggi speciali[1].
Questa tendenza è certamente legata all’affermarsi di un modello di Stato sociale nel quale è diffuso un sistema di previdenze ed erogazioni da parte di vari enti pubblici verso soggetti che rispondono a certi requisiti.
La “creazione” artificiosa di tali requisiti al fine di ottenere le erogazioni pubbliche è pratica molto diffusa e organizzata; essa riguarda organizzazioni criminali, imprenditori, “colletti bianchi” e numerosi altri soggetti, tra cui i possibili beneficiari di prestazioni temporanee erogate dall’INPS.
1. Truffa (art.640 c.p.).
Commette il reato in esame chiunque, con artifici e raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Finalità della norma è tutelare la libera manifestazione del consenso nell’ambito dei negozi patrimoniali.
Gli elementi del reato sono i seguenti:
- una particolare condotta fraudolenta posta in essere dall’agente, consistente in “artifici e raggiri”;
- l’induzione in errore della vittima come conseguenza degli artifici e raggiri;
- il compimento da parte della vittima di un atto di disposizione patrimoniale a seguito della detta induzione in errore;
- un danno patrimoniale derivato al soggetto passivo con il conseguente ingiusto profitto per l’agente o per altri.
Ø Gli artifici e i raggiri.
L’artificio si sostanzia nel far apparire come vera una situazione non riscontrabile nella realtà, mentre il raggiro consiste in una condotta (ad esempio, una argomentazione) tesa a produrre un falso convincimento nella vittima[2].
Entrambi devono mirare ad indurre taluno in errore, anche se l’art.640 non richiede l’idoneità ingannatoria dei mezzi adoperati dall’agente.
Al proposito, la giurisprudenza ritiene che tale idoneità vada valutata in concreto, avendo riguardo alla particolare situazione di fatto, alle modalità di esecuzione del reato e allo stato psichico ed intellettuale della vittima (Cassazione, sentenza del 27.07.1990)[3].
Ø L’induzione in errore e il compimento dell’atto di disposizione patrimoniale.
Gli artifici e raggiri usati dall’agente devono avere come conseguenza l’induzione in errore della persona, consistente nella positiva certezza da parte di quest’ultima dell’esistenza di una situazione che in realtà non esiste.
L’inganno non viene meno quando sia stato facilitato dalla leggerezza di colui al quale l’inganno era rivolto; inoltre, la truffa si configura anche nel caso in cui la persona indotta in errore non si identifichi con il danneggiato.
A seguito dell’errore cagionato dall’artificio o raggiro, la vittima deve compiere un atto di disposizione patrimoniale.
Perché vi sia la truffa occorre un effettivo nesso di causalità tra gli artifici e raggiri, l’errore e la determinazione del consenso del truffato all’atto dispositivo[4].
Ø Il danno patrimoniale e l’ingiusto profitto.
L’atto dispositivo compiuto dalla vittima come conseguenza dell’induzione in errore deve procurare alla stessa un danno patrimoniale, inteso sia come perdita di un bene patrimoniale sia come mancato acquisto di utilità economica.
Al danno della vittima deve corrispondere un ingiusto profitto per l’ingannatore o per altri.
Esso si realizza quando il soggetto attivo consegua, per effetto dell’attività fraudolenta espletata e della induzione in errore della vittima, l’acquisizione di qualsiasi utilità patrimoniale e non (Cassazione, sentenza del 20.12.1992) che non sia dovuta.
Ø Elemento soggettivo.
L’agente deve volere non solo la propria azione, ma anche l’inganno della vittima come conseguenza della sua azione, la disposizione patrimoniale come conseguenza dell’inganno e, infine, la realizzazione del profitto proprio o altrui e del danno della vittima.
Ø Circostanza aggravante speciale.
Secondo il c.2 n.1 della norma in esame, la truffa è aggravata se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico: in tal caso, alla ordinaria lesione patrimoniale si aggiunge quella agli interessi della P.A. interessata.
Tale reato aggravato (ulteriormente anche ai sensi dell’art.61 nn.9 e 11 c.p.) si configura, ad esempio, nel caso in cui un pubblico funzionario abbandona il posto di lavoro clandestinamente, celandolo a chi avrebbe dovuto esserne a conoscenza, per compiere, nell’orario di lavoro, un’attività incompatibile con le sue incombenze, inducendo in tal modo la P.A. datrice di lavoro a ritenere erroneamente che le mansioni del dipendente fossero da questi regolarmente espletate e che, quindi, avesse titolo alla retribuzione (Cassazione, sentenza del 30.01.1990, n.1121)
2. Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art.640bis c.p.)
La fattispecie di cui all’art.640bis c.p. è stata introdotta con l’art.22 legge n.55/1990 - recante disposizioni per la prevenzione della delinquenza mafiosa - e rappresenta una species del genus truffa[5].
Il dibattito della dottrina su questo argomento si è sviluppato alla fine degli Anni ‘70, a prescindere da uno specifico riferimento alla criminalità organizzata.
Veniva sottolineato da più parti che il ripetersi di casi di illecita captazione di finanziamenti pubblici, anche in sede comunitaria, era una realtà capace di esprimere una “poliedrica” offensività e una fortissima carica criminogena, sia perché tali abusi erano (e sono) spesso accompagnati da fenomeni delittuosi collaterali, sia perché “costringono gli altri operatori economici a adottare comportamenti imitativi” (Petrella, 1995).
Anche l’applicazione dell’art.640 nella forma aggravata - di cui al secondo comma, n.1- incontrava limiti difficilmente superabili, come nell’ipotesi di fraudolenta captazione seguita da un regolare ed effettivo utilizzo dei finanziamenti ovvero nell’ipotesi di regolare ottenimento dell’erogazione, seguito dal mancato perseguimento del suo scopo.
Da ciò è sorta l’esigenza di un modello nuovo di incriminazione “realizzante una forma anticipata di tutela rispetto al raggio tipico della truffa e capace di inquadrare i vari modelli di condotte illecite incidenti sulle varie fasi in cui si snoda il procedimento di erogazione del credito agevolato, fino alla verifica della realizzazione degli scopi presupposti del finanziamento” (Insolera, 1991).
La nuova fattispecie si configura come una circostanza aggravante dell’ordinaria fattispecie di truffa: la sua struttura ricalca quella della fattispecie ordinaria, con l’unico elemento qualificante rappresentato dalla tipologia del profitto del reato (“erogazioni…comunque denominate”, da parte dello Stato, enti pubblici o Comunità Europea).
Per il modesto valore dell’aumento di pena apportato dal nuovo articolo (reclusione da 1 a 6 anni) e per la sottoponibilità della circostanza al giudizio di valenza ex art.69 c.p., di fatto, si tratta di una norma certamente finalizzata al contrasto di un fenomeno molto preoccupante[6] ma con una scarsa efficacia deterrente.
Ø Condotta e oggetto materiale.
L’art.640bis prevede le stesse condotte del reato di truffa (artifizi e raggiri), mentre l’elemento specializzante è dato dall’oggetto materiale: “contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dalla Comunità europea”.
Le perplessità circa la determinatezza della fattispecie vengono superate ritenendosi sufficientemente precisato il genus di finanziamenti rilevanti ex art.640bis: infatti, sono tassativamente indicati i soggetti erogatori, emerge la natura pecuniaria dell’agevolazione e, infine, il richiamo alla ampia tipologia del “finanziamento” consente il riferimento a tutti quei conferimenti pecuniari con finalità di interesse pubblico (Petrella, 1995, p.370).
3. Art.316ter c.p.: indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.
L’art.316ter sanziona, al primo comma, la condotta di “chiunque, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante ..., consegue indebitamente, per sé o altri, contributi, finanziamento ...” dallo Stato o da un ente pubblico; al secondo comma prevede una semplice sanzione amministrativa, qualora la somma indebitamente percepita non superi una certa soglia minima.
L’art.316-ter è volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella già offerta dall’art.640bis coprendo gli eventuali margini di scostamento - per difetto - del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode “in materia di spese”.
Ne deriva la “inequivoca vocazione sussidiaria” di tale norma, ribadita anche dalla Corte Costituzionale (ordinanza n.95/2004).
Rientrerà nell’ordinario compito interpretativo del giudice accertare, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie delineata dall’art.316ter integri anche la figura descritta dall’art.640bis, facendo applicazione, in tal caso, solo di quest’ultima previsione punitiva.
3.1. I rapporti tra art.640bis e art.316ter
La sentenza della Corte di Cassazione n.41928/2001 ha affermato che il potenziale conflitto tra i due reati in questione va risolto applicando il principio di sussidiarietà.
L’art.640bis, norma principale, comprende in sé, esaurendo l’intero disvalore del fatto e assorbendo l’interesse tutelato dall’art.316ter.
Pertanto, il giudice chiamato a decidere dovrà preliminarmente verificare se ricorrano gli estremi per l’applicazione dell’art.640bis e solo dopo l’esito negativo di tale verifica potrà e dovrà valutare se possa eventualmente trovare applicazione la norma di cui all’art.316ter.
4. Frode informatica
Le fattispecie tradizionali si sono dimostrate insufficienti nel contrastare gli attacchi portati ai beni giuridici protetti attraverso l’utilizzo del computer. Pertanto, il legislatore, attraverso la legge n.547/1993, ha introdotto disposizioni integrative, che si affiancano a quelle preesistenti e ne ampliano la portata.
In questa prospettiva va inquadrata la creazione della fattispecie di frode informatica, nella quale, punendo chi “alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinente, procura a sé o ad altri un profitto con altrui danno”, si elimina il riferimento all’ulteriore requisito dell’induzione di taluno in errore, richiesto dalla fattispecie ordinaria di truffa.
La mancata induzione dell’errore altrui nell’ipotesi di computer crimes ostava all’applicazione dell’art.640 c.p. nei casi di captazione di indebiti vantaggi patrimoniali raggiunta mediante la fraudolenta alterazione del programma informatico.
La possibilità di attrarre il fatto nell’orbita di operatività dell’art.640 era preclusa dall’essere l’attività ingannatoria rivolta all’elaboratore elettronico e non nei confronti di una persona fisica[7].
5. Indebite prestazioni economiche elargite dall’INPS: proposte per la prevenzione e giurisprudenza.
L’INPS, per il suo ruolo istituzionale di ente erogatore di prestazioni sociali di vario tipo, risulta spesso tra i soggetti passivi del reato di cui all’art.640bis c.p.; in particolare, ciò avviene nell’ambito delle prestazioni c.d. a sostegno del reddito.
Tale reato - diffuso particolarmente nel settore agricolo e nelle regioni del Sud Italia – quasi sempre concorre con altri gravi reati, tra cui l’associazione a delinquere, anche di tipo mafioso, altre truffe ai danni di altri enti pubblici, reati di corruzione e falso.
La gravità del fenomeno è ulteriormente testimoniata dal fatto che i molti procedimenti penali instaurati nel corso degli anni coinvolgono centinaia o migliaia di imputati, con un giro di denaro è molto elevato[8].
- Le condotte più note e ricorrenti riguardano il settore dell’agricoltura. In tale ambito le fattispecie concrete si caratterizzano per la presenza di aziende che impiegano operai su terreni inconsistenti rispetto al numero di lavoratori e di giornate denunciate oppure per la simulazione di rapporti lavorativi fittizi o di aziende c.d. fantasma.
Le condotte illecite sono finalizzate all’ottenimento dell’indennità di disoccupazione, di malattia e di maternità nonché alla correlativa contribuzione figurativa.
Spesso le somme erogate dall’INPS vengono divise tra i falsi lavoratori e gli organizzatori della truffa; alcune volte sono coinvolti nell’attività illecita funzionari pubblici o altri professionisti.
- Recentemente, si sono registrate truffe finalizzate alla percezione indebita degli assegni per il nucleo familiare. In tal caso, considerando che una sentenza della Cassazione del 2000 permette il pagamento di tali assegni anche per i nipoti inseriti nel nucleo familiare dei nonni pensionati, purché i genitori siano disoccupati senza alcun reddito, i genitori hanno fatto ricorso a false dichiarazioni - relative alla mancanza di reddito – e i nonni hanno prestato il loro consenso all’inserimento dei nipoti nel loro nucleo familiare.
- In altre ipotesi, invece, è stato contestato anche il reato di frode informatica.
Visto che i processi produttivi dell’INPS sono ormai gestiti attraverso procedure informatiche, sono stati scoperti casi in cui, attraverso l’alterazione dei dati e degli archivi informatici, si sono artificiosamente create o modificate “carriere lavorative” in modo tale da fare risultare esistenti requisiti pensionistici o altri dati utili per far conseguire prestazioni economiche.
Nonostante il costante impegno dell’Istituto e delle forze di Polizia nell’attività di prevenzione e repressione delle truffe in parola, il fenomeno non accenna a diminuire, come dimostrano le truffe recentemente scoperte.
Appare chiara la necessità di interventi normativi che agiscano sul piano della prevenzione e garantiscano all’INPS maggiori possibilità di controllo.
A tale riguardo, la legge 27 marzo 2004, n.77, che ha convertito con modifiche il D.L. n.16/2004, ha previsto una nuova modalità della denuncia delle aziende agricole[9]: dopo la presentazione di detta denuncia, se a seguito della stima tecnica – prevista per il raffronto tra dati aziendali ed elementi relativi alla manodopera occupata (art.8 c.2 D.lgs.n.375/1993) – sia accertato il mancato svolgimento delle prestazioni lavorative, l’INPS disconoscerà tali prestazioni ai fini della tutela previdenziale.
Occorrerebbe, poi, intensificare e migliorare la qualità dei controlli ispettivi - utilizzando al meglio il sistema dei dati incrociati – e, per quanto riguarda il settore agricolo, selezionare le aziende che presentano particolari situazioni “sintomatiche” (eccessivo numero di giornate lavorative denunciate, mancato possesso dei terreni, mancato pagamento dei contributi da parte di aziende che denunciano l’assunzione di manodopera, rapporti di lavoro costantemente di 51 giorni all’anno ecc.) nonché richiedere la presentazione di un certificato di “regolarità contributiva” al momento della richiesta di qualsiasi tipo di agevolazione o sovvenzione comunitaria o nazionale.
Sarebbe utile, infine, una riforma delle indennità di disoccupazione in agricoltura che garantisca una disciplina più omogenea dei diversi ammortizzatori sociali[10] e un rafforzamento dei requisiti lavorativi richiesti per poter ottenere l’indennità di maternità (oggi si richiedono un minimo di 51 giornate lavorate).
Relativamente alla giurisprudenza in materia, essa oscillava tra due tesi che riconducevano la fattispecie o nell’ambito applicativo dell’art.640, c.2, n.1 o in quello dell’art.640bis.
A tal riguardo si segnalano le seguenti pronunzie giurisprudenziali.
- Secondo un primo indirizzo (Corte di Cassazione, sentenze nn. 4370/1997 e 6753/1998), le indebite prestazioni economiche elargite dall’INPS a titolo di disoccupazione involontaria sarebbero da ricomprendere nell’ampio concetto di contributi comunque denominati, concessi da parte degli enti pubblici di cui all’art.640bis, stante la natura assistenziale di tali prestazioni.
- Secondo un altro indirizzo (Corte di Cassazione, sentenze nn. n.3086/1997 e 6843/1997), l’ipotesi di truffa concernente l’indennità di maternità e le altre indennità di natura previdenziale o assistenziale elargite dall’INPS, rientra nella previsione normativa dell’art.640 cpv. n.1 c.p.; dette erogazioni, infatti, non possono essere considerati come “contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominati, concessi o erogati da parte dello Stato o di altri enti pubblici o delle comunità europee” di cui all’art.640bis c.p., i quali hanno natura di attribuzioni patrimoniali a fondo perduto o ad onerosità attenuata rispetto alle regole di mercato perché destinate a finalità di interesse pubblico, in relazione alle quali trova giustificazione la previsione dell’ipotesi aggravante speciale.
Il contrasto giurisprudenziale sopra evidenziato è stato risolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n.26351 del 10 luglio 2002), la quale:
- ha riconosciuto la natura circostanziale della figura in esame rispetto al reato di truffa;
- ha affermato che la specialità dell’art.640bis rispetto alla truffa semplice riguarda “sia l’oggetto materiale della condotta dell’agente e della disposizione patrimoniale del soggetto passivo (sovvenzioni ed erogazioni) sia la natura pubblica del soggetto passivo medesimo (Stato, CE, altri Enti pubblici)”; in rapporto, invece, alla fattispecie di cui all’art.640 cpv. n.1, la specialità si riduce solo all’oggetto materiale della condotta dell’agente, posto che i soggetti passivi sono sempre enti pubblici.
Ne deriva che la ricorrenza della circostanza aggravante in questione “dà luogo ad un concorso di circostanze aggravanti…con l’assorbimento della circostanza generale dell’art.640 cpv. n.1 nella circostanza speciale di cui all’art.640bis”, secondo la regola che prevede l’applicazione della circostanza speciale.
- In base alla sentenza n. 14390 del 27 marzo 2003 della Cassazione, II sez. pen., non assume rilievo rispetto alla configurabilità del reato in esame l’eventuale scarsa diligenza o la mancanza di effettivo controllo o verifica delle attestazioni da parte del pubblico funzionario.
- Con riguardo alla consumazione del reato, è stato chiarito che nella truffa ai danni di enti previdenziali il reato perdura fin quando non vengono interrotte le riscossioni e, quindi, il momento consumativo ed il dies a quo del termine di prescrizione coincidono con la cessazione dei pagamenti da parte dell’ente pubblico (Cassazione, sentenza n.2706/2000).
[1] Si tralascerà di commentare la fattispecie di frode agraria comunitaria (art.2 legge 23 dicembre 1986) che, comunque, si realizza solo “ove il fatto non configuri il più grave reato previsto dall’art.640bis c.p.” (art.73 legge n.142/1992).
[2] Si discute anche se la menzogna, il silenzio o la reticenza costituiscano o meno la condotta fraudolenta.
Relativamente alla menzogna, si risponde positivamente affermando che gli artifici e raggiri di cui all’art.640 c.p. si deve riferire non consistono solo in una particolare, sottile e astuta messa in scena, bastando a concretarli anche qualsiasi simulazione o dissimulazione o altro subdolo espediente posto in essere per indurre taluno in errore, per cui anche la semplice menzogna, quando sia architettata e presentata in modo tale da assumere l’aspetto della verità e da indurre in errore il soggetto passivo può integrare l’elemento materiale del reato di truffa (Cass.14.11.1995).
Per tale via, si considerano rilevanti anche il silenzio e la reticenza quando comportano la violazione di uno specifico obbligo giuridico di comunicazione (Cassazione, sentenza del 16.03.1990, Cassazione, sentenza del 12.09.1991) ovvero del generale principio di buona fede;
[3] Ovviamente un mezzo ingannatorio eccessivamente grossolano non può essere considerato artificio o raggiro (Cassazione, sentenza del 20.02.1987, n.2315);
[4] Quest’ultimo può avere anche carattere omissivo, come ad esempio, la mancata riscossione di un credito o il mancato esercizio di un diritto a seguito del raggiro.
[5] Insolera, Commento all’art.22 legge 19 marzo 1990 n.55 (antimafia), in Legislazione penale, 3/1991, p.488; Petrella, La tutela penale delle pubbliche sovvenzioni nel quadro degli artt.316bis c.p., 640bis c.p. e 2 legge 23 dicembre 1986 n.898, in Corso-Insolera-Stortoni, Mafia e criminalità organizzata;
[6] Al tradizionale danno al patrimonio, si aggiunge il disvalore legato alla vanificazione del piano pubblico di programmazione economica;
[7] M. Mantovani, Brevi note a proposito della nuova legge sulla criminalità informatica, in Critica del diritto, 4/1993;
[8] Molte delle truffe scoperte, anche di recente, riguardano somme che arrivano a diversi di milioni di Euro.
[9] Tale denuncia all’INPS è prevista per l’accertamento dei contributi previdenziali dovuti.
[10] Nell’ambito di tale generale riforma si potrebbe, ad esempio, prevedere un limite temporale massimo di godimento delle indennità di disoccupazione nell’arco di un certo numero di anni.