CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
Sul quotidiano Italia Oggi del 1 Aprile 2005 è stato pubblicato un articolo della Prof.ssa Roberta Nunin, Docente di diritto comunitario del lavoro all’Università di Trieste, sulla certificazione di lavoro, sulla sua operatività ed utilità.
Ne riportiamo il testo inviato a questa redazione dalla dott.ssa Caragnano Roberta che ringraziamo per la collaborazione che rende a LavoroPrevidenza.com.
L’istituto della certificazione del contratto di lavoro, per la cui lettura e analisi dettagliata si rimanda all’articolo dal titolo “La certificazione dei contatti di Lavoro” già pubblicato su questa rivista, previsto dal D.Lgs. 276/03 continua a suscitare molte perplessità e dubbi interpretativi.
L’art. 75 della legge di riforma, in questione, prevede che le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita dalla legge al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto, nonché dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli artt. 2549-2554 del c.c., al fine di reprimere, in quest’ultimo caso, possibili abusi che si potrebbero registrare a seguito della restrizione al ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative.
Secondo la Prof.ssa Runin, la certificazione, come disegnata dal legislatore italiano, è un istituto che presenta molte ombre e lascia sostanzialmente irrisolti i problemi che con esso ci si proponeva di affrontare. “Non è una caso che questo nuovo istituto sia stato accolto con notevoli perplessità, laddove non con aspre critiche, da buona parte dei docenti di diritto del lavoro delle università italiane. Appaiono peraltro condivisibili anche le preoccupazioni e i rilievi critici formulati circa il ruolo attribuito all’università quale Ente certificatore.”
Le università, infatti, sono considerate Enti certificatori ai sensi dell’’art. 76, comma 2, D.lgs.276/03 e per essere abilitate alla certificazione sono tenute e registrarsi presso un apposito albo istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con apposito decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Istruzione, della Università e della Ricerca. Per ottenere la registrazione le Università sono tenute a inviare, all’atto della registrazione o ogni sei mesi, studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con riferimento a tipologie di lavoro indicate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
“Dopo le modifiche appartate il D.Lgs. 251/04 si può oggi richiedere la certificazione per tutte le tipologie di contratto di lavoro; tuttavia il grado di certezza fornito ai contratti dalla certificazione resta, anche dopo l’ultimo intervento di manutenzione dal D.Lsg. 276 del tutto limitato. Ed è bene che di questo siano consapevoli datori di lavoro e consulenti. D’altra parte, non poteva essere altrimenti, alle luce delle garanzie assicurate, quando all’azione in giudizio, dal nostro ordinamento costituzionale. Dal punto di vista del datore di lavoro, la certezza raggiunta è dunque solo temporanea, non essendo possibile impedire al giudice di giungere ad una diversa qualificazione del contratto, con l’accertamento della difformità anche sopravvenuta in un momento ulteriore, tra il programma negoziale “certificato” e quanto effettivamente realizzato tra le parti. Certo che vi può essere comunque uno specifico interesse del datore di lavoro quanto agli effetti “paralizzanti” che la certificazione può avere nei confronti dei terzi (enti previdenziali, ufficio delle imposte, …) ma si tratta comunque di un effetto temporaneo e limitato, fino all’eventuale diversa qualificazione operata dal giudice. D’altra parte la salvaguardia prevista per i provvedimenti cautelari fa si che la caducazione degli effetti della certificazione possa essere anticipata dai provvedimenti previsti dagli artt. 669-bis e seguenti c.p.c., ponendosi così nel nulla, dal punto di vista dell’interesse del datore, i vantaggi riconducibili all’istituto così come congegnato dal legislatore. Indubbiamente per ottenere i provvedimenti cautelari occorre comunque che esistano i requisiti previsti dalla legge, che difficilmente sussisteranno per l’azione degli enti previdenziali, che è immaginabile saranno coloro che maggiormente alimenteranno il contenzioso.
Le complesse problematiche che nascono dalla qualificazione dei rapporti di lavoro e le esigenze di certezza, che si pongono in relazione ad essi, richiederebbero, piuttosto, una semplificazione del quadro normativo, richiesta, quest’ultima che giunge forte anche dal mondo dei professionisti del lavoro; sotto questo profilo non può che apparire poco condivisibile la moltiplicazione dei tipi contrattuali operata con la recente riforma che rende la situazione ancora più incerta e ancora più difficile l’attività interpretativa. Alle richieste di certezza che vengono da professionisti e datori di lavoro la certificazione sembra offrire riposte parziali e non del tutto soddisfacenti: molte ombre, dunque, e ancora poche luci”. (Commento all’istituto della certificazione preso dal Quotidiano economico, politico e giuridico, Italia Oggi del 1 aprile 2005 pag. 6).
Personalmente, in qualità di operatore del diritto non posso che augurami che con la collaborazione di tutte le parti coinvolte nel processo di certificazione, lavoratori, datori di lavoro, rappresentanze sindacali, Commissioni istituite presso gli Enti bilaterali, Direzioni provinciali del lavoro, Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, l’istituto de quo possa funzionare e raggiungere al meglio gli obiettivi che il legislatore intendeva garantire con la sua istituzione, ossia una apertura alle reali dinamiche del mercato del lavoro tale da consentire, sulla base della ratio del legislatore, di intercettare e regolarizzare il lavoro sommerso e/o irregolare canalizzandolo verso schemi contrattuali rispondenti alle esigenze delle parti contraenti.