“LA TIPIZZAZIONE DEL CONTRATTO COMMERCIALE
DI SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO: A TEMPO DETERMINATO E IN STAFF LEASING”
INDICE
PREMESSA
Le radici della Riforma del mercato del lavoro
PARTE I
1. La natura della fattispecie contrattuale della somministrazione di lavoro ex art. 20 D.lgs. 276/03.
Pag. 4
2. I soggetti della somministrazione di lavoro: a) “il somministratore” , b) “il lavoratore somministrato”, c) “l’utilizzatore”.
Pag. 19
3. Le due forme contrattuali della somministrazione di lavoro: “il contratto a termine” e “lo staff leasing”.
Pag. 26
PARTE II
1. I diritti sindacali dei lavoratori somministrati, e il potere direttivo dell’utilizzatore.
Pag. 36
2. I profili di tutela assistenziale e previdenziale del lavoratore somministrato, e il vincolo di solidarietà del somministratore e dell’utilizzatore.
Pag. 44
3. In conclusione.
Premessa
Le radici della riforma del mercato del lavoro.
Il D.lgs. n. 276/03 è volto a dettare una disciplina innovativa in tutto il sistema lavoristico nazionale, sia intervenendo su singole figure o istituti già noti, sia inserendone di nuovi, sia riformulandone altri, in senso diverso e più ampio, come per la somministrazione di lavoro.
il testo normativo del Decreto delegato è dedicato ad una riscrittura del modello di funzionamento del collocamento italiano, in una dialettica pubblico – privato che raccoglie, di fatto, l’eredità di una riforma già in atto, spingendo fortemente l’accelleratore verso una ridefinizione complessiva del mercato del lavoro e delle strutture autorizzate ad intervenirvi.
Gli ambiti d’intervento, peraltro risultano già in nuce annunciati e in parte contenuti nella precedente formulazione della riforma del mercato del lavoro[1].
Nel decreto attuativo della c.d. “Legge Biagi” i profili d’intervento trovano un’implementazione rilevante, mediante un ripensamento coraggioso di tutto l’impianto complessivo della organizzazione e della gestione del collocamento della manodopera, attuato primariamente attraverso un unico Albo Nazionale delle agenzie per il lavoro, suddiviso in specifiche sezioni per ambiti definiti di competenza.
In questa prospettiva gli obiettivi del D.lgs. 276/03 possono essere individuati nella risposta ad una esigenza molto sentita da parte di imprese di medie – piccole dimensioni, e cioè quella di rendere più agevole l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, attraverso una sinergia a doppio binario: pubblico – privato, da una parte, e Stato – regioni dall’altra. Il legislatore esplica le finalità prefissate in una norma che individua l’obiettivo ed estrinseca alcune linee strategiche. Lo stesso art. 3 del D.lgs. 276/03, al primo comma annuncia che lo scopo della riforma è quello di un intervento strutturale e globale di workfare, volto a realizzare “un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro e migliorare le capacità d’inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riferimento alle fasce deboli del mercato del lavoro”. Lo spirito della riforma sembra posarsi in primo luogo sulla creazione di un sistema flessibile e snello di gestione del mercato del lavoro, dove il “collocamento” dalla forza – lavoro risulti orientato e mirato, basato sulle reali capacità professionali degli inoccupati e dei disoccupati, fondato su un immediato ed efficace scambio di informazioni e notizie circa l’esistenza di un mercato di domanda e di un mercato di offerta che possano “concretamente incontrarsi” cogliendo gli effettivi bisogni del sistema impresa, senza trascurare le necessità di tutela dei soggetti deboli che si affacciano sul mercato del lavoro.
Anzitutto vi è la previsione di un identico ed unico regime di autorizzazione dei soggetti deputati a svolgere sul territorio nazionale e locale l’attività di somministrazione di lavoro. In secondo luogo, vengono fissati i principi generali per l’accreditamento presso le Regioni degli operatori pubblici e privati nell’ambito dei diversi sistemi territoriali, e la conseguente identificazione di unitarie modalità procedurali di coordinamento fra i diversi operatori del pubblico e del privato per l’andamento del “sistema lavoro”, inteso come mercato integrato della domanda e dell’offerta di lavoro, e l’istituzione della Borsa Continua del Lavoro idonea a monitorare l’andamento del collocamento dei lavoratori su tutto il territorio nazionale.
Tuttavia alla base di ogni specifica valutazione circa gli esiti della riforma del mercato del lavoro, con diretta attenzione alla somministrazione di lavoro e alle Agenzie per il lavoro, occorre collocare un esame non pregiudiziale dei fondamenti e delle radici dell’intervento riformatore.
In tale senso, giova richiamare alla memoria alcuni passaggi precisi del “Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia”, dell’Ottobre del 2001, nel cui contesto vengono delineate in modo chiaro le nuove funzioni del collocamento, le nuove strategie dell’intervento pubblico nel mercato del lavoro, le nuove individualità che in questo mercato devono giocare un ruolo da protagoniste.
Così, nel paragrafo 1.1.1 del “libro bianco”, intitolato “Coordinamento aperto per l’occupazione”, si delineava, ponendolo a fondamento della riforma, il richiamo alla Strategia Europea sull’Occupazione, vista come strategia necessaria per un reale federalismo del mercato del lavoro, dove il ruolo degli enti territoriali giocasse una funzione di livello più generale unitamente ad un coordinamento centrale unitario. In tale prospettiva, e nell’ottica della riforma, il coordinamento doveva fungere da “chiave di volta” dell’intero sistema d’incontro fra domanda e offerta di lavoro, anche con la partecipazione dei diversi enti autarchici costituzionalmente interessati.
È proprio l’incontro fra il modello centralista e quello autonomista che genera il nuovo federalismo del mercato del lavoro, il quale letto alla luce delle parole del Libro Bianco assume una veste profondamente diversa rispetto a quella dovuta ad una lettura avulsa dal contesto di profonda riflessione normativa in cui esso è maturato. Si tratta, infatti, di una precisa sequela legislativa che dal Libro Bianco, attraverso l’intervento parlamentare del legislatore delegante (Legge n. 30/2003) è approdato al Governo, in veste di legislatore delegato, con l’intento di uniformare un mercato del lavoro già frammentato e reduce dal fallimento del “monopolio pubblico del collocamento”, e fondando quasi l’intero impianto legislativo, dove le nuove tipologie contrattuali sono l’effetto della causa più grande, nella flessibilità del sistema lavoro di incontrare la domanda conducendola all’offerta.
PARTE I
1. La natura della fattispecie contrattuale della somministrazione di lavoro ex art. 20 D.lgs. 276/03.
Entrando nel merito della trattazione, Il Capo I del titolo III del D.lgs. n. 276/03 contiene una delle novità operative più rilevanti del sistema imprenditoriale Italiano. Con un salto epocale il Legislatore della Riforma del mercato del lavoro ha inteso liberalizzare l’utilizzazione della forza lavoro, introducendo nuove tipologie contrattuali che in qualche caso si pongono al limite della vexata dicotomia legata ai concetti d’indisponibilità del tipo della prestazione di lavoro subordinata o autonoma.
L’utilizzabilità di un nuovo modello di mercato del lavoro che, forte della maturata esigenza del sistema imprenditoriale Italiano di operare mediante un decentramento produttivo sempre più avanzato[2], e delle logiche dell’out-sourcing, potesse portare all’introduzione nel nostro Paese, dapprima, appunto del lavoro interinale (Legge n. 196/97, meglio nota “Pacchetto Treu”), poi della subfornitura (Legge n. 192/1998), e da ultimo con la riforma in argomento avviata dalla Legge Delega n. 30/2003, della somministrazione del lavoro a tempo determinato e a tempo indeterminato “c.d. staff leasing”.
L’art. 20 del D.lgs. 276/03 recita:
1. Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni degli artt. 4 e 5.
2. Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Nell’ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.
3. il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa:
a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati;
b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;
c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;
d) per la gestione di biblioteche, parche, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;
e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;
f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;
g) per la gestione dei call – center, nonché per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento CE n. 1260/1999 del Consiglio, del 12 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali.
h) per costruzioni edilizie all’interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all’edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi di successive lavorazione, l’impegno di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell’impresa;
i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative.
4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 368/2001.
Già dalle prime battute si evince che, in non pochi passi la fattispecie della somministrazione di lavoro è “figlia” del lavoro interinale di cui alla legge 196/97, infatti l’eccezione al divieto di dissociazione tra datore di lavoro ed utilizzatore della prestazione lavorativa è stata ampliata e ricompresa nell’art. 20 D.lgs. 276/03.
L’istituto è improntato su due contratti, l’uno di somministrazione tra l’agenzia somministrante e l’utilizzatore (artt. 20 e 21) e l’altro di lavoro subordinato tra l’agenzia e il lavoratore (art. 22).
L’agenzia autorizzata provvede ad assumere lavoratori per poi inviarli, in esecuzione del contratto di somministrazione, presso l’utilizzatore che beneficia della loro attività esercitando il potere direttivo e di controllo (art. 20, c. 2).
La più pregante novità introdotta con il D.lgs. n. 276/03 consiste nella legittimazione in determinati casi anche della somministrazione a tempo indeterminato (art. 20, c. 3), mentre nella vecchia disciplina il lavoro “in affitto” era consentito solo per esigenze provvisorie, per l’appunto “lavoro temporaneo”. Adesso, l’imprenditore può svolgere le particolari attività indicate dalla legge e dai contratti collettivi mediante lavoratori somministrati dalle idonee agenzie per il lavoro[3].
Si tratta di un flessibilizzazione normata al fine di regolarizzare l’esigenza delle piccole e medie imprese all’ esternalizzazione d’interi rami produttivi e/o piccole fasi della produzione, garantendo e mantenendo inalterato il proprio organico di forza lavoro impiegato stabilmente nella singola unità produttiva.
Quindi, l’indagine intorno alla natura giuridica del contratto di somministrazione di lavoro (fra agenzia e utilizzatore) e del contratto di lavoro subordinato (fra agenzia e lavoratore) prende necessariamente le mosse dal rapporto “trilaterale che viene ad instaurasi tra i soggetti in campo”. Da un lato, si pone di fronte un esigenza commerciale dell’impresa, che trova il suo fondamento nella possibilità di utilizzare i prestatori di lavoro non dipendenti da un effettivo rapporto contrattuale nei propri riguardi, da un altro lato le Agenzie per il lavoro che ricercano e selezionano personale idoneo all’inserimento – somministrazione in organici aziendali desiderosi di forza lavoro a buon mercato da coordinare agli apparati produttivi e sotto il comando eterodirezionale dell’utilizzatore. Tale rapporto trilaterale, è stato dalla dottrina individuato sotto più ambiti teorici fra loro contrastanti, presi a prestito dalla più vasta articolazione della dogmatica civilistica[4].
Se si guarda alle obbligazioni insorte tra le parti in campo, ci si accorge chiaramente di una doppia obbligazione in capo al lavoratore: una nei confronti del datore di lavoro e un’altra nei confronti dell’utilizzatore. Infatti l’obbligazione nei confronti del terzo utilizzatore, rispetto al contratto di lavoro, sarebbe da qualificarsi come “collaterale” e avente contenuto ridotto e marginale, in quanto comunque derivata dal contenuto più completo del contratto di lavoro, anche in senso funzionale, essendo l’obbligazione collaterale strumentale all’obbligazione principale.
Tuttavia, tale prospettiva si ribalta quando si guarda all’utilizzatore come creditore principale della prestazione di lavoro, di fatto, ma non di diritto, sostituendosi al datore di lavoro effettivo, il quale torna ad essere creditore dell’intera prestazione al termine dell’intera vicenda negoziale instauratasi.
Effettivamente, potrebbe ipotizzarsi l’istituto della somministrazione di lavoro a tempo o in staff leasing, come un contratto negoziale a favore del terzo inquadrato nell’ambito di applicazione dell’art. 1411 cod. civ.[5]. Il contraente datore di lavoro (somministratore), secondo questa ricostruzione, si obbliga nei confronti della controparte contrattuale (utilizzatore) a fornire la prestazione di lavoro che egli vanta come credito personale e diretto nei riguardi del lavoratore.
Tuttavia, la stipulazione del contratto a favore del terzo non datore di lavoro, ma “creditore della prestazione lavorativa”, in tal caso non comporta una “scissione” necessaria fra il soggetto originariamente contraente che rimane titolare del rapporto di lavoro e il terzo estraneo al contratto che diviene temporaneamente (nella somministrazione a termine) ovvero indefinitamente (nella somministrazione a tempo indeterminato), destinatario ed utilizzatore della forza lavoro e più precisamente delle prestazione di lavoro rese dall’altro contraente originario dell’unico contratto di lavoro (il lavoratore somministrato).
Il contratto commerciale di somministrazione viene a determinare sic et simpliciter l’evoluzione di una obbligazione a favore di un terzo, quale diritto autonomo a beneficiare della prestazione lavorativa oggetto del primitivo contratto di lavoro, vantando il terzo – utilizzatore il diritto all’adempimento dell’obbligazione.
La titolarità dei diritti del “creditore di lavoro” (somministratore) in capo al terzo soggetto (utilizzatore), in realtà determina nei riguardi del lavoratore (somministrato) soltanto una modificazione delle modalità di concreta attuazione della prestazione lavorativa, che verrà resa, per effetto degli accordi negoziali intercorsi fra datore di lavoro e terzo, sotto la direzione e l’organizzazione di quest’ultimo come una sorta di adempimento nei riguardi del terzo, ai sensi per gli effetti dell’art. 1188 comma 1 cod. civ., estendendo quindi alla somministrazione un’ipotesi di codificazione delle obbligazione contrattuali[6]. Non v’è dubbio che ricostruire la fattispecie complessa della somministrazione (contratto di somministrazione e contratto di lavoro somministrato) in termini di contratto a favore di terzo rivesta un fascino significativo, anche perché troverebbero una tipizzazione legale specifica i contraenti del contratto di lavoro ex art. 20 D.lgs. 276/03, che invece, come vedremo nel prosieguo della trattazione mantengono una particolare identità.
Purtroppo, osta a tale ricostruzione, così come a quella più radicale del sorgere di una obbligazione collaterale, vista la constatazione evidente del senso letterale e sistematico degli artt. 20 e segg. del decreto di riforma, l’assunto che non sorgono nuove obbligazioni oggettivamente definite in capo al lavoratore nei confronti del terzo. Infatti, l’art. 20 comma, 2 del D.lgs. 276/03 (“i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”), segna il totale e il perfetto mantenimento degli obblighi contrattuali insorti in base all’unico e originario contratto di lavoro, mutando esclusivamente la sede di lavoro e il soggetto nei confronti del quale le prestazioni lavorative devono essere rese materialmente. Tale principio si conforma fortemente con quel fondamento dell’efficacia del contratto tra le parti, che esclude la validità del contratto a favore del terzo: alteri stipulari nemo potest.
Tuttavia, negli ordinamenti giuridici moderni si è fatta strada la concezione che il principio res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest, significa soltanto che il terzo non acquista alcun diritto da un contratto al quale è rimasto estraneo, quando le parti non abbiano alcuna intenzione di procurare al terzo l’acquisto del diritto, ma non esclude che la volontà dei contraenti possa essere diretta appunto ad attribuire l’acquisto dei diritti ad un terzo. Perciò l’art. 1411 cod. civ. ammette in via generale la figura del contratto con cui le parti attribuiscono ad un terzo il diritto di pretendere in proprio l’adempimento di un contratto, benché stipulato da altri, subordinandone la validità soltanto alla condizione che lo stipulante abbia un interesse, anche se solamente morale, all’attribuzione di tale vantaggio al terzo. Perché si abbia contratto a favore di terzi, pertanto, è indispensabile che le parti abbiano espressamente voluto e pattuito non già un generico vantaggio di fatto, meramente economico a favore del terzo, bensì proprio l’attribuzione al terzo della titolarità di un diritto a poter pretendere egli stesso, con propria piena discrezionalità e direttamente dall’obbligato l’esecuzione della prestazione promessa, con la conseguenza che il terzo, occorrendo, potrà agire in giudizio contro l’obbligato indipendentemente dalle iniziative e dal comportamento dello stipulante.
La disciplina fondamentale del contratto a favore del terzo è semplice:
a) il terzo acquista il diritto verso chi ha fatto la promessa, fin dal momento della stipulazione del contratto a suo favore (art. 1411 comma 2 cod. civ.), ma questo acquisto non è stabile o definitivo, e non lo è perché non può negarsi al terzo la facoltà di rinunziare al beneficio: d’altro canto, finchè vi è la possibilità di questo rifiuto, è giusto che anche lo stipulante possa revocare o modificare la stipulazione a favore del terzo, che non sà se sarà o meno accettata.
b) causa dell’acquisto del diritto a favore del terzo è il contratto a suo favore, perciò chi ha promesso la prestazione può opporre al terzo tutte le eccezione fondate su questo contratto, ma non quelle fondate su atri rapporti tra promittente e stipulante[7].
Tuttavia, nel caso di specie da un lato troviamo il contratto di lavoro a termine o a tempo indeterminato, fra somministratore e lavoratore, regolato dalla normativa vigente, secondo un richiamo esplicito nel testo del D.lgs. n. 276/03 (artt. 2094 e segg., oppure D.lgs. n. 368/2000). Dall’altro, parallelamente, ci si confronta con il contratto di somministrazione di lavoro, fra somministratore ed utilizzatore, regolato propriamente dal solo D.lgs. 276/03. Le obbligazioni nascenti dal primo contratto hanno effetti reciprocamente fra due stipulanti senza riflettersi minimamente sul terzo – utilizzatore. Analogamente con riguardo al secondo contratto gli effetti del quale si riflettono sul lavoratore, solo mediatamente a seguito di un espressa comunicazione scritta (art. 21, comma 3) da parte del datore di lavoro che informa il lavoratore della necessità di rendere la propria prestazione lavorativa presso un altro soggetto datoriale; ma quale effetto obbligatorio diretto del contratto di lavoro e senza obbligazioni giuridiche nuove, l’adempimento della prestazione (attività lavorativa) spetta al datore di lavoro, il quale in proprio e senza coinvolgere giuridicamente il lavoratore si è impegnato con un successivo diverso accordo con il terzo - utilizzatore a fornire a quest’ultimo una determinata attività lavorativa mediante un preciso numero di lavoratori.
La natura giuridica della somministrazione, pertanto, va individuata separando le due fattispecie tipiche di cui si compone: contratto di lavoro e contratto di somministrazione. Quanto a quest’ultimo poi va segnalato che il D.lgs. n. 276/03, lungi dall’individuare gli elementi costitutivi della fattispecie in ogni loro aspetto normativo, si limita a descrivere le caratteristiche imprenditoriali e professionali del somministratore, la caratterizzazione della prestazione del somministratore e l’ambito di attività dello stesso, nonchè gli effetti indiretti di modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa per quei lavoratori terzi rispetto a questo secondo contratto.
Come pure già sostenuto[8], il richiamo terminologico e semantico della nozione del contratto di somministrazione, già tipizzato nell’art. 1559 cod. civ., è portatore di una lettura più esauriente della natura e della struttura del contratto di somministrazione di lavoro[9]. Il contratto si presenterebbe quale contratto di scambio, appunto, tra prestazioni periodiche o continuative, così come normato da numerose clausole che già ne compongono e ne strutturano la disciplina legale, le quali seppure non tutte applicabili alla fornitura professionale di lavoro, potrebbero fornire complessivamente un regolamento dettagliato. È evidente, che nell’ottica di scambio di prestazioni tramite corrispettivo, il D.lgs. 276/03 introduce un rapporto contrattuale tra le parti in campo, che si risolve dapprima con un contratto di lavoro fra il somministratore e il lavoratore, e poi in un contratto commerciale fra imprenditori, rispettivamente Agenzia in forma d’impresa (somministratrice) e Aziende interessate (imprenditori).
Infatti, trattasi di un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, collocabile fra i contratti ad esecuzione periodica o continuativa, dove l’oggetto del contratto coincide con la fornitura continuativa di forza – lavoro per predeterminate attività, contrattualmente legata al somministratore ma alle dipendenze e sotto il potere simildatoriale dell’ utilizzatore. In effetti, l’artificio del Legislatore lo si evince chiaramente dall’abrogazione con un sol colpo della legge 1369/60, un’operazione di traghettamento dal passato al futuro, cominciata già con la legge 196/97 (pacchetto Treu) e approdata ai giorni nostri con il D.lgs. 276/03.
Nel vigore della Legge del 1960 la dottrina si era dibattuta su prospettive di assestamento sistematico della materia, adeguando il dettato normativo alla mutata realtà produttiva e dimostrando che il modello legislativo n. 1369/60 non fosse così rigido, ma che lasciasse spazio a prospettive applicative nuove ed equilibrate, di volta in volta supportate da un buon senso pratico nello sviscerare i casi di reale pericolo per le esigenze di tutela dei lavoratori[10].
Il dialogo tra esperienze di lavoro quotidiano e dottrina consolidata s’interrompe con l’entrata in vigore del D.lgs. 276/03, il quale riconduce a mio avviso, la somministrazione di lavoro ad un mero scambio di beni (forza lavoro) previo corrispettivo in denaro di chi ne usufruisce. Infatti, solo considerando l’oggetto della prestazione, che si esaurisce nella messa a disposizione di forza lavoro da impiegare e coordinare secondo le esigenze nei diversi apparati produttivi, si può ricondurre la tipologia contrattuale della somministrazione ad un rapporto commerciale tra le parti con sottostante contratto di lavoro.
Inoltre vi è da rilevare che la somministrazione di manodopera, di fatto, è già esistente nel nostro ordinamento sotto le mentite spoglie del contratto di appalto di servizi e, dopo il 1997, pure nelle forme e nei casi previsti dalla legge n. 196/97.
Se dunque, come pare, la giurisprudenza si era assestata su un atteggiamento di progressiva legittimazione delle forme “non socialmente pericolose” di somministrazione di mere prestazioni di lavoro, non sarebbe un eresia affermare che il Legislatore con il D.lgs. 276/03, non abbia fatto altro che individuare un “contratto nominato di somministrazione di lavoro”, ovvero uno schema contrattuale tipico che offre ai privati un modello legale adatto a realizzare i loro interessi in conformità alle richieste che con più insistenza gli stessi avanzavano.
La valutazione di meritevolezza dell’operazione commerciale della somministrazione di lavoro, trae spunto dall’evoluzione dei processi di segmentazione del processo produttivo, e dal tipo giurisprudenziale dell’appalto di mere prestazioni di lavoro, via via riconosciuto come non pericoloso dalla giurisprudenza. La tipizzazione di tali rapporti là si può ricondurre sotto diversi profili d’interesse: a) dal punto di vista dell’oggetto e della causa dello contratto, b) del soggetto somministratore, c) dagli obblighi spettanti alle parti.
Per quanto concerne il primo profilo, è del tutto ovvio che tale tipo contrattuale si concretizza in una fattispecie causale di dare / fornire forza lavoro in cambio di un corrispettivo, in piena conformità con la logica sottesa ai rapporti di scambio, ma con i contemperamenti voluti dal Legislatore e dettati nella disciplina di cui al D.lgs. delegato.
Infatti, l’autonomia contrattuale delle parti in questo caso trova un limite nella vigenza di norme inderogabili, che sono alla base del diritto del lavoro. Lo stesso tipo di cui all’art. 20 del D.lgs. pone dei limiti all’utilizzo di tale fattispecie negoziale, non solo quando richiama al comma 3 i limiti in cui può esibirsi il contratto a tempo indeterminato, ma anche al punto 5 dove fa espresso rinvio alla Contrattazione Collettiva d’individuare i limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a termine, anche in conformità con i dettami di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 368/01.
Ad ogni buon conto considerata l’autonomia contrattuale delle parti nei rapporti negoziali in genere, e nello specifico se si ammette la natura commerciale del rapporto in somministrazione, si evince che tale tipologia contrattuale non è sovrastata dalle norme inderogabili di legge in materia di diritto del lavoro a garanzia della posizione contrattuale debole del prestatore, e pertanto, l’unica tutela per il contraente debole là si deve ritrovare nelle sanzioni previste in materia di somministrazione di al D.lgs. 276/03.
Infatti, è qui che in merito al punto b) suindicato, riscontriamo che la fattispecie per realizzarsi lecitamente, impone che il somministrante sia un pseudo - imprenditore, costituito in forma di società di capitali, con una certa solidità economica, con dei requisiti di onorabilità in capo agli amministratori e rappresentanti, con una certa consistenza organizzativa (uffici e adeguate strutture). La valutazione sulla natura imprenditoriale del somministrante, il Legislatore la riporta al procedimento istruttorio – autorizzatorio di cui agli art. 4 e 5 del D.lgs. 276/03, pena la negazione al rilascio dell’autorizzazione, e in caso di prosecuzione vi è la rilevanza penale dell’illecito.
L’organizzazione imprenditoriale del somministrante è costituita da elementi in prevalenza immateriali, e l’attività d’impresa si realizza preventivamente nella ricerca e selezione del personale da formare per un particolare tipo di utilizzatore, proprio in vista dell’inserimento nel segmento produttivo di qust’ultimo. Solo dopo la scelta del personale da formare e quindi da assumere alle dipendenze dell’imprenditore somministratore ( pagamento delle retribuzioni, ferie, malattia e maternità, nonché contribuzione previdenziale), si esaurisce l’attività imprenditoriale del somministratore.
Vi è di più, poiché la valutazione sulla meritevolezza del requisito d’imprenditorialtà riporta all’attenzione il punto c) già citato, in relazione agli effetti del contratto di somministrazione di lavoro, poiché è inscindibilmente connessa alla garanzia che l’operazione commerciale non si risolva in un abbassamento dei livelli di tutela dei lavoratori coinvolti. Infatti, è la stessa figura imprenditoriale dell’Agenzia del lavoro che garantisce ai lavoratori medesimi, il principio di parità di trattamento, il rispetto delle previsioni in materia di salute e sicurezza, la possibilità di esercitare i diritti sindacali e il rispetto delle norme previdenziali. Inoltre, laddove la somministrazione si svolga al di fuori delle garanzie previste, il lavoratore può chiedere al Giudice di merito il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore a far data della costituzione dello stesso con l’Agenzia.
La valutazione di meritevolezza e il processo di tipizzazione sopra descritto non è ovviamente privo di conseguenze sull’ordinamento. Ciò che prima era atipico e vietato, ora diviene tipico e ammesso, ma solo a certe condizioni ritenute indispensabili dal Legislatore. In proposito, è evidente che la scelta dell’ordinamento appare ancora una volta chiara: il tipo lavoro subordinato di cui all’art. 2094 cod. civ. non consente che un soggetto utilizzi e diriga una prestazione di lavoro subordinato senza instaurare con il prestatore medesimo un rapporto di lavoro[11].
Solo l’operazione economica che si realizzi nell’ambito della fattispecie indicata dagli artt. 18, 20 – 28 del D.lgs. 276/03, è espressamente ritenuta dal Legislatore meritevole di tutela e dunque, idonea a consentire ad un terzo estraneo al contratto di lavoro di utilizzare il lavoro altrui e di esercitare sul lavoratore il potere direttivo, senza ricadere direttamente nella fattispecie del 2094 cod. civ.
È doveroso, allora, ribadire che tale impianto normativo non ha disatteso, così improntato, il principio della “indisponibilità del tipo lavoro subordinato” fortemente espresso dall’art. 2094 cod. civ.
L’impianto del D.lgs. delegato lo si può considerare un’opera di cesello e di mediazione operata a livello Costituzionale fra la regola mercantilistica, che considera indifferente la forma acquisitiva del lavoro e la dimensione protettiva di stampo assistenziale, e che collega al rapporto di lavoro subordinato e tendenzialmente solo ad esso una serie di posizioni di vantaggio. È la riconferma del principio, secondo il quale l’ordinamento riconosce vietate quelle forme di organizzazione del lavoro in cui l’effettivo utilizzatore della prestazione non coincide con il titolare del rapporto, ovvero quelle forme di acquisizione di prestazioni lavorative fuori dallo strumento giuridico del “contratto di lavoro subordinato” ex art. 2094 cod. civ., il quale recita:
“è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Nel caso in oggetto, rilevato che secondo il Codice civile è imprenditore ex art. 2082 “chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”, è pacifico ribadire che i rapporti di somministrazione di lavoro instaurati tra somministratore (imprenditore) e prestatore di lavoro (lavoratore somministrato), devono necessariamente fondarsi su di un legame contrattuale di tipo subordinato, un rapporto che sembra quasi assimilarsi a requisito essenziale del contratto fra le due parti, ovvero la conditio sine qua non senza la quale non vi può essere, e non si potrà mai dar seguito al successivo contratto mercantilistico con l’eventuale utilizzatore (terzo estraneo).
Infatti, quello della tutela della libertà e dignità sociale del lavoratore si affianca perciò al tradizionale obiettivo della tutela della posizione contrattuale debole, e pertanto tale assunto esclude a priori che si possa fornire in somministrazione di lavoro presso gli apparati produttivi di un terzo – utilizzatore, quei soggetti in forme contrattuali sottostanti diverse dalla subordinazione (ad es. in collaborazione a progetto ax art. 61 D.lgs. 276/03).
Contemperando gli interessi delle parti del mercato del lavoro, della consolidata dottrina e della irremovibile giurisprudenza degli ultimi anni, il Legislatore del 2003 ha diluito sic et simpliciter in una unica forma contrattuale non solo il principio dell’indisponibilità del tipo di lavoro subordinato (art. 2094 cod. civ.), ma anche la norma Costituzionale che sancisce la libertà d’iniziativa economica, purchè non in contrasto con l’utilità sociale, la sicurezza e la dignità umana, in chiara luce protettiva dei soggetti lavoratori deboli.
Ma la tutela della posizione contrattuale debole del prestatore di lavoro è come si suol dire, solo “la punta dell’iceberg”del dibattito che è ancora aperto sulla disciplina della somministrazione di lavoro, la quale non risolve in realtà il pieno superamento del divieto d’interposizione delle prestazioni di lavoro. È sufficiente l’analisi delle norme che disciplinano la somministrazione di lavoro per avvedersi dell’assenza, ancora una volta, della tanto temuta e sospirata liberalizzazione completa delle attività interpositorie: indubbiamente l’intervento del Legislatore sposta il confine tra lecito e illecito ampliando l’area del primo, ma s’intende la persistenza di una forma d’illiceità del rapporto, legata alla non elusione di altre norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, bensì al mancato rispetto della disciplina della stessa somministrazione di lavoro, e pertanto sanzionata con la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore delle prestazioni con effetto dall’inizio della somministrazione. Ciò rende evidente come il Legislatore si sia mosso nell’ottica della costituzione di un regime di eccezioni al principio di fondo della corrispondenza tra datore di lavoro formale e beneficiario finale delle prestazioni di lavoro. Lo stesso Legislatore si preoccupa di precisare i confini tra somministrazione e appalto[12], confermando la non indifferenza dell’ordinamento rispetto alla qualificazione della fattispecie, con il riferimento a criteri esegetici mutuati dalla precedente esperienza dottrinale e giurisprudenziale in tema di appalto genuino e interposizione di manodopera.
In definitiva, la necessarietà dell’assoggettamento del prestatore di lavoro alle dipendenze del somministratore, serve a valorizzare l’organizzazione di mezzi e il potere direttivo esplicitamente impressi dall’art. 29 del D.lgs. 276/03.
Se è vero quanto finora detto, è però innegabile che l’operazione di “tipizzazione” del contratto di somministrazione si colloca nel solco di quella tendenza alla “rimercantilizzazione” del lavoro che da anni ormai caratterizza le società industriali progredite.[13] Il lavoro si sgancia dalla persona del lavoratore e diventa bene / oggetto di un contratto di scambio fra imprenditori. La natura particolare del bene oggetto del contratto, tuttavia fa si che tale contratto venga attratto nell’analisi giuslavoristica, confermando quell’ampliamento dell’ambito delle competenze del diritto del lavoro con conseguente utilizzo di tecniche e modalità tipiche del suo intervento, in aree non di tradizionale pertinenza, come appunto in questo caso in materia di contratti commerciali[14].
2. I soggetti della somministrazione di lavoro: a) “il somministratore”, b) “il lavoratore somministrato”, c) “l’utilizzatore”.
Riassumendo tutto quanto già argomentato in tema di struttura e natura della somministrazione di lavoro, anzitutto va ribadita la conferma dell’impianto contrattuale che già caratterizzava la vecchia fornitura di lavoro temporaneo.
La somministrazione professionale lecita di lavoro si svolge attraverso due distinte figure contrattuali che si attagliano l’una all’altra:
a) da un lato il contratto di somministrazione che è un contratto tipico di natura commerciale e si stipula fra l’agenzia di somministrazione e l’impresa utilizzatrice;
b) dall’altro il contratto di lavoro subordinato fra agenzia somministratrice e lavoratori da somministrare.
Come il lavoratore rimane estraneo sostanzialmente al contratto di somministrazione, allo stesso identico modo l’utilizzatore risulta al di fuori dello schema del contratto di lavoro fra l’agenzia fornitrice e il lavoratore.
Si tratta, dunque, di una vera e propria scissione strutturale fra la gestione normativa e la gestione tecnico – produttiva del lavoratore somministrato[15], alla luce di una fattispecie negoziale complessa, la quale trova la propria disciplina regolativa nell’art. 20 D.lgs. 276/03, che inaugura il titolo III e che si avvia ad essere una fra le norme più note al mondo imprenditoriale italiano:
“il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad un altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato (art. 20 comma 1 D.lgs. 276/03)”.
Il nuovo schema della somministrazione di lavoro ripercorre, appunto, in perfetta adesione quello della vecchia “interposizione”, sebbene ribaltando in positivo ciò era disciplinato in negativo, ovvero disciplinando i diritti e non i divieti.
In particolare di tutta evidenza è la struttura del rapporto di somministrazione , che viene nettamente a qualificarsi quale rapporto giuridico tripartito, fondato su una interrelazione trilaterale di distinte sfere giuridiche in una fattispecie negoziale complessa che coinvolge due posizioni contrattuali ben differenziate:
1) un contratto di somministrazione (a termine o a tempo indeterminato) appunto, fra utilizzatore e somministratore;
2) un contratto di lavoro subordinato (c.d. contratto di lavoro somministrato), fra somministratore e lavoratore, analogamente a termine o a tempo indeterminato.
Guardando ai soggetti della somministrazione sembra inevitabile concentrarsi in primo luogo sul soggetto che fornisce i lavoratori richiesti.
L’agenzia per il lavoro che vuole effettuare attività di somministrazione, deve in primis ottenere la necessaria autorizzazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nei termini e secondo le modalità prescritte, non solo dal D.lgs. 276/03, ma anche dal DM 5 maggio 2004, dimostrando di essere in possesso di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi , giuridici, organizzativi e finanziari richiesti dalla normativa specifica.
Conseguita la prescritta autorizzazione, inizialmente provvisoria per un biennio, la società che ne ha fatto ed ottenuto l’autorizzazione ad essere riconosciuta e ad operare quale agenzia (per il lavoro) di somministrazione viene iscritta in una delle due prime sezioni dell’Albo delle Agenzie per il lavoro, a seconda dell’ambito specifico di attività cui essa intende concretamente operare, vale a dire se con riferimento ad ogni ipotesi di somministrazione (a termine o a tempo indeterminato) oppure soltanto per alcune tipologie più dettagliatamente descritte. Infatti, le due sezioni dell’Albo distinguono le agenzie a competenza generalizzata (agenzie generaliste), che possono attivare somministrazione a termine o a tempo indeterminato senza limiti né preclusioni, iscritte nella prima sezione, da quelle che devono limitarsi ad una sola delle attività espressamente elencate per la somministrazione a tempo indeterminato (agenzie specialiste), iscritte nella seconda sezione. Tale bipartizione delle competenze in materia di somministrazione fa sì, di fatto, che le agenzie della Sezione I si caratterizzano in modo strutturalmente diverso da quelle della Sezione II: le prime assomiglieranno, con ben maggiori possibilità di azione, come illustrato in precedenza, alle agenzie di lavoro temporaneo, quelle del secondo tipo (sezione II) invece, non condividendo con le prime le nuove attività di intermediazione, ricerca e selezione e ricollocazione professionale (out – placement), si struttureranno reclutando manodopera specializzata e competente per i singoli settori di attività in cui intendono operare. Non è l’unica differenza, poiché, passando al dettaglio dei requisiti, per svolgere attività di somministrazione sia nella forma a termine che in quella in staff leasing, è necessaria l’acquisizione di un capitale sociale versato non inferiore a € 600.000,00 (art. 5 comma 2 lett. a) D.lgs. 276/03). A tutela, invece, dei crediti dei lavoratori e della corrispondente contribuzione, il legislatore ripropone la stessa gamma di garanzie già predisposta nell’art. 2 comma 2. lett. c) l. 196/67, indicando la somma da versare quale deposito cauzionale (fideiussione bancaria o assicurativa) per la somma pari ad € 350.000,00 Ma questo è solo l’aspetto economico - finanziario , poiché per le società generaliste è previsto all’art. 5 comma 2, lett. b), quale presupposto necessario per l’autorizzazione “la garanzia che l’attività interessi un ambito distribuito sull’intero territorio nazionale e comunque non inferiore a quattro regioni”.
Lo scopo della norma è quello di garantire, sotto diversi profili, l’affidabilità dell’agenzia anche se non si comprende perché un simile quadro di affidabilità non sia stato previsto per quelle agenzie specializzate per lo staff leasing.
Resta, pertanto, da sottolineare che se questi sono i tratti salienti delle agenzie generaliste, vi è da dire allora che le agenzie di tipo specialista operano in questo settore con un capitale sociale non inferiore a € 350.000 (art. 5 comma 3, lett. a), mentre il deposito cauzionale e la successiva fideiussione, imposti a tutela dei crediti dei lavoratori e degli enti previdenziali, devono essere pari almeno a € 200.000,00 requisito questo dal quale sono esonerate le società che abbiano assolto ad obblighi analoghi in ottemperanza alla legislazione di un altro stato membro dell’Unione Europea (art. 5 comma 3, lett. b).
Dunque l’attività di fornitura di manodopera, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, può essere svolta da quelle agenzie che abbiano la forma di società di capitali o di cooperativa, costituite in Italia o in altro stato dell’Unione e con la sede legale o loro dipendenza in Italia o in qualche stato dell’Unione Europea. L’art. 5 comma 1 lett. a) comprende, altresì, fra i soggetti possibili canditati al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di cui all’art. 4, anche i consorzi di cooperative, una indicazione già peraltro individuata nella Legge 196/1997, nella quale pur in assenza di un esplicito richiamo erano evidenziabili tra le righe del testo gli elementi contrastanti con la possibilità di concedere l’abilitazione all’attività di fornitura anche a consorzi societari. La vera novità in capo alle nuove agenzie per il lavoro in forma societaria, è la possibilità di utilizzare l’oggetto sociale senza più il criterio della esclusività, anche se per le agenzia generaliste che operino su versanti diversi da quello della fornitura di lavoro, è previsto l’obbligo d’indicare la somministrazione di lavoro come l’oggetto sociale prevalente. È del tutto ovvio, che senza più il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo, le agenzie per il lavoro siano esse di somministrazione di lavoro, di ricerca e selezione o ricollocazione professionale, possono operare nei più disparati settori produttivi, ad es. la compravendita e la commercializzazione di beni mobili e immobili [16], od anche la prestazione di servizi pubblicitari, o anche più in generale di tutto ciò che non sia oggetto di specifica autorizzazione ministeriale.
Dal punto di vista logistico ed organizzativo, le agenzie devono necessariamente disporre di uffici idonei e di personale incaricato della gestione dell’attività di somministrazione dotato di adeguate competenze professionali maturate nel settore delle risorse umane o delle relazioni industriali[17], è lo stesso DM 5 Maggio 2004 al comma 2 dell’art. 1) a stabilire quali sono i requisiti professionali che gli operatori devono necessariamente avere: “Il personale deve essere dotato di adeguate competenze professionali che possono derivare, alternativamente, da un’esperienza professionale di durata non inferiore ai due anni acquisita in qualità di dirigente, quadro, funzionario o professionista, nel campo della gestione o della ricerca e selezione del personale o della fornitura di lavoro temporaneo o della ricollocazione professionale o dei servizi dell’impiego o della formazione professionale o di orientamento o della mediazione tra domanda ed offerta di lavoro o nel campo delle relazioni sindacali”. Ma se questo è l’aspetto c.d. soggettivo delle Agenzie per il lavoro, quello organizzativo prescrive all’art. 2 comma 1 che: “le agenzie per il lavoro devono essere in possesso di locali ed attrezzatura d’ufficio informatiche e collegamenti telematici idonei allo svolgimento di cui all’art. 4 comma 1 D.lgs. 276/03, ma non solo poiché al comma 2 definisce che “i locali nei quali le agenzie svolgono la propria attività devono essere distinti da quelli di altri soggetti e le strutture relative ai medesimi locali devono essere adeguate allo svolgimento dell’attività nonché conformi alla normativa in materia d’igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro”. L’ultimo aspetto organizzativo riguarda i soggetti polifunzionali, cioè quei soggetti che svolgono altre attività, oltre a quella di fornitura di manodopera; infatti, ove non ricorre la somministrazione come oggetto sociale esclusivo, l’art. 5 comma 1 lett. e), prescrive la presenza di distinte divisioni operative, gestite con strumenti di contabilità analitica, tali da consentire di conoscere tutti i dati economico – gestionali specifici.[18]
Ma tornando al contratto di lavoro, necessariamente s’introduce il soggetto protagonista dell’operazione contrattuale che è appunto il prestatore di lavoro, estraneo di fatto al contratto di somministrazione, anche se esso lo riguarda direttamente, disciplinando le prestazioni lavorative e le mansioni che dovrà andare a svolgere presso l’utilizzatore.
Invero, la relazione primaria che coinvolge, in forma giuridica, il lavoratore è il rapporto di lavoro subordinato che viene ad instaurarsi fra questi e l’agenzia di somministrazione. Tale rapporto può svolgersi, come già lo stesso contratto di somministrazione, a termine o a tempo indeterminato. Nel caso di somministrazione a tempo indeterminato il rapporto di lavoro tra il somministratore e i singoli prestatori di lavoro è soggetto alla disciplina generale dei rapporti di lavoro così come prevista dalle disposizioni del Codice Civile e delle leggi speciali in materia di lavoro (art. 22 comma 1 D.lgs. 276/06, non vi è nessun obbligo di assunzione a tempo pieno). Inoltre, quando i lavoratori vengano assunti a tempo indeterminato, gli stessi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso l’utilizzatore, salvo che esista una giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro. Infatti, il lavoratore (a tempo indeterminato) ha diritto ad una indennità mensile di disponiblità (art. 22 comma 3 D.lgs. 276/03), corrisposta dal somministratore per i periodi nei quali rimane in attesa di assegnazione[19]. Nel caso di contratto di somministrazione a termine “il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al D.lgs. 6 Settembre 2001, n. 368 per quanto compatibile, così come espressamente previsto dall’art. 22 comma 2 D.lgs. 276/03.
Tuttavia, la stessa norma prevede che “il termine inizialmente posto al contratto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro può essere in ogni caso prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato al somministratore”. Il richiamo alla disciplina del contratto a termine, sia pure con la deroga espressa in materia di proroga, è più volte citato nello stesso D.lgs. 276/03 in materia di somministrazione, così come il rimettere alle sedi sindacali la portata operativa del richiamo alle disposizioni del D.lgs. 368/01 nel suo complesso considerato.
L’analisi dei soggetti, oltre ovviamente lo studio delle singole forme di rapporto contrattuale fra somministratore e somministrati porta a concentrarsi sul soggetto che richiede e utilizza i lavoratori somministrati, vale a dire secondo la denominazione scelta dal D.lgs. 276/03, l’utilizzatore.[20]
L’aspetto focale, proprio da un punto di vista definitorio, che rispetto alla abrogata legge n. 1369/1960 è il capovolgimento in positivo del vecchio divieto di somministrazione[21] che ha portato alla scomparsa del termine “imprenditore” sostituito dal più generico, più esatto “utilizzatore”. L’art. 20, comma 1 D.lgs. 276/03, infatti sul punto, non prevede alcun limite specifico con riguardo all’utilizzatore che può essere chiunque: imprenditore, associazione, organizzazione o un semplice privato datore di lavoro.
Ciò sta a significare che la somministrazione sarà attivabile nell’ambito di organizzazioni produttive, commerciali o di servizio dove appunto, le prestazioni di lavoro somministrate si trovano ad essere effettivamente inserite nell’ambito di una struttura organizzativa intesa in senso unitario.
Questa struttura organizzativa in genere sarà un’impresa, ma potrà concretamente configurarsi anche con modalità e tipologie differenti. Il nuovo contratto di somministrazione troverà applicazione anche nei confronti dei piccoli imprenditori, ovvero di tutti coloro che svolgono un attività professionale o lavorativa, organizzandola specificamente con il proprio lavoro. Inoltre la piena estensione, senza eccezioni, all’agricoltura e all’edilizia fa venire meno rispetto alla sfera operativa della legge n. 196/1997, qualsiasi limitazione di tipo settoriale. Si tratta allora, per quello che riguarda i soggetti utilizzatori privati di una generale ammissibilità in qualsiasi ambito e settore, nonché per ogni tipo di attività e di mansioni.
3. Le due forme contrattuali della somministrazione di lavoro: “il contratto a termine” e “lo staff leasing”.
La somministrazione di lavoro, così come articolata nel dettato del D.lgs. 276/03 si esplicita nelle forme contrattuali a tempo e a tempo indeterminato anche detto staff leasing. Il 4 comma dell’art. 20 D.Lgs. 276/03 recita:
“La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”.
In via del tutto preliminare non può sfuggire, come già in parte anticipato, l’immediato parallelismo con il rinnovato contratto di lavoro a termine, così come disciplinato dal D.Lgs. 368/01. La dizione testuale della norma ora citata, in effetti richiama espressamente quella dell’art. 1 D.Lgs. n. 368/01 laddove prevede che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Nella somministrazione, come già nei contratti di lavoro a tempo determinato, la questione relativa alle ragioni correlate alle esigenze datoriali, con riferimento ai fattori “tecnico, produttivo e organizzativo” , obbliga l’aspirante utilizzatore a motivare il contratto in fieri sulla base delle effettive esigenze, concretamente ricollegabili alle necessità strutturali o funzionali dell’azienda.
Quanto invece, al fattore sostitutivo che rende possibile la somministrazione a tempo determinato, sembra quasi che tale dettato normativo vada ad affiancarsi a tutte le ipotesi giuslavoristiche di sostituzione materialmente possibile di uno o più lavoratori in forza, con l’unico divieto espresso delle sostituzioni di lavoratori in sciopero, che rappresenta una delle condizioni di liceità necessarie per la somministrazione nelle sue due forme.
Un ulteriore parallelismo con il D.Lgs. 368/01 lo si evince con riguardo alla fissazione di limiti predefiniti per l’utilizzazione di questa tipologia di somministrazione; a tal proposito l’art. 20, comma 4, nell’ultimo capoverso afferma che “la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’art. 10 D.lgs. 368/01”.
In tal modo, la contrattazione collettiva viene ad essere per l’ennesima volta nel corpo del decreto attuativo della riforma del mercato del lavoro e spetterà, pertanto, alle rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative predeterminare i limiti quantitativi del ricorso alla somministrazione a termine, anche se in modo non uniforme tra i singoli settori di negoziazione. Entrando nel merito della dissertazione, è doveroso precisare che secondo il dettato normativo del D.lgs. 276/03 il contratto di somministrazione a termine può essere stipulato soltanto con le agenzie di somministrazione che sono iscritte alla prima sezione dell’Albo informatico delle agenzie.
Si tratta dunque, di quelle agenzie generaliste che ai sensi dell’art. 4 del decreto, possono svolgere qualsiasi forma di somministrazione a termine e a tempo indeterminato. Tuttavia, va anche segnalato che le specifiche ragioni riconducibili a quelle che in via generale, ammettono la fissazione di un termine nel contratto di lavoro subordinato, (D.Lgs. 368/01) devono necessariamente essere esaminate in ragione delle esigenze che non sono quelle proprie del datore di lavoro, ma piuttosto quelle dell’imprenditore che si avvale dei lavoratori somministrati, dipendenti regolari dell’agenzia di somministrazione generalista.
Tale tipologia ha la finalità di sostituire il precedente contratto di fornitura di lavoro temporaneo. In questo caso, invece di specificare espressamente che sono necessarie esigenze economiche temporalmente limitate (stante la formulazione usata dall’art. 1, commi primo e secondo della Legge 196/97), si è utilizzata una diversa espressione che è stata modulata sull’art. 1 del D.lgs. n. 368/2001, relativo appunto al contratto di lavoro a termine), con la più rilevante formula del riferimento all’attività produttiva del committente. Immediatamente alla promulgazione del D.lgs. 276/03, parte della dottrina escludeva la necessità che la somministrazione sia fondata su esigenze temporanee dell’utilizzatore[22], e che sostanzialmente il termine usato si riferisce a solamente alla durata del contratto. La somiglianza con il contenuto dell’art. 1 del D.Lgs. 368/2001 anima lo stesso dibattito intrapreso sul contratto di lavoro a tempo determinato distinguendo fra temporaneità della causale giustificativa e tesi contraria. Il riferimento “all’ordinaria attività dell’utilizzatore” dimostrerebbe che il contratto può essere stipulato anche per le attività stabili del committente[23].
In realtà, proprio con riferimento al contratto di lavoro a tempo determinato si può constatare che le esigenze temporanee che giustificano l’apposizione del termine, pur potendo essere riferite a situazioni anche reiterabili nel tempo con una certa costanza, allontanano dall’applicazione del tipo contrattuale quelle ipotesi la cui prosecuzione è talmente frequente da costituire la condizione normale dell’attività produttiva[24]. In questi casi però, la temporanea necessità può anche scaturire in una maggiore utilizzazione del personale esistente, e non nella stipula di nuovi contratti a termine. Allora, la valutazione va riportata in un contesto produttivo globale, dove si è in presenza di una intensificazione del lavoro che rispecchia una costante consolidata e cioè sempre presente nell’attività dell’impresa, mentre la temporaneità presuppone una situazione che pur reiterandosi nel tempo, non costituisce una esigenza di tale continuità da dover essere considerata come stabile[25]. Il riferimento all’ordinaria attività dell’utilizzatore, dunque, non è certamente incompatibile con la temporaneità della causale, infatti ciò che rilevano nella somministrazione di lavoro sono le esigenze temporanee costanti, le quali possono essere soddisfatte con il contratto commerciale a termine ampliando al possibile utilizzazione dell’istituto.
L’impossibilità del Giudice di sindacare nel merito la scelta organizzativa su cui si basa la somministrazione sarebbe espressione della stessa acausalità del termine[26]. Infatti, il controllo sulla legittimità e non sulla opportunità della ragione economico organizzativa non esclude che possa fondarsi su un esigenza temporanea, di cui bisognerà solo verificare l’esistenza, senza sindacare l’idoneità sotto il profilo della necessità ed economicità della scelta gestionale. Anche l’espresso riferimento alla temporaneità non appare decisivo, considerato che l’interpretazione sulle esigenze temporanee si porrebbe in contrasto con la legge delega, che riferendosi alle ragione tecnico organizzative sembra quasi ipotizzare una fungibilità tra somministrazione a termine e a tempo indeterminato[27], anche se in realtà la formulazione sembra ambigua, poiché la tesi della temporaneità delle esigenze produttive sembra essere la più fondata. Dunque, i casi previsti dall’art. 20, comma terzo, per la somministrazione a tempo indeterminato ricomprendono attività o funzioni aziendali che rispecchiano esigenze di lavoro stabile[28]. In questo senso si può affermare che la somministrazione a tempo determinato riguarda esigenze produttive diverse da quelle stabili e, pertanto, di carattere temporaneo. Lo stesso art. 20 comma 4, se non richiedesse ragioni produttive ed organizzative temporanee avallerebbe l’ipotesi che di fatto la fissazione del termine del contratto commerciale sarebbe rimessa alla discrezionalità dei contraenti, i quali sarebbero unicamente condizionati dalla sussistenza delle motivazioni economiche, ma decisamente liberi nella determinazione della scadenza finale. Dunque, il richiamo al D.lgs. 368/01 è di natura strettamente tecnica e che si riferisce alla scelta volutamente intrapresa dal Legislatore del 2003 per mettere un freno alla possibilità di abusi della stessa fattispecie di somministrazione di lavoro a tempo determinato, anche se per raggiungere tale obiettivo la riconduzione a motivazioni di carattere temporaneo sarebbe dovuta essere più pregante, magari concedendo la possibilità di sindacare su ragioni oggettivamente di carattere tecnico, produttivo e organizzativo, cioè a quelle motivazioni che sembrano escludere la piena libertà delle parti nell’apposizione del termine. Tra l’altro, il D.lgs. 276/03 all’art. 21 comma 4, impone d’indicare per iscritto la causale economica, a pena di nullità del contratto, e la sua legittimità può anche derivare dal fatto che pur essendo formalizzata, essa non sia realmente esistente. Ma allora, se è imposta la forma scritta ad substantiam ed è possibile un controllo ex post che può addirittura arrivare ad invalidare il contratto, è evidente che le ragioni economiche devono avere un carattere oggettivo e non possono essere rimesse alla volontà delle parti[29]. Il carattere oggettivo delle motivazioni economiche deve essere coordinato con l’apposizione del termine, il quale è elemento essenziale del contratto. Dunque le ragione organizzative non sono sottratte alla scelta della parti, ma devono avere natura economica ed organizzativa e richiedono obbligatoriamente una scadenza finale, ergo devono avere necessariamente natura temporanea, che è l’unica che può legittimare la durata predeterminata. Così se fosse possibile stipulare un contratto di somministrazione di lavoro a tempo senza ragioni organizzative non temporanee, si tornerebbe ad attribuire ai contraenti la possibilità di fissare il termine finale in netto contrasto con gli elementi sinora indicati. A prescindere dal problema comunque, vi sarebbe un eccesso di delega poiché, rispetto alla legge n. 30/2003, che imponeva l’individuazione di specifiche ragioni tecniche ed organizzative (art. 1 comma 2, lettera m), il decreto delegato si sarebbe limitato a ripetere la formulazione contenuta nella norma delegante senza predeterminare causali “tipizzate e selettive”[30]. Tuttavia una parziale individuazione è stata effettuata aggiungendo il requisito delle ragioni sostitutive ed il riferimento all’ordinaria attività dell’utilizzatore, ma troppo esiguo per poter sostenere l’infondatezza della presunzione di eccesso di delega. La parzialità di tale specificazione, tuttavia, non convince quanti sostengono che il verbo “individuare” contenuto nella norma delegante sta proprio a significare “ il voler determinare, definire con precisione e minuziosità di dettagli”, ed è proprio tale assunto a giustificare la presunzione di eccesso di delega nell’attuazione del decreto delegato, il quale purtroppo non integra con precisione i dettagli sottesi nella delega.
Al di là delle eventuali problematiche Costituzionali del decreto delegato, quello che interessa in questa trattazione è l’individuazione della fattispecie negoziale, e a tal proposito si evidenzia in modo analogo a quanto previsto per il contratto di lavoro a termine ex D.lgs. 368/01, la possibilità per il contratto somministrazione a tempo d’introdurre tramite contrattazione collettiva dei limiti quantitativi alla utilizzazione del medesimo contratto, in conformità alla disciplina prevista dall’art. 10 del medesimo D.lgs. 368/01. Anche in questo caso, il limite ha la funzione di ridurre la diffusione di prestazioni di servizio che costituiscano forme di lavoro diretto nell’impresa. La facoltà d’imporre limiti massimi all’utilizzazione è rimessa solamente ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle sigle sindacali comparativamente più rappresentative , e senza peraltro specificare se i contratti collettivi sono quelli delle agenzie di somministrazione o degli utilizzatori. La formula utilizzata lascia spazio ad entrambe le possibilità[31]. Nonostante questo, la differenza che si delinea con il D.lgs. 368/01 consiste nel fatto che l’eventuale violazione dei limiti quantitativi è espressamente sanzionata dall’art. 27 D.lgs. 276/03 con la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore[32] e con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 18, comma 3 D.lgs. 276/03). Il richiamo esplicito all’art. 10 D.lgs. 368/01 pone una problematica di tipo costituzionale, poiché riguarda il vincolo imposto all’autonomia collettiva alla quale è inibito appunto in alcune ipotesi previste dallo stesso D.lgs. 368/01 introdurre limiti quantitativi con palese violazione dell’art. 39 Cost., in quanto s’impedisce chiaramente il libero espletarsi della contrattazione collettiva. La comunanza della ratio legis che impone i divieti e i limiti all’utilizzazione sia del contratto di lavoro a tempo determinato sia della somministrazione a termine, ci ricorda come quest’ultima pur essendo un contratto commerciale mantiene pur sempre un’impronta lavoristica. Già il divieto di sostituire con la somministrazione i lavoratori in sciopero, risponde ad esigenze di tutela di un diritto conquistato dopo aspre lotte sindacali susseguitesi durante il processo di sindacalizzazione della classe operaria. Il contratto di somministrazione è vietato anche per sostituire i lavoratori licenziati collettivamente nei sei mesi precedenti, o che siano sospesi dal servizio con trattamento d’integrazione salariale. Infine, alle imprese che non siano in regola con la valutazione dei rischi ai sensi de D.lgs. 626/94, è preclusa, con chiaro intento sanzionatorio, l’utilizzazione della somministrazione in qualsiasi sua forma.
Tuttavia gli aspetti salienti della somministrazione di lavoro a termine, seppur essenziali ai fini della trattazione, devono necessariamente essere messi a confronto con l’altra forma di di somministrazione a tempo indeterminato o staff leasing, che si configura quale il contratto commerciale tramite cui l’Agenzia per il lavoro si obbliga dietro corrispettivo a fornire continuativamente all’utilizzatore – imprenditore (e non), quei prestatori di lavoro da destinare all’esclusiva realizzazione delle attività e dei servizi oggetto dell’impresa. Tale trasposizione di forza – lavoro, sicuramente più pregante nello staff leasing che non in quella a termine, risulta essere il diretto effetto dell’abolizione della L. 1369/60, la quale se anche si faceva carico della forte richiesta di manodopera da impiegare nei diversi rami produttivi delle medie – grandi imprese, né vietava l’utilizzo, se non nella forma degli appalti interni di cui agli artt. 3 e 5 della Legge 1369/60[33], della quale appunto il D.lgs. 276/03 ne riprende inequivocamente le mosse. Dunque, la tipizzazione di alcuni appalti di servizi segna il trapasso da una fattispecie vietata ad un altra che tende a renderne lecita l’utilizzazione seppur per predeterminate opere o servizi. L’attivazione di un sistema concorrenziale tra le agenzie di somministrazione e le imprese appaltatrici per lo svolgimento di opere e servizi a favore del loro ciclo produttivo, si riverbera in un riquadramento dei termini economici e delle garanzie dei loro dipendenti. In realtà lo strumento dello staff leasing si propone in netta concorrenza con l’utilizzazione del mero appalto di servizi, depotenziando l’utilizzo di quest’ultimo, e concedendo ai lavoratori interessati significative tutele rispetto all’appalto[34]. L’introduzione dello strumento nuovo è in netta contrapposizione a quel dispositivo obsoleto e meno garantista di esternalizzazione, che con opera di depotenziazione renda meno appetibile lo stesso appalto di servizi. Inoltre la somministrazione a tempo indeterminato concede alle imprese la facoltà di esternalizzare e assorbire il totale delle attività (call center, biblioteche, parchi, musei, archivi e magazzini) ovvero, delle nuove imprese in fase di avvio[35] nelle aree gia individuate dalla Unione Europea, che concernono non pochi servizi strategici delle aziende già oggetto di esternalizzazione (da quelli di consulenza a quelli di economato e ricerca – selezione di personale). Tuttavia come già anticipato, il contratto di somministrazione a tempo indeterminato può essere concluso solo da un agenzia “generalista”, stante la preclusione stabilita dall’art. 5, comma 3 del D:lgs. 276/03.
Il chiaro rinvio alla contrattazione collettiva, che secondo lo schema standard del decreto formalizza la sottoscrizione di contratti separati secondo un principio di concorrenza tra i soggetti collettivi, va segnalato perché concede l’introduzione di specifici casi di livello negoziale nazionale e decentrato, territorialmente articolato: interregionale, regionale, provinciale, distrettuale e metropolitano, ma non di quello aziendale.
Si tratta di una scelta che secondo parte della dottrina[36] va valutata positivamente, ma che lascia non pochi interrogativi, poiché il contratto collettivo è solo la fonte di regolazione della fattispecie, che potrebbe portare alla stipula e alla introduzione, tramite appunto contrattazione stessa, della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato in alcune zone del paese dove l’occupazione già alta scatenerebbe una concorrenza tra imprese abbassando il livello di tutele e garanzie dei lavoratori interessati. Concludendo, sembra quasi che “la contrattazione collettiva venga incentivata o viceversa disincentivata, a seconda che sia finalizzata ad allargare o a restringere l’utilizzazione della somministrazione[37].”
PARTE II
Senza dubbio prevalente, con riferimento alle tutele del prestatore di lavoro somministrato, è l’applicazione del principio di parità di trattamento.
In effetti, ai sensi dell’art. 23, comma 1 del D.Lgs. n. 276/03, “i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte”. Inoltre, l’art. 23, comma 4 aggiunge che ai lavoratori somministrati spettano, nei modi e secondo i criteri fissati dalla contrattazione collettiva, anche le erogazioni economiche correlate ai risultati di produzione o comunque connessi a programmi concordati da realizzare o all’andamento economico dell’impresa.
Dal dettato normativo dell’art. 23, comma 4 del D.lgs. n. 276/03 si evince allora, che i contratti collettivi applicati dall’utilizzatore possono stabilire modalità e criteri per la determinazione e per la corresponsione degli emolumenti che costituiscono la cosiddetta “retribuzione variabile” e vengono direttamente correlati ai risultati produttivi conseguiti, rispetto alla specifica realizzazione di programmi determinati e preventivamente concordati tra le parti del contratto di somministrazione, ovvero con riferimento al più generale andamento economico dell’impresa utilizzatrice.
Si ritiene pertanto, che l’autonomia collettiva si legittimata, per l’effetto di tale previsione normativa, a derogare all’obbligo di parità di trattamento complessivo sia pure limitatamente al solo calcolo della retribuzione variabile, in ragione del grado effettivo di partecipazione diretta dei lavoratori somministrati ai progetti o ai programmi aziendali che mirano ad obiettivi di miglioramento dell’andamento della produttività ovvero del sistema economico dell’impresa.
La stessa disposizione nell’ultima parte espressamente estende ai lavoratori dipendenti del somministratore i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell’utilizzatore addetti alla medesima unità produttiva. Con tale previsione normativa generalizzata si taglia a monte qualsiasi possibilità di lucro delle agenzie di somministrazione a danno dei lavoratori. Infatti, rilevato l’obbligo di parità retributiva e normativa dei lavoratori somministrati rispetto ai dipendenti effettivi dell’utilizzatore che svolgono mansioni analoghe o di pari livello, il ricavo netto delle agenzia si evidenzierà sulle capacità imprenditoriali nel fornire in modo efficiente e tempestivo all’utilizzatore di turno, i prestatori di lavoro più capaci nello svolgimento delle attività lavorative richieste, difficilmente rivenibili sul mercato del lavoro senza un ausilio dell’intermediario, quale il somministratore, anche per quelle lavorazioni che richiedono manodopera altamente specializzata oppure per quelle attività particolarmente pericolose e complesse che rendono poco agevole il reclutamento del personale necessario. Dunque, questo sembrerebbe il punto focale che eviti veramente la paventata “mercificazione del lavoro” , anche se solo la pratica e il tempo necessario di evoluzione sapranno evitare di lucrare sui diritti dei lavoratori nell’esecuzione dei contratti di somministrazione, limitandosi ad ottenere il giusto ricavo per l’attività di lavoro imprenditoriale svolta, assumendo uno specifico rischio d’impresa con riferimento alla celere e buona riuscita delle prestazioni somministrate. Tuttavia, occorre richiamare l’ipotesi in deroga al principio di parità di trattamento di cui all’art. 13 D.lgs. 276/03 per ciò che riguarda i piani individuali di formazione, di riqualificazione e d’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati. L’unica deroga legislativa espressa riguardo l’obbligo di parità di trattamento, e quindi al regime generale di somministrazione, fa riferimento all’ipotesi in cui i soggetti che hanno difficoltà ad entrare o a ricollocarsi nel mercato del lavoro, c.c. d.d. lavoratori svantaggiati, vengano assunti dall’agenzia per il lavoro con contratto di durata pari ad almeno a sei mesi, prevedendo uno specifico piano individuale d’inserimento o reinserimento del lavoratore nel mercato del lavoro, nell’ambito di programmi di formazione e riqualificazione professionale realizzati dalla stessa agenzia di somministrazione (art. 23 comma 2 e art. 13 D.lgs. 276/03). Il contratto deve contenere la previsione d’interventi formativi idonei a ricollocare o a collocare il lavoratore o i lavoratori interessati, nonché il coinvolgimento diretto di un tutor in possesso delle competenze e della professionalità adeguata al piano d’inserimento considerato[38].
La parità di trattamento introduce sotto il profilo del diritto sindacale, la garanzia che tutti i lavoratori assunti dalla agenzia di somministrazione godano di tutti i diritti garantiti dalla Legge n. 300/70[39].
I prestatori di lavoro possono esercitare liberamente presso l’utilizzatore i diritti di libertà e di attività sindacale, compresa la partecipazione ad assemblee del personale dipendente dell’utilizzatore stesso. Uno speciale diritto di riunione è riconosciuto ai dipendenti del somministratore impiegati presso i diversi utilizzatori, secondo quanto esplicitato dall’art. 24, comma 1 e D.Lgs. 276/03. Infatti, secondo la previsione dell’ art. 24, comma 1 e D.Lgs. 276/03 i lavoratori somministrati esercitano i loro diritti sindacali tanto nei confronti dell’effettivo datore di lavoro, quanto nei riguardi del datore di lavoro per conto del quale prestano la loro effettiva attività lavorativa[40].
Dunque il legislatore riconosce ad ogni lavoratore somministrato, per tutta la durata del contratto, il libero esercizio presso l’utilizzatore dei diritti di libertà sindacale, compresa la partecipazione alle assemblee indette dal personale dipendente dello stesso utilizzatore.
La norma stabilisce che ai lavoratori dipendenti di una medesima agenzia di somministrazione, qualora si trovino ad operare presso diverse imprese utilizzatrici, sia riconosciuto uno specifico diritto di riunione, secondo la normativa vigente e seguendo le modalità di convocazione e di svolgimento, individuate dalla contrattazione collettiva.
L’art. 24, comma 4 D.lgs. 276/03 riconosce alle sigle sindacali comparativamente più rappresentative un potere di controllo, sebbene indiretto, sulle modalità dell’esercizio della somministrazione di lavoro. La disposizione normativa fa obbligo all’utilizzatore di comunicare specifici dati informativi, relativi ai contratti di somministrazione da stipulare o già stipulati, alla RSU oppure alle RSA, o ancora in mancanza di queste alle associazioni territoriali di categoria che aderiscono alle confederazioni dei lavoratori a livello nazionale. Qualora l’impresa utilizzatrice intenda fare ricorso alla somministrazione di lavoro, devono essere comunicati il numero e i motivi che giustificano tale opzione contrattuale, antecedentemente alla stipula del contratto di somministrazione ed entro cinque giorni dalla stipula in presenza di motivate ragioni di necessità e urgenza.
Inoltre, ogni anno l’utilizzatore deve comunicare, anche avvalendosi delle strutture dell’associazione datoriale cui aderisce o conferisce mandato: il numero, la durata e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, nonché il numero e la qualifica dei prestatori di lavoro somministrati.
È del tutto evidente che l’art. 24 D.lgs. 276/03 si presenta come una riproposizione più o meno fedele dell’art. 7 della Legge 296/97.
Se però si guarda al complesso della disposizione relativa ai diritti dei lavoratori in somministrazione, si evidenzia subito che il legislatore della riforma ha inteso modulare l’esercizio dei diritti sindacali da parte dei lavoratori in perfetta adesione alle peculiarità e alle caratteristiche relazionali che s’instaurano fra i tre soggetti coinvolti dal contratto di somministrazione.
In tale prospettiva, in effetti, viene affrontato e risolto il problema più scottante qual’ è quello della individuazione del luogo presso cui il lavoratore somministrato è ammesso ad esercitare i diritti sindacali riconosciutigli dalla legge. Su questo punto, il D.lgs. 276/03 muove dalla considerazione che non esiste nella somministrazione di lavoro un unico ambito di rilevanza con riferimento alla tutela degli interessi collettivi e sindacali dei lavoratori somministrati, poichè considerata la dualità del rapporto in capo agli stessi prestatori somministrati, si può facilmente affermare che i loro diritti possono essere oggetto d’esercizio tanto presso l’utilizzatore, quanto presso l’agenzia somministratrice, ovviamente facendo riferimento alle circostanze in cui si trovano ad operare.
Ma se con riferimento all’esercizio dei diritti sindacali la dualità del lavoratore somministrato è più pregante, di certo non lo è in riferimento al potere specifico tipico di ciascun datore di lavoro sui generis, e cioè il potere disciplinare e sanzionatorio.
Infatti l’esercizio dell’azione disciplinare permane in capo al solo somministratore, mentre l’utilizzatore ha l’obbligo di informare l’agenzia su tutti gli aspetti e elementi che possano rilevare ai fini disciplinari, anche con specifico riguardo all’applicazione della procedura di cui all’art. 7 Legge n. 300/70, in base appunto a quanto disposto dall’art. 23, comma 7 D.lgs. 276/03.
È una disposizione normativa che ricalca in modo del tutto speculare, quanto già dettato dalla Legge n. 196/97[41].
Lo spirito della norma è quello di mantenere, all’interno della dissociazione del rapporto di lavoro fra agenzia di somministrazione e lavoratore, il minimun che caratterizza la titolarità del rapporto e l’esercizio del potere datoriale tipico. Dunque, secondo le intenzioni del legislatore sebbene il lavoratore venga assegnato a prestare la sua opera presso l’organizzazione produttiva di un altro soggetto terzo, non vi è la spoliazione di quel potere tipico di chi è alle dipendenze di un imprenditore, in questo caso somministratore. Tuttavia, è pacifico e resta confermato che l’utilizzatore assolve al ruolo di mero informatore, limitandosi a comunicare le eventuali inadempienze contestabili al lavoratore, ma la mera valutazione della sanzione da infliggere nei riguardi del prestatore rimane di competenza dell’effettivo datore di lavoro.
Il somministratore agirà, in buona sostanza, dopo aver appreso dall’utilizzatore le notizie oggettive sui fatti accaduti che siano attribuibili al lavoratore somministrato.
Alla luce di quanto sin qui precisato, emerge che il contenuto del potere direttivo può essere individuato e delimitato proprio con riferimento all’oggetto della prestazione, in linea con quella tesi dottrinale con la quale l’art. 2104 comma 2 cod. civ. chiarisce l’effettiva portata dell’art. 2094 cod. civ., dove l’esecuzione della prestazione necessariamente impone la disciplina imposta dal debitore della prestazione lavorativa. L’espressione in questione, stabilendo il contenuto del potere direttivo che sorge in capo al datore di lavoro per effetto del contratto e reciprocamente della corrispondente soggezione del lavoratore, svolge una funzione essenziale ai fini della configurazione della collaborazione, e dunque oggetto della obbligazione di lavorare. È da ritenere pertanto, che la determinazione dei vari aspetti di cui si compone il potere direttivo stesso debba essere particolarmente rigorosa, onde i due termini debbano essere interpretati ciascuno per quel che è in grado di significare, piuttosto che come un’endiadi la quale costituirebbe un crogiuolo in cui collocare un indistinto insieme di poteri privo d’identificazione normativa puntuale.
La funzione essenziale del potere direttivo è anzitutto quella di specificare il contenuto della prestazione[42], solo così è del tutto evidente che anche nei rapporti di somministrazione è necessaria l’individuazione puntuale dei concreti compiti che si richiede al lavoratore di svolgere, anche con riferimento alle concrete modalità interne con le quali devono essere svolti i suddetti compiti. Dunque, la funzione specifica del potere direttivo va precisata rispetto al problema della determinatezza o determinabilità dell’oggetto della obbligazione, in quanto la variabilità dei compiti inclusi nelle mansioni dovute potrebbe far sorgere dubbi a questo proposito. In effetti, nel definire la prestazione intellettuale o manuale dovuta dal lavoratore, l’art. 2103 cod. civ. facendo riferimento al concetto di mansioni, individua quello che si può definire come contenuto della prestazione stessa. Con la parola mansioni, significativamente usata dal Legislatore al plurale, s’intende insomma indicare quell’insieme di compiti che, sulla base del vincolo contrattuale assunto il lavoratore si obbliga ad effettuare. Mi sembra lecito affermare che anche nel rapporto di lavoro che si svolge a favore dell’utilizzatore, la determinazione dell’oggetto si realizza tutta ed integralmente nel momento della stipulazione del contratto, con l’individuazione delle mansioni e della qualifica del lavoratore di cui necessità l’impresa utilizzatrice, e pertanto giustifica il potere disciplinare in capo al datore di lavoro – utilizzatore che si esplica nelle sanzioni comminate dall’Agenzia somministratrice. Il potere di dettare le disposizione relative alla disciplina del lavoro, che trovano fondamento nell’espressione di cui all’art. 2104 cod. civ., e che consistono in regole di comportamento del singolo lavoratore all’interno dei luoghi di lavoro, è pacifico che siano finalizzate non solo all’adempimento della prestazione, ma anche alle esigenze di convivenza imposte dall’organizzazione oppure a tutela del patrimonio dell’imprenditore.[43]
Il potere direttivo tipico è direttamente inerente all’interesse a ricevere una prestazione diligente e obbediente, ed in realtà vero e proprio aspetto intrinseco e costitutivo dello stesso potere direttivo è quello relativo al controllo del rispetto delle disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro, nonché più in generale dell’esatto adempimento dell’obbligazione di lavoro. Di esso, fino a qualche tempo fa, sono stati rilevati e studiati soprattutto i limiti introdotti dallo statuto dei lavoratori, ma con l’introduzione dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro, il potere specifico del datore di lavoro è divenuto strumento essenziale di gestione del personale, fino quasi a divenire l’anello di congiunzione essenziale fra la forza lavoro e gli organi direttivi dell’unità produttiva di riferimento. Il rapporto biunivoco in essere tra il datore e il prestatore si esplica nell’area del rischio relativo all’utilità o produttività del lavoro. Infatti il rischio nell’utilità del lavoro è parte integrante dell’impresa, un rischio verosimilmente contemperato dallo svolgimento sapiente e diligente del prestatore che ottempera alle direttive del proprio datore. Nel caso di specie, l’utilizzatore nella somministrazione di lavoro è ugualmente soggetto al rischio d’impresa e pertanto nel proprio interesse necessità di quella forza specifica di direzione, che applica impartendo direttive, le quali qualora disattese dal prestatore tramutano la loro forza a favore del soggetto somministratore che agirà comminando le relative sanzioni. È del tutto evidente che il Legislatore del 2003, memore delle precedenti esperienze del 97 in tema di lavoro temporaneo, non poteva non tener conto dell’imputabilità del rischio in capo agli “imprenditori”, un rischio d’impresa che se anche “costituisce un elemento esterno al contratto di lavoro, attiene all’attuazione dell’obbligazione qualora dalla scarsa dedizione al lavoro derivi un danno sostanziale all’attività del medesimo imprenditore”. Con tale espressione s’intende sostenere che tale ripartizione è l’elemento causale del contratto di lavoro subordinato, e l’affermazione si giustifica considerando l’obbligo del lavoratore all’esatto adempimento di quanto richiesto come il “contraltare” dell’etero – direzione, un sinallagma contrattuale al quale i rapporti di somministrazione di lavoro non sono esenti.
L’utilizzatore che si rivolge al somministratore per incorporare presso la sua unità produttiva una forza – lavoro, quand’anche specializzata, sopporta il peso del rischio del mancato raggiungimento di un risultato materiale, che va conseguito in ottemperanza alle direttive datoriali.
2. I profili di tutela previdenziale e assistenziale del lavoratore somministrato, e il vincolo di solidarietà del somministratore e dell’utilizzatore.
Altrettanto importante, e pertanto merita di essere approfondito, è il tema della tutela del lavoratore somministrato, il quale introduce il principio di solidarietà di cui all’art. 23 comma 3 D.lgs. 276/03. Trattasi dell’obbligazione in solido che il somministratore assume nel corrispondere ai lavoratori i trattamenti retribuitivi spettanti e dovuti, che richiama per certi versi il vecchio istituto degli “appalti solidali” di cui all’art. 3 dell’abrogata Legge 1369/60.
Il vincolo solidaristico tra utilizzatore e somministratore viene stabilito con riferimento ai trattamenti retributivi e contributivi dovuti ai lavoratori impiegati nella somministrazione di lavoro a termine o a tempo indeterminato. Con tale previsione normativa il legislatore delegato attua la delega contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. m) della legge n. 30/03, laddove veniva delineato come principio quello della previsione di una garanzia con riferimento al regime solidaristico tra utilizzatore e somministratore a tutela dei lavoratori.
La ragione funzionale di tale obbligo di solidarietà si situa inevitabilmente in quella responsabilità diretta che l’utilizzatore ha nei confronti del lavoratore somministrato, quanto meno con riferimento alle prestazioni lavorative da questi rese all’interno della sua azienda e sotto il suo potere direzionale e gestionale.
In ragione, dunque, del vantaggio reale e diretto conseguito dall’utilizzatore a seguito dell’attività lavorativa svolta dai lavoratori per suo conto e in suo favore, e in virtù della pendenza contrattuale e dell’assegnazione di quei lavoratori, l’utilizzatore è chiamato a tutelare direttamente i lavoratori rispetto al pagamento delle retribuzioni e al versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.
La responsabilità di quest’ultimo si presenta illimitata, sia con riferimento ai termini quantitativi, poichè non si assume nessun parametro economico in riguardo, e neppure in merito a quanto eventualmente già versato come corrispettivo al somministratore in virtù delle obbligazione insorte nel contratto di somministrazione, sia in termini temporali, non essendo previsto un limite di tempo predeterminato entro cui i lavoratori possano agire nei confronti dell’utilizzatore per soddisfare i propri crediti.
Infatti, non si può ritenere che la previsione normativa contenuta nell’art. 21, comma 1, lett. k) del D.lgs. 276/03, possa assolvere ad una funzione di limite cronologico, nel senso che il lavoratore somministrato debba, dapprima fare ricorso ai tentativi di soddisfazione dei propri crediti retributivi nei confronti del proprio datore di lavoro (l’agenzia di lavoro), per poi in caso d’inadempimento o insolvenza di questi, procedere nei confronti dell’utilizzatore[44].
Tuttavia l’art. 25 del D.lgs. 276/03 chiarisce al punto 1 che: “Gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalle vigenti disposizioni legislative, sono a carico del somministratore che, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 49 della legge 9 marzo del 1989 n. 88, è inquadrato nel settore terziario. Sulla indennità di disponibilità di cui all’art. 22, comma 3, i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo”.
Dunque così come riportato, sembrerebbe che al lavoratore è tenuto a corrispondere le tutele garantite, in primis, il somministratore, ma in caso d’inadempienza spetta all’utilizzatore, evidenziando che cronologicamente la messa in mora del somministratore, in caso di mancata retribuzione – contribuzione, è il primo passo da compiere per il soddisfo di quanto spettante al prestatore medesimo.
Quindi, tanto per i contributi quanto per i premi dovuti permane la responsabilità solidale in capo anche all’utilizzatore, tale è la regola generale per la somministrazione di lavoro. Infatti, fin dalla stipulazione del contratto il legislatore della riforma esige che le due parti contraenti, l’utilizzatore e il somministratore, si rendano entrambe consapevoli dell’obbligo di solidarietà che incombe su di loro rispetto alla tutela dei diritti retributivi, e di riflesso contributivi e assicurativi dei lavoratori somministrati.
A tal proposito, tornando ai dettami dell’art. 21, comma 1, lett. K) del D.lgs. 276/03, si stabilisce che il contratto scritto di somministrazione deve contenere l’assunzione da parte dell’utilizzatore, in caso di mancanza del somministratore, dell’obbligo del pagamento diretto al prestatore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore. D’altra parte, nel contratto stesso il somministratore deve dare atto anche della titolarità dell’obbligo retributivo, quale datore di lavoro, infatti è lo stesso art. 21, comma 1, lett. h) a stabilire che nel testo negoziale debba essere manifestata espressamente “l’assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali”.
Sempre nel testo del contratto deve evincersi anche l’obbligo dell’utilizzatore di rimborsare integralmente quanto corrisposto dal somministratore ai lavoratori e agli enti, rispettivamente per retribuzione e adempimenti previdenziali; infatti l’art. 21, comma 1, lett. i) prevede che il contratto di somministrazione dia atto della assunzione dell’obbligo dell’utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questi effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro.
Pertanto, rilevato che l’art. 25, comma 1, del D.lgs. 276/03 pone a carico del somministratore tutti gli oneri in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, tale disposizione normativa molto richiama l’analoga disciplina contenuta nell’art. 9, comma 1 della legge 196/97. D’altro canto è pacifico che la precisazione, in termini di puro diritto, avvalora ancora di più la tesi della titolarità giuridica ed economica che fa ricadere in capo al somministratore - datore di lavoro la connessione funzionale dell’obbligo retributivo. A tal proposito lo stesso articolo 49 della Legge n. 88/1989, così come l’art. 25 del D.lgs. 276/03, inquadra il somministratore nel settore terziario. Si tratta di una mera esplicazione, in ossequio al principio generale di classificazione contributiva dovuta in ragione dell’attività svolta dal datore di lavoro medesimo. Nessun dubbio pertanto, può sussistere circa l’attività di servizio che viene erogata dall’agenzia di somministrazione, la quale appunto fornisce il servizio di fornitura professionale di manodopera. A norma del già citato art. 49 della legge n. 88/1989 i datori di lavoro del settore terziario sono quelli che svolgono attività “di produzione e intermediazione e prestazioni di servizi, anche finanziari”. Ciò premesso occorre anche considerare, come già avvenuto nei confronti del vecchio art. 9 della legge n. 196/97 che anche l’obbligo contributivo e assicurativo risente della struttura triadica o trilaterale della somministrazione, vale a dire della scissione e, quindi, della non coincidenza del soggetto titolare del rapporto di lavoro rispetto a quello che materialmente sfrutta le energie lavorative del prestatore. Questa riflessione, peraltro, non può non essere avanzata con riferimento ad alcune particolari attività lavorative, caratterizzate da una determinazione di tipo professionale che si riverbera, inevitabilmente, anche sul trattamento previdenziale.
Si pensi ad esempio alla somministrazione di giornalisti ovvero a quella, più comune, di lavoratori dello spettacolo. Lo svolgimento in concreto, dell’attività lavorativa di tipo professionale attribuisce astrattamente al lavoratore somministrato il diritto all’iscrizione ad un apposito regime speciale. Sul punto si era già contrapposta la dottrina nella vigenza della legge n. 196/97 ed è presumibile che seguiterà a farlo alla luce della nuova disciplina regolativa.
Nonostante l’orientamento prevalente in materia, è risultato quello che intende trattare questi casi eccezionali non in base all’inquadramento ope legis determinato dalla stipula del contratto di somministrazione e dall’assunzione quale lavoratore somministrato, piuttosto in base al criterio che si fonda sull’esercizio effettivo dell’attività professionale da parte del lavoratore, che viene ritenuto assorbente più che prevalente, rispetto al criterio legale d’inquadramento predefinito[45].
Del tutto diverso è, invece, l’orientamento della dottrina per quanto concerne l’ipotesi di lavoratori somministrati (ex interinali) addetti presso gli utilizzatori, che in ragione della attività esercitata, vengono ad essere assoggettati ad un regime pensionistico speciale, come nel caso di una somministrazione nei confronti di una pubblica amministrazione. In tale ipotesi, in effetti, l’opinio juris è quella di ritenere senza dubbio decisivo l’inquadramento definito e operante ope legis per l’appunto, non potendo assumere nessuna portata valutativa né operativa specifica l’attività lavorativa svolta dall’utilizzatore, della quale in generale si preoccupa lo stesso legislatore decidendo di dare peso alla sola attività aziendale dell’unico datore di lavoro del prestatore assegnato in somministrazione, e cioè l’agenzia per il lavoro della prima o seconda sezione dell’Albo.
La conferma di tale orientamento si rinviene nello stesso contesto normativo del D.lgs. 276/03, e precisamente nella specifica differenziazione del settore agricolo e del lavoro domestico, prevedendo che in tali fattispecie trovano applicazione i criteri erogativi, gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dai relativi settori (art. 25, comma 4). La norma ripropone per quanto concerne il lavoro domestico, l’art. 9, comma 3-bis della legge 196/97 (aggiunto dall’art. 117, comma 1, lett. b) della legge n. 388/200) ampliandone la portata, che viene estesa a qualunque ipotesi di somministrazione di lavoro domestico.
Al contrario la disposizione citata innova totalmente ciò che riguarda l’agricoltura, rendendo in tal modo materialmente possibile, perché “appetibile” sotto il profilo del costo del lavoro, la somministrazione nel medesimo settore.
Ciò considerato, va rilevato che l’art. 25, comma 4 del D.lgs. 276/03 funge da conferma a contrario dell’assunto circa la rilevanza dell’attività svolta dall’utilizzatore ai fini dell’inquadramento contributivo, stante la necessaria esposizione in termini derogatori rispetto alla disciplina generale, soltanto per ciò che concerne i soli due settori dell’agricoltura e del lavoro domestico.
Sotto un altro profilo, per quanto concerne la determinazione concreta dell’obbligazione contributiva scaturente da una somministrazione di lavoro, il concetto della geometria variabile[46] in considerazione delle variazioni che la determinazione del quantum debeatur subisce in base alle singole assegnazioni presso i vari utilizzatori, va detto che la legge n. 153/1969 al fine di determinare il calcolo della base imponibile, statuisce che dovranno essere raccolti i dati contabili relativi a tutte le somme corrisposte al lavoratore a qualsiasi titolo purchè in relazione al rapporto di lavoro.
Tuttavia, il legislatore della riforma, in attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. m) della legge n. 30/03, ha inteso stabilire nell’art. 23, comma 1 del D.lgs. 276/03 una base imponibile a favore dei prestatori somministrati. Il parametro legale minimo da tenere in considerazione è dato dal trattamento economico e normativo ai fini retributivi, “complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore e a parità di mansioni svolte”.
Con riferimento ad un “trattamento complessivamente non inferiore” nel D.lgs. 276/03 sembra doversi intendere che il giudizio complessivo non vada effettuato sulla scorta delle singole voci della retribuzione, ma piuttosto sugli importi “complessivamente” attribuiti al lavoratore.
Va rilevato, tuttavia, che in riferimento allo staff – leasing nei periodi di disponibilità del lavoratore la contribuzione previdenziale all’INPS sarà versata solo sull’effettivo importo dell’indennità corrisposta dall’Agenzia di somministrazione e non sulla base dei minimali retributivi previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti.[47]
Il lavoratore somministrato assunto a tempo indeterminato ha diritto ad un indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore per i periodi in cui lo stesso rimane in attesa di assegnazione. La misura dell’indennità di disponibilità è stabilita dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non è inferiore alla misura prevista e aggiornata periodicamente con apposito decreto del Ministero del Lavoro. Sull’indennità disponibilità i contributi sono versati nell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo (art. 25, comma 1 D.lgs. 276/03). Nel sistema retributivo la predetta indennità di disponibilità, in quanto assoggettata a contribuzione, concorre alla formazione dell’anzianità contributiva utile ai fini del diritto e della misura della pensione, nonché della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per il calcolo della prestazione pensionistica. Posto che l’importo mensile del trattamento minimo dell’anno 2005 è pari ad Euro 420,01, per tale anno il minimale retributivo è pari ad Euro 168,00, e il minimale retributivo annuo è di Euro 8.736,00. Infatti l’art. 7 della Legge 638/83 impone che il numero dei contributi da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso dell’anno solare, è pari a quello delle settimane in cui sia svolta l’attività lavorativa, sempre che risulti erogata, dovuta o accredita figurativamente per ogni settimana una retribuzione pari al 30% (il 40% dal 1° Gennaio 1989) dell’importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1° Gennaio dell’anno considerato. Quindi, se il lavoratore ha percepito una retribuzione annua, comprensiva dell’indennità disponibilità, pari a 7.000,00 euro, il numero dei contributi settimanali da accreditare è pari a 42 (7.000,00 : 168,00 = 41,66). Tale contrazione opera anche nel caso di sola erogazione dell’indennità disponibilità poiché il Ministero del Lavoro ha stabilito che la misura dell’indennità corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali il medesimo rimane in attesa di assegnazione, non può essere inferiore a 350,00 euro mensili. Ne consegue, pertanto, che anche tali periodi non risultano interamente coperti di contribuzione per il diritto e la misura delle prestazioni previdenziali in generale e di quelle pensionistiche in particolare.
Il quadro delineato nel corso della trattazione delinea e stigmatizza le caratteristiche principali del contratto in somministrazione di lavoro.
La nuova disciplina, come già anticipato, affonda le proprie radici in diverse previsioni normative, e rappresenta l’approccio del legislatore dinanzi alle esigenze di esternalizzazione dei diversi processi produttivi. Tale approccio è incentrato sul passaggio dall’originaria diffidenza, estremizzata dalla Legge 1369/1960 e, più in generale da un consolidato orientamento della giurisprudenza verso un evidente impostazione di favore e di sostegno allo smantellamento di alcuni preesistenti ostacoli.
Infatti, è come se il legislatore delegato si muovesse nella consapevolezza che il crollo dell’industria postfordista tende a concentrare le proprie risorse verso il core business della stessa, rafforzando i propri organi direttivi e amministrativi e delegando, o meglio trasferendo alle altre imprese non soltanto le attività marginali o complementari, ma anche alcune essenziali non ritenute strategiche. È come se l’attuale organizzazione dei processi produttivi e la permanente sfida alla globalizzazione richiedessero da parte degli organi atti a legiferare un’attenzione verso la disgregazione funzionale dell’impresa, a favore di una riorganizzazione degli apparati manageriali e amministrativi.
Il carattere inesorabile delle nuove dinamiche impone un’attenuazione dei vincoli alla delocalizzazione di interi apparati produttivi o singoli processi di essi, tale da giustificare il restringimento delle aeree d’illiceità all’utilizzo sistematico del decentramento produttivo. Sotto questo aspetto è ancor più evidente che la scelta del legislatore di rimodellare il mercato del lavoro in generale, e di abbattere i divieti ex lege 1369/60 nello specifico, giustifica una esigenza puramente commerciale ed economica dell’intero assetto produttivo nazionale.
Le regole della liberalizzazione che formalizzano la possibilità per l’imprenditore di operare con i dipendenti altrui segnano il passo alla flessibilizzazione nei rapporti di lavoro, ma soprattutto avanzano l’ipotesi della commercializzazione della forza – lavoro, seppur calmierata da alcune tutele in favore dei prestatori assunti dalle Agenzie per il lavoro mediante una vistosa deroga all’art. 2094 cod. civ., che scinde l’utilizzo del lavoratore e l’effettiva titolarità del rapporto. Il tutto nell’ottica per l’appunto, di assimilazione del lavoratore agli altri mezzi di produzione, realizzabile non solo tramite la cessione del contratto di lavoro, ma anche tramite quei contratti civilistici ed istituti peculiari che non implicano l’assunzione di una responsabilità datoriale.
“L’imprenditore sempre di meno opera con propri capitali, strumenti o impianti, ma allo stesso può procurarsi forza lavoro attraverso l’utilizzo di forme d’implementazione del meccanismo produttivo distinte dal contratto di lavoro ex art. 2094 cod. civ.”[48]
L’operazione commerciale è formalizzata tramite l’uso dell’omonimo contratto commerciale di somministrazione, che garantisce una fornitura di manodopera permanente o a tempo determinato a seconda delle necessità produttive delle piccole e medie imprese che ne fanno richiesta.
Solo in quest’ottica di necessaria flessibilità si può giustificare una rivisitazione così radicale degli antichi divieti, ma con l’avvertimento che la precarietà rischia di essere una variabile costante all’occupazione.
[1] Si pensi alla riforma Treu, che disegnava gli ambiti di applicazione del lavoro temporaneo contenuto nella L. 196/97.
[2] Su tutto il complesso e variegato fenomeno del “decentramento produttivo”, si rinvia a P. Ichino, “Le nuove forme del decentramento produttivo”, in Riv. It. Dir. Lav. 1999, III, pag 149 e segg.
Inoltre per una panoramica a più voci sul tema, si veda P. Chieco “Poteri dell’imprenditore e decentramento produttivo”, Giappichelli, Torino 1996.
[3] Le agenzie per il lavoro, sono disciplinate oltre che dal D.lgs. 276/03, anche dal DM 5 Maggio 2004 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pubblicato in G.U. il 2 Luglio 2004, recante disposizioni in merito ai requisiti giuridici e finanziari prescritti per garantirne la serietà e la solvibilità che le stesse Agenzie devono possedere ai fini del rilascio dell’autorizzazione provvisoria in merito all’attività di somministrazione di lavoro.
[4] Per tale aspetto, sia pure nell’ottica più specifica del distacco del lavoratore, si veda, tomo II “Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda” a cura di M.T. Carinci pag. 204 e segg.
[5] Si veda M. Esposito “L’incerta collocazione del comando e del distacco nelle fattispecie interpositorie”in R. De Luca Tamajo – M. Rusciano – L. Zoppoli (a cura di ) “Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema. Dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30 al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, pag 147 e sgg.
[6] Si veda, Magno “Le vicende modificative del rapporto di lavoro subordinato” Cedam, Padova 1996.
[7] Per ulteriori chiarimenti, A. Torrente in “Manuale di diritto privato XIV Edizione” pagg. 485 e segg. la nozione privatistica del contratto a favore di terzo
[8] Ci si riporta alle argomentazioni di P. Chieco “Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione a favore di terzo” in Working Papers CSMD Unict. 2004
[9] R. Del Punta, “La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro” Zanichelli 2003,; M. Tiraboschi, “Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera” Giappichelli, Torino, 1999.
[10] Concordano su questa tendenza della giurisprudenza, Del Punta “Appalto di manodopera e subordinazione” in DLRI 1995 pag 625 ss; De Simone “Titolarità dei rapporti di lavoro”2000.
[11] Vi è un’incompatibilità logica del rapporto interpositorio con il tipo legale del lavoro subordinato nell’impresa di cui all’art. 2094 cod. civ. Su tale incompatibilità, si veda per tutti Mazzotta, “Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori” Working Papers CSDLE “Massimo D’Antona” n. 14/2003.
[12] Si vuole cristallizzare la distinzione tra organizzazione dei lavoratori ed organizzazione della prestazione lavorativa sottesa nell’art. 29 D.lgs. 276/03, affermando che “il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore , che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto”.
[13] Sul processo di rimercificazione del lavoro e sulle possibilità ed i rischi connessi alla riproposizione di logiche mercantili, si veda Grandi “Il lavoro non è una merce: una formula da rimeditare” in LD, 1997 pag. 557 e ss.
[14] Caruso, “Il conflitto collettivo post – moderno: come si adegua al diritto del lavoro” in DLRI 2002 pag. 92 e ss.
[15] In questo senso, si esprime la Cass. N. 3020/2003, a proposito della figura del lavoratore temporaneo inviato presso l’utilizzatore in forza dei contratti previsti dalla Legge 196/97.
[16] L’esempio non è casuale, poiché durante la mia esperienza come stagista presso la Direzione I per il mercato del Lavoro dell’omonimo Ministero, ho potuto constatare che la non esclusività dell’oggetto sociale induceva, solitamente, le Agenzie per il lavoro ad introdurre nell’oggetto sociale la possibilità di commercializzare beni mobili e immobili, e anche tra le più frequenti lo sviluppo di un oggetto sociale per poter svolgere l’attività di merchandising.
[17] Attraverso tale principio il legislatore integra il contenuto della l. 196/97 e quello della Circ. n. 141/97 del Ministero del Lavoro in materia di soggetti idonei allo svolgimento della fornitura di lavoro temporaneo; a commento della quale si veda M.T. Carinci, 2000, pag 204.
[18] La norma è palesemente protesa a rendere più agevoli i controlli da parte degli organi ispettivi. Inoltre si può affermare che attraverso il riferimento alla necessaria presenza di distinte divisioni operative, il legislatore abbia inteso imporre a questa categoria di soggetti di dotarsi di strutture idonee fra loro autonome e distinte per quelle fasi che richiedano dapprima le ricerca e la selezione del personale da somministrare: M.T. Carinci 2004, pag. 42.
[19] La misura di tale indennità è stabilita in base alla contrattazione collettiva di riferimento e comunque avuto riguardo al tetto minimo inviolabile deciso dal Ministero del Welfare con proprio DM 10 Marzo 2004.
[20] Per una prima disamina sui soggetti: M. Tiraboschi “Somministrazione di lavoro, appalto di servizi e distacco”; M.T. Carinci, “La somministrazione di lavoro altrui”.
[21] Peraltro su questa affermazione, si tenga presente che non era del tutto pacifica in dottrina e in giurisprudenza la descrizione della qualità soggettiva che lo stesso deve rivestire nell’ambito della suddetta fattispecie. Secondo il dato testuale dell’art. 1 della legge n. 1369/1960 il divieto d’interposizione operava e risultava applicabile soltanto al datore di lavoro che sia a tutti gli effetti di legge imprenditore. In verità la parola imprenditore nella disposizione normativa non veniva adoperata in senso propriamente tecnico, essa piuttosto stava d indicare che le prestazioni lavorative appaltate si trovavano ad essere effettivamente inserite nell’ambito di una struttura organizzativa, intesa in senso unitario, che normalmente era appunto un’impresa, ma che poteva concretamente configurarsi anche con modalità e tipologie differenti. Il divieto d’interposizione trova pertanto applicazione nei riguardi di qualsiasi datore di lavoro, quale che sia l’organizzazione o la struttura operativa mediante la quale egli si muove nel mercato produttivo e nel lavoro. (Cass. Pen. 18 ottobre 1991 in Riv. Trim. Pen. Ec. 1992 pag. 203 con nota di Cataliotti.).
[22] Vedi, P. Chieco 2004, p. 100 ss, Zappalà 2004, p. 20 e ss, Vallebona 2004 p. 101.
[23] Vedi, P. Chieco 2004, p. 100 ss, Zappalà 2004, p. 20 e ss, Vallebona 2004 p. 101.
[24] Si pensi, ad esempio ad un esercizio commerciale il cui incremento di lavoro avviene nei giorni immediatamente precedenti le domeniche o le festività annuali, allora anche in questo la necessità di personale attivo presuppone una reiterazione dell’attività lavorativa su tutto l’anno solare, non solo in determinati periodi dell’anno op stagioni. Anche se vi sono da segnalare delle eccezioni, poiché se si sposta il campo d’indagine su determinati ambiti geografici dell’intero territorio nazionale, si può chiaramente vedere che l’utilizzazione del contratto a termine è legata principalmente alla stagione più produttiva dell’anno, si veda ad esempio quegli esercizi commerciali la cui ubicazione si trova in luoghi di villeggiatura, allora è evidente che la stagione più redditizia sarà quella estiva a causa della massiccia presenza di vacanzieri.
[25] Perulli in “Commentario al D.lgs. 276/03” 2004, p. 319, intende la stabilità come l’effetto della continuità e della reiterazione delle esigenze temporanee, che rispecchiano le oscillazioni costanti nella produttività richiesta al lavoratore, e che richiedono continue intensificazioni dell’attività lavorativa.
[26] Vedi, P. Chieco “Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo”, p. 101, 2004.
[27] Si veda per tutti, M.T. Carinci in “Commentario al D.lgs. 276/03”, 2004, p. 30., s’ipotizza un eccesso di delega che non esclude, peraltro, che la dizione usata dalla legge venga interpretata nel senso indicato.
[28] Ad esempio quelle contenute nella lett. h) e nella lettera a) dell’art. 20, che sembrano far riferimento ad esigenze di carattere temporalmente limitate: la progettazione di intranet ed extranet; l’installazione e smontaggio macchinari ecc.
[29] Lo stesso P. Chieco più volte citato, sostiene che l’obbligo di motivazione non è tale da escludere il potere dei contraenti di fissare liberamente il termine finale anche in mancanza di esigenze temporanee. Ma allora se così fosse, che senso avrebbe avuto per il Legislatore apporre all’utilizzo di tale fattispecie la necessarietà di ragioni di carattere tecnico produttivo? Ma probabilmente, le mie sono constatazioni derivano da una visione estremamente garantista del mercato del lavoro, convinzioni che si riportano alla concezione secolare del lavoratore come “soggetto debole nel rapporto di lavoro”, che seppur fondate e condivise, esulano dalla visione di un mercato del lavoro ormai globale che necessariamente ha il dovere di garantire l’occupazione in qualsiasi sua forma, e competitività ad imprese ed attività produttive in genere che sono sempre più oggetto di aggressione da parte di mercati stranieri più agguerriti.
[30] Si veda P. Chieco nel testo del 2004 più volte citato.
[31] M.T. Carinci, invece sostiene che la preferenza andrebbe data alla contrattazione delle imprese utilizzatrici.
[32] La disposizione si applica su richiesta del lavoratore, anche nel caso del mancato rispetto dei limiti previsti dall’art. 20 D.lgs. 276/03.
[33] Quali: pulizia, custodia e portineria, trasporti da e per lo stabilimento, edilizia e cantieristica, tutte attività che richiedono manodopera specializzata diversa da quella normalmente impiegata nell’impresa.
[34] Il riferimento all’appalto inerisce a tutte quelle forme di appalto che rientrano alle nuove causali introdotte dalla somministrazione di lavoro, con esclusione, ovviamente, degli appalti elencati dall’art. 5 della L. 1369/60 già sottratti ai principi di parità di trattamento e di solidarietà di cui all’art. 3 della legge.
[35] Si fa riferimento a quelle imprese nelle aree obiettivo 1 (ex regolamento CE n. 1260/1999 del Consiglio del 21.06.1999).
[36] Del Punta, ritiene che il rinvio al contratto territoriale recepisce e cerca d’incentivare le tendenze al decentramento del sistema contrattuale in sintonia con il sistema federalista.
[37] Citazione tratta da P.Chieco in “Somministrazione, comando, appalto..” 2004, p 54.
[38] Sull’argomento vedi, M.T. Carinci “Commentario al D.lgs. 276/03”, Miscione e Ricci (a cura di ) “Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro”, pagg. 269 e seg.
[39] In argomento vedi gli approfondimenti di A.Levi “Somministrazione di lavoro, esercizio dei diritti sindacali e garanzie collette: prime riflessioni sull’art. 24 del D.Lgs. 276/03”, in Massimario Giur. Lav. N. 12/2003, pagg. 896 e segg.
[40] Su questo punto, vedi R. Voza “Interessi collettivi, diritto sindacale e dipendenza economica”, Cacucci, Bari 2004 pag 63 segg.
[41] Con riferimento al precedente testo normativo in materia di lavoro temporaneo, si veda Niccolai “Il Lavoro temporaneo e autonomia privata” Giappichelli editore 2003, pag. 267 e segg.
[42] G. Giugni, 1963; M. Persiani, 1996
[43] F. Liso 1982.
[44] Si veda Ciucciovino “Tutela del prestatore di lavoro, esercizio del potere disciplinare e regime di solidarietà”, 2004, pag. 109 – 110.
[45] Sulla questione, si vedano le considerazioni di M. Lovo “La tutela previdenziale ed assistenziale”, commento art. 25 in F. Carinci “Commentario al D.lgs. 276/03”, tomo II, M.T. Carinci “Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda…”, pag 128 e segg.
[46] Vedo ancora M. Lovo “La tutela previdenziale e assistenziale” cit.
[47] Lo chiarisce la Circolare INPS n. 18 del 1° Febbraio 2005
[48] R. De Luca Tamajo in “Tra le righe del D.lgs. n. 276/03”, R.I.D.L 2004, I pag. 535.