Le Sezioni unite civili della Cassazione con sentenza 10 dicembre 2004, n. 23078, nel risolvere un contrasto giurisprudenziale sorto per i dipendenti delle imprese radiotelevisive private hanno fissato un principio generale valido per tutte le categorie di lavoratori affermando che l’indennità di mobilità è un beneficio distinto da quello della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria che spetta solo a quelle categorie di lavoratori per le quali la legge lo prevede espressamente. Quindi chi è posto in cassa integrazione non può pretendere il beneficio della mobilità che spetta, invece, qualora il lavoratore rientri in una delle categorie di lavoratori per le quali il legislatore lo ha specificamente previsto.
Cassazione - Sezioni unite civili – sentenza 4 novembre – 10 dicembre 2004, n. 23078
Presidente Carbone – relatore Roselli
Pm Martone – parzialmente conforme – ricorrente Inps
Svolgimento del processo
Con il ricorso del 1 giugno 1998 al Pretore di Monza D. L. e L. M., già dipendenti di una impresa radiotelevisiva privata, esponevano di essere stati collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria e di essere stati poi licenziati nel giugno 1995, senza aver percepito l’indennità di mobilità.
I ricorrenti ritenevano che l’articolo 16, comma 1, legge 223/91, riferendo la detta indennità a tutte le imprese, diverse da quel,e edili e destinatarie dell’intervento straordinario di integrazione salariale, avesse una validità generale e dovesse perciò applicarsi anche ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private; essi perciò chiedevano la relativa pronuncia di condanna a carico dell’Inps.
Costituitosi il convenuto, il Tribunale, subentrato al Pretore, accoglieva la domanda con decisione dell’11 gennaio 2000, confermata con sentenza del 6 novembre 2001 dalla Corte d’appello di Milano, la quale condivideva la tesi dei lavoratori, osservando come la formulazione ampia dell’articolo 16 citato estendesse il beneficio in parola anche ai dipendenti delle imprese fruenti della cassa integrazione guadagni per effetto di leggi successive alla legge 223/91: nella specie, per effetto dell’articolo 7, comma 4, Dl 148/1993, convertito in legge 236/93, dettato per tutti i dipendenti delle imprese radiotelevisive.
Contro questa sentenza ricorre per Cassazione l’Inps mentre D. L. e L. M. non si sono costituiti.
Nell’udienza del 13 febbraio 2003 la Sezione lavoro, costatato che sulla questione di diritto sottoposta dall’Istituto ricorrente alla Corte si era formato un contrasto di giurisprudenza, trasmetteva gli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione della causa a queste Sezioni unite ai sensi dell’articolo 374 Cpc. Il Primo presidente disponeva in conformità.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorso all’Inps lamenta la violazione dell’articolo 7, commi 3 e 4, Dl 148/93, converito in legge 236/93, 12 preleggi, 16, comma 1, legge 223/91, sostenendo che l’estensione del beneficio della cassa integrazione guadagni, già previsto per le imprese editrici dall’articolo 35 legge 416/81, alle imprese radiotelevisive private non comportò anche la spettanza del diverso beneficio della mobilità dei dipendenti, attribuito dalla legge 223/91 soltanto alle imprese indicate nella medesima e fruenti della cassa integrazione guadagni secondo i requisiti ivi specificatamente previsti.
Tesi dell’Inps, in breve, è che il beneficio della cassa integrazione guadagni non sia connesso indissolubilmente a quello della mobilità, quest’ultimo spettante soltanto in caso di espressa previsione di legge.
2. Il motivo è fondato.
Le norme da considerare sono le seguenti.
L’articolo 16 legge 223/91, per il caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale o di cessazione di attività da parte di imprese diverse da quelle edili e rientranti nella disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, attribuisce al prestatore di lavoro in possesso di certi requisiti soggettivi e in caso di disoccupazione derivata da licenziamento per riduzione del personale il diritto alla indennità di cui al precedente articolo 7 e cioè alla medesima indennità prevista per i lavoratori in trattamento straordinario di integrazione salariale, collocati in mobilità. In vista di tale trattamento di uno specifico contributo, le imprese sono tenute al versamento di uno specifico contributo previdenziale.
Lo stesso articolo 16, nel comma 3, prevede la corresponsione dell’indennità di mobilità ai , giornalisti, a carico dell’Istituto nazionale di previdenza per i giornalisti italiani (Inpgi), al quale è dovuto il contributo ora detto.
Per quanto attiene ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private, ai quali gli attuali intimati, è necessario partire dall’articolo 35 legge 416/81, sopravvissuto all’entrata in vigore della legge 223/91 e prevedente il trattamento di integrazione salariale – già stabilito in precedenti leggi di cui ora si dirà – a favore dei giornalisti professionisti, ai pubblicisti e ai praticanti in imprese editrici di giornali quotidiani e di periodici e in agenzia di stampa a diffusione nazionale.
Il trattamento di integrazione salariale era deciso con discrezionalità dal Comitato interministeriale per la politica industriale (Cipi) (legge 675/77), in relazione a crisi economiche settoriali o locali delle attività industriali o in casi, particolarmente rilevanti sul piano sociale, di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale (articolo 2 legge 1115/68)
Questo trattamento di integrazione spettante ai giornalisti venne esteso a «tutti i dipendenti» delle imprese radiotelevisive private, «quale che sia il loro inquadramento professionale», dall’articolo 7, comma 4, Dl 148/93, convertito in legge 236/93, ma solo temporaneamente, ossia fino al 31 dicembre 1997 dall’articolo 2 Dl 318/96, convertito in legge 402/96.
La questione che il ricorrente sottopone ora alla Corte è se, una volta attribuito ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private il trattamento di integrazione salariale straordinario, ai medesimi spetti altresì l’indennità di mobilità di cui ai citati articoli 7 e 16 legge 223/91
3. Alla questione hanno dato risposte discordanti due sentenze della Sezione lavoro di questa Corte.
La sentenza 11 gennaio 2003 n. 450 si è espressa in senso negativo, osservando che a) l’articolo 7, comma 4, Dl 148/93 è norma eccezionale e temporanea rispetto al sistema della legge 223/91 e perciò di stretta interpretazione; b) se all’estensione della cassa integrazione, ivi prevista, il legislatore avesse voluto aggiungere il beneficio dell’indennità di mobilità, esso avrebbe disposto anche in ordine alla relativa provvista economica, ossia alla relativa e specifica contribuzione, così come ha fatto con l’articolo16 legge 223/91; c) il trattamento di integrazione salariale per i giornalisti ha natura diversa da quello previsto in via generale dalla legge 223/91 poiché, a differenza di questo, presuppone una valutazione discrezionale del Cipi fondata tra l’altro sulla situazione occupazionale dell’intero settore produttivo: perciò l’indennità di mobilità, conseguente all’uno, non può ritenersi estesa automaticamente quando spetti all’altro.
La sentenza 12507/03 si è invece espressa in senso positivo, postulando una «esigenza di carattere generale» ed una «maggiore coerenza», che non consentirebbe di limitare il riconoscimento dell’indennità di mobilità si soli dipendenti di quelle imprese che accedono al trattamento di C.i.g.s. attraverso l’iter della legge 223/91. Se così fosse, prosegue la sentenza, neppure ai giornalisti di cui all’articolo 35 legge 416/81 spetterebbe l’indennità di mobilità, giacché per essi il ricorso alla C.i.g.s. è disciplinato in modo speciale; per contro, l’indennità per loro è espressamente prevista dalla legge.
4. Ritengono queste Sezioni unite che la questione vada risolta nel primo senso, ossia secondo quanto deciso nella sentenza 450/03.
Occorre rilevare la diversità dei due istituti, della cassa integrazione e guadagni e dell’indennità di mobilità.
La cassa integrazione guadagni soddisfa l’esigenza di assicurare il reddito a persone allontanate dal lavoro necessariamente ma temporaneamente, per sospensione o riduzione dell’attività dell’impresa dovute ed impossibilità sopravvenuta. Essa fronteggia perciò una disoccupazione temporanea, accompagnata dalla prospettiva di ripresa del lavoro. La relativa disciplina è frammentata in quanto progressivamente estesa a diverse categorie di lavoratori, sempre sul presupposto comune della sospensione del rapporto di lavoro per crisi aziendale ma in base a diverse situazioni specificanti e perciò con diversi presupposti (per i giornalisti dalla legge 416/81, di cui si è detto), fino alla legge 223/91, dettata per tutte le imprese industriali diverse da quelle edili.
In breve, l’istituto della cassa integrazione guadagni non è unitario.
L’indennità di mobilità è corrisposta, per contro, a causa della perdita del posto di lavoro e segue il trattamento di integrazione salariale di regola, ma non sempre: essa è infatti riconosciuta (articolo 24 legge 223/91) anche in caso di licenziamento per riduzione del personale, assunto senza il preventivo passaggio attraverso un periodo di cassa integrazione. In sostanza l’indennità di mobilità è un trattamento di disoccupazione, dovuto ai lavoratori licenziati collettivamente da imprese di determinate dimensioni, di determinati settori e con determinate caratteristiche, anche se non vi sia stato il previo intervento della cassa integrazione.
Essa «sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione» (articolo 7, comma 8, legge 223/91) e spetta in quanto espressamente prevista dal legislatore, quale beneficio previdenziale di non generale applicazione.
Le dette diversità dei due istituti sono state rilevate anche dalla Corte costituzionale, la quale ha notato come attraverso la cassa integrazione il lavoratore mantenga il proprio posto, benché con peculiari effetti, mentre il lavoratore in mobilità è già in sostanza un disoccupato (è legittimo, perciò, che solo il salario integrato e non anche l’indennità di mobilità, sia assoggettato al periodico adeguamento al costo della vita) (sentenza 184/00).
5. Il fatto, poi, che l’indennità di mobilità spetti solo per le categorie di lavoratori espressamente designate dal legislatore dà bensì luogo a differenze di trattamento, lamentate dalla dottrina sul piano della politica legislativa, senza tuttavia che ciò autorizzi estensioni in sede interpretativa, neppure per colmare pretese lacune normative a scopo di adeguamento agli articoli 3 e 38 Costituzione.
Più volte la Corte costituzionale ha negato il contrasto fra queste disposizioni costituzionali ed il “sistema previdenziale italiano, caratterizzato da una struttura pluralistica e frammentata” (sentenza 267/04) in relazione alle diverse situazioni economiche delle singole gestioni, ai rischi coperti e ad eventuali interventi dello Stato (sentenze 99/1990, 402/91, 61/1999)
Da tutto ciò consegue che la previsione legislativa dell’intervento di integrazione salariale per una certa categoria non comporta la successiva spettanza dell’indennità di mobilità automaticamente ossia in difetto di espressa estensione.
Tanto più questa massima è valida quando si consideri la già ricordata non unità dell’istituto della cassa integrazione guadagni, vale a dire la diversa caratterizzazione in relazione alle diverse categorie di lavoratori.
Come s’è detto, l’articolo 2 legge 675/77 prevedeva l’ammissione delle imprese industriali al trattamento di integrazione salariale secondo una valutazione discrezionale del Cipi, riferito allo stato di crisi occupazionale o a specifici casi di crisi aziendale di particolare rilevanza sociale. Il trattamento venne esteso ai giornalisti dalla legge 416/81, che affidò la detta valutazione discrezionale al ministro del Lavoro, ed ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private dall’articolo 7, comma 4, Dl 148/93.
Esso si differenzia dal trattamento generale previsto dalla legge 223/91, concesso dal Ministro sulla base dello stato di crisi della singola impresa, occupante almeno quindici dipendenti.
Che poi il trattamento dei giornalisti sia sopravvissuto a quello dalla legge 223/91 e non sia stato da questa assorbito è detto espressamente nell’articolo 7, comma 3, Dl 148/93.
Questa varietà di configurazione dell’istituto della cassa integrazione guadagni esclude ulteriormente la fondatezza di ogni pretesa di pari trattamento delle diverse categorie di lavoratori in materia di spettanza della indennità di mobilità, che voglia basarsi solo sulla pregressa fruizione della cassa integrazione: diversi i presupposti di questo trattamento, diversi i successivi sviluppi, senza alcun contrasto con gli articoli 3 e 38 Costituzione.
L’espressa estensione dell’indennità ai giornalisti (non ai dipendenti delle radiotelevisioni private) da parte del citato articolo 16, comma 3, legge 223/91 conferma il principio secondo cui, in questa materia, ubi lex voluit, dixit e non significa, come vorrebbe Cassazione 12507/03, che la previsione abbia un mero scopo esemplificativo; al contrario, essa è di stretta interpretazione. Idem per il personale autoferrotramviario e per i dipendenti dei trasporti pubblici, licenziati per fallimento, concordato preventivo, amministrazione controllata o liquidazione (articolo 6, commi 4bis e ter, legge 236/93).
Nel caso di specie, in conclusione, estensione dell’indennità di mobilità ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private non ha alcuna base, né normativa né sistematica. Non contrasta con la soluzione qui seguita Cassazione 13931/00, che ha riconosciuto l’indennità di mobilità ai dipendenti di imprese commerciali, ma solo poiché costoro sono stati espressamente inseriti nel sistema della legge 223/91 dall’articolo 7, comma 7, Dl 148/93.
6. All’accoglimento del primo motivo di ricorso consegue l’assorbimento del secondo, dichiaratamente subordinato al rigetto del primo, nonché la Cassazione della sentenza impugnata.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto la domanda a suo tempo proposta dagli attuali intimati può essere rigettata ai sensi dell’articolo 384, comma 1, Cpc.
Il contrasto di giurisprudenza giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da D. L. e L. M. contro l’Inps; compensa le spese dell’intero processo.