Fondo di garanzia INPS: pagamento ultime mensilità per insolvenza del datore
Cassazione , sez. Lavoro, sentenza 01.02.2005 n° 1885
Il Fondo di garanzìa (istituito presso l INPS e dal medesimo gestito, ai sensi dell art. 2 della legge n. 297 del 1982 e dell ali. 2 del decreto legislativo n. 80 del 1992) "si sostituisce" ai datore di lavoro nel pagamento dei crediti di lavoro inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono qualsiasi iniziativa del lavoratore, che - come la domanda di apertura della procedura concorsuale - sia parimenti volta a far valere in giudizio quei diritti, fermo restando, tuttavia, che la garanzia del Fondo non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedura.
Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1885 depositata il 1 febbraio 2005.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo MILEO - Presidente -
Dott. Michele DE LUCA - Rel. Consigliere -
Dott. Pietro CUOCO - Consigliere -
Dott, Attilio CELENTANO - Consigliere
Dott. Alessandro DE RENZIS - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da :
P. C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CARLO POMA 4 SC. E INT.l, presso lo studio dell avvocato MAURIZIO MASSIDDA, che la rappresenta e difende unitamente all avvocato PIERO SIGNORELLI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17 presso l Avvocatura Centrale dell Istituto,
rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA I FREZZA 17 presso l Avvocatura Centrale dell Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE FABIANI, GIOVANNA BIONDI, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;
- resistente con mandato -
avverso la sentenza n. 342/02 della Corte d Appello di BRESCIA, depositata il 31/07/02 R.G.N. 118/02
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/04 dal Consigliere Dott. Michele DE LUCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto APICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo.
Con la sentenza ora denunciata, la Corte d appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo in data 17/25 gennaio 2002, che aveva rigettato la domanda proposta da C. P. contro l INPS, quale gestore del Fondo di garanzia (di cui al decreto legislativo n. 80 del 1992) - per ottenere il pagamento delle retribuzioni inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro intercorso con la Confezioni Spada di Bettineschi corrente in Dalmine (BG) - essenzialmente in base ai rilievi seguenti:
l intervento del Fondo di garanzia ha, come presupposto, l apertura di una procedura concorsuale (ai sensi dell articolo 2, comma 1, lettere a) e c) dell articolo 2 del decreto legislativo n. 80 del 1992), "essendo previsto in via sussidiaria l infruttuoso esito dell esecuzione forzata solo per i casi in cui il datore di lavoro non sia assoggettabile alle procedure concorsuali, come si evince dall articolo 2 della legge n. 297/82, richiamato dall articolo 1 della legge (recte: decreto legislativo) n. 80/92";
- sono "trascorsi ben oltre due anni fra la date di cessazione del rapporto di lavoro e l apertura della procedura concorsuale".
Avverso la sentenza d appello, C. P. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
L intimato INPS ha depositato procura speciale alle liti.
Motivi della decisione.
1. Con l unico motivo di ricorso - denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80; 3, 36 e 38 della costituzione), nonché vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.) - C. P. censura la sentenza impugnata - per avere rigettato la domanda proposta contro l INPS, quale gestore del Fondo di garanzia (di cui all articolo 2 delia legge 29 maggio 1982, n. 297, ed al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80), per ottenere il pagamento delle retribuzioni inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro intercorso con la Confezioni Spada di Bettineschi corrente in Dalmine (BG) - sebbene si fosse attivata (con ricorso per ingiunzione), entro l anno dalla cessazione del rapporto di lavoro (in data 4 novembre 1996), per riscuotere il proprio credito - anche se "il verbale di pignoramento a carico del datore di lavoro venne redatto il 18 novembre 1997 e, pertanto, stando alla interpretazione letterale della norma, il termine di un anno sarebbe comunque trascorso" - in quanto la Corte di giustizia (sentenza 10 luglio 1997, causa C 3783/95) ha interpretato la direttiva comunitaria in materia (direttiva Cee del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987) nel senso che quel termine deve essere calcolato -a ritroso - con decorrenza dalla data di qualsiasi iniziativa, volta ad ottenere la soddisfazione del credito, anziché dalla data di apertura della procedura concorsuale. Il ricorso è fondato.
2.lnvero - al dichiarato scopo (ratio) di "incoraggiare il ravvicinamento nel progresso" (ai sensi dell articolo 117 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea) delle legislazioni degli stati membri "relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro" - la direttiva comunitaria in materia (direttiva Cee del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987) - per quel che qui interessa - prevede, da un lato, che la direttiva stessa si applica ai "diritti" dei lavoratori dipendenti da datori di lavoro "in stato di insolvenza" (articolo 1) - assoggettati, cioè, a "procedimento (.......) che riguarda il patrimonio del datore di lavoro ed è volto a soddisfare collettivamente i creditori di quest ultimo" (articolo 2) - e stabilisce, dall altro, che "gli stati membri adottano le misure necessarie affinché gli organismi di garanzia assicurino (.....) il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati, (......) relativi alla retribuzione ("degli ultimi tre mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro, nell ambito di un periodo di sei mesi": articolo 4) del periodo collocato prima di una data determinata", che può essere - "a scelta degli stati membri"- la data " dell insorgere dell insolvenza del datore di lavoro ", o quella del "preavviso di licenziamento (......) comunicato a causa dell insolvenza del datore di lavoro", oppure -alternativamente - "quella dell insorgere dell insolvenza del datore di lavoro (....) o quella della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro (.....), avvenuta a causa dell insolvenza del datore di lavoro "(articolo 3).
Ne risulta, quindi, che l applicazione della direttiva è subordinata alla soggezione del datore di lavoro a fallimento oppure ad altra procedura concorsuale, con analoga finalità liquidatoria del patrimonio del debitore (in tal senso, vedi la sentenza della Corte di giustizia 7 febbraio 1985, causa 135/83, anche in motivazione).
Sono fatte salve, tuttavia, le condizioni di miglior favore per i lavoratori, che siano previste dagli ordinamenti nazionali (art. 9 della direttiva).
È, proprio, quello che è accaduto nel nostro ordinamento.
3.Nel dare attuazione alla direttiva (n. 80/987), il legislatore italiano (art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), infatti, ha istituito il fondo di garanzia - per assicurare soddisfazione effettiva al credito dei lavoratori per il trattamento di fine rapporto - ed ha stabilito (comma 5°) che - qualora i datore di lavoro non sia soggetto alle procedure concorsuali (di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) - "il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempre che, a seguito dell esperimento dell esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti ".
Nell estendere la garanzia del Fondo - ai crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro - la successiva disciplina nella soggetta materia (decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, Attuazione della direttiva (CEE) n. 987/80, in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro) non solo ribadisce esplicitamente (articolo 1, comma 2) la prospettata deroga in melius - a favore dei lavoratori - ma ne prevede (articolo 2, comma 1), altresì, una ulteriore, consistente nella elevazione del periodo di riferimento da sei a dodici mesi.
Resta, tuttavia, la questione - dalla quale dipende, essenzialmente, la decisione della presente controversia - concernente la decorrenza (dies a quo) per il calcolo - a ritroso - dello stesso termine annuale di riferimento.
A tale proposito, risulta, bensì, esplicitamente stabilito (articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, cit), infatti, che "il pagamento effettuato dal Fondo di garanzia (...) è relativo ai crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono: a) la data del provvedimento che determina l apertura di una delle procedure indicate nell ari. 1, comma 1; b ) la data di inizio dell esecuzione forzata; c) la data del provvedimento di messa in liquidazione o di cessazione dell esercizio provvisorio ovvero dell autorizzazione alla continuazione dell esercizio di impresa per i lavoratori che abbiano continuato a prestare attività lavorativa, ovvero la data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la continuazione dell attività dell impresa”.
Resta da verificare, tuttavia, se le stesse disposizioni - concernenti, appunto, il dies a quo del termine annuale di riferimento - risultino conformi -per la parte che qui interessa - alle disposizioni corrispondenti dell ordinamento comunitario e, segnatamente, della direttiva comunitaria
nella soggetta materia (direttiva Cee del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987, cit).
4. Invero la Corte di giustizia delle Comunità europee (nella sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95) - in sede di rinvio pregiudiziale (ai sensi dell ari. 177 del trattato Cee con riferimento a questione, sostanzialmente, identica a quella, che forma oggetto questo giudizio (vedi infra) - ha così deciso:
"L «insorgere dell insolvenza del datore di lavoro» di cui agli art. 3, n. 2, e 4, n. 2, della direttiva 80/987 corrisponde alla data della domanda diretta all apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori, fermo restando che la garanzia non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedimento o dell accertamento della chiusura definitiva dell impresa, in caso di insufficienza dell attivo".
Né può essere trascurato il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario (o, comunque, la efficacia erga omnes), che - secondo la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia (vedine, per tutte, le sentenze 13 maggio 1981, causa 66/80; 6 luglio 1995, causa 62/93), della nostra Corte costituzionale (vedine, per tutte, le sentenze 18 aprile 1991, n. 168; 11 luglio 1989, n. 389; 23 aprile 1985, n. 113) e di questa Corte (vedine, per tutte, la sentenza 11 novembre 1997, n. 11131 delle sezioni unite) - deve essere riconosciuto alle sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee.
Coerentemente, i principi enunciati dalle decisioni della Corte di giustizia si inseriscono direttamente nell ordinamento interno degli stati membri, con il valore di ius superveniens, e, come tali, condizionano e determinano i limiti -entro i quali le norme interne conservano efficacia e debbono essere applicate - e, di conseguenza, impongono la disapplicazione delle stesse norme interne - che risultino (eventualmente) confliggenti con quei principi — (anche) da parte del giudice nazionale (in tal senso, vedi, per tutte, Corte cost. ordinanza 20 aprile 2004, n. 125; 14 maggio 2003, n. 62; 23 giugno 1999, n. 255; nonché la sentenza 23 aprile 1985, n. 113, cit).
Va considerato, altresì, che il giudice nazionale di ultima istanza (quale, appunto, la Corte di cassazione) deve rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee (ai sensi dell art. 234, 3° comma, del trattato Ce) la questione di interpretazione delle disposizioni comunitarie rilevanti ai fini della decisione - secondo la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia (vedine le sentenze 6 ottobre 1982, causa 283/81, e 30 settembre 2003, causa C-224/01), della nostra Corte costituzionale (vedine, sia pure implicitamente, l ordinanza 1° giugno 2004, n. 165) e di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 8390/1993 delle sezioni unite, n. 17953/2003, 1804/2000, 10359/96 di sezioni semplici) - tutte le volte che la questione stessa non sia identica a questione già decisa da sentenza - o, comunque, non sia risolubile alla stregua della giurisprudenza - della Corte di giustizia oppure se non emergano ragionevoli dubbi ermeneutici circa il significato della disposizione comunitaria da interpretare.
Tuttavia la questione - che forma oggetto di questo giudizio - pare sostanzialmente identica - come è stato anticipato - alla questione già decisa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (nella sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95, cit.) e, pertanto, si impone l applicazione - alla dedotta fattispecie - del principio che, per quanto si è detto, ne risulta enunciato contestualmente.
5. La ratio decidendi della sentenza in esame della Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95, cit.), infatti, si articola - sulla falsariga della questione interpretativa, che era stata posta dall ordinanza di rimessione del giudice a quo, (Pret. Venezia, ordinanza 3 novembre 1995) - nei passaggi essenziali seguenti:
"con la seconda questione, il giudice a quo si chiede quale sia il significato della nozione dell «insorgere dell insolvenza del datore di
lavoro» (impiegata agli art. 3, n. 2, e 4, n. 2, della direttiva) ed, in particolare, se l insorgere dell insolvenza del datore di lavoro, ai sensi di tali disposizioni, corrisponda alla data della domanda di apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo oppure a quella della decisione di apertura del procedimento medesimo, entrambe menzionate all art. 2, n. 1, della direttiva";
la Corte (sentenza 9 novembre 1995, causa C-479/93, Francovich) ha già avuto occasione di affermare che, "dal tenore dell art. 2, n. 1, della direttiva risulta che, perché un datore di lavoro sia considerato in stato di insolvenza, è necessario, innanzi tutto, che le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dello Stato membro interessato prevedano un procedimento che riguardi il patrimonio del datore di lavoro e che sia volto a soddisfare collettivamente i suoi creditori; in secondo luogo, che sia consentita, nell ambito di tale procedimento, la presa in considerazione dei diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro: in terzo luogo, che l apertura del procedimento sia stata chiesta e, in quarto luogo, che l autorità competente in forza delle citate disposizioni nazionali abbia deciso l apertura del procedimento ovvero constatato la chiusura definitiva dell impresa o dello stabilimento del datore di lavoro, nonché l insufficienza dell attivo disponibile per giustificare l apertura del procedimento";
"emerge quindi che, perché la direttiva si applichi, debbono essersi verificati due eventi: in primo luogo, dev essere stata presentata all autorità nazionale competente una domanda diretta ad aprire un procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori e, in secondo luogo, devono essere stati pronunciati vuoi una decisione di apertura del procedimento, vuoi un accertamento della chiusura dell impresa, in caso di insufficienza dell attivo" ;
tuttavia, "Il verificarsi di tali due eventi, considerati dall art. 2, n. 1, della direttiva, se condiziona l entrata in azione della garanzia prevista dalla direttiva, non può però servire a designare i diritti non pagati oggetto della detta garanzia";
infatti "tale ultima questione è disciplinata dagli art. 3 e 4 della direttiva, che si riferiscono a una data necessariamente unica, prima della quale dovrebbero trascorrere i periodi di riferimento considerati da tali articoli";
ora "l articolo 3 della direttiva attribuisce agli Stati membri la facoltà di scegliere, tra più possibilità, la data prima della quale le retribuzioni non corrisposte saranno garantite (e), proprio in considerazione della scelta cosi operata dagli Stati membri, l articolo 4, n. 2, della direttiva determina i diritti non pagati che dovranno comunque formare oggetto dell obbligo di garanzia nel caso in cui, come nella fattispecie, uno Stato membro decida, in applicazione dell art. 4, n. 1, di limitare la garanzia stessa nel tempo";
"nella fattispecie, lo Stato italiano ha optato per la data dell insorgere dell insolvenza del datore di lavoro di cui agli ari. 3, n. 2, primo trattino, e 4, n. 2, primo trattino, estendendo il periodo di riferimento da sei a dodici mesi";
"discende da quanto precede che, se l applicazione del sistema di tutela dei lavoratori istituito dalla direttiva richiede nel contempo una domanda di apertura di un procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori, quale predisposto dalla legge dello Stato membro interessato, ed una formale decisione di apertura di siffatto procedimento, la determinazione dei diritti non pagati che debbono essere garantiti dalla direttiva si opera, ai sensi degli ari. 3, n. 2, primo trattino, e 4, n. 2, con riferimento all insorgere dell insolvenza del datore di lavoro, la quale non coincide necessariamente con la data di tale decisione ";
"infatti, come risulta dal resto dalle circostanze del caso di specie, la decisione di aprire il procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori o, più precisamente, nella fattispecie, la sentenza dichiarativa di fallimento può intervenire molto tempo dopo la domanda di apertura del procedimento o, ancora, la cessazione dei periodi di occupazione a cui si riferiscono le retribuzioni non corrisposte, così che, se l insorgere dell insolvenza del datore di lavoro dovesse dipendere dal ricorrere delle condizioni previste dall ari. 2, n. 1, della direttiva, il pagamento di tali retribuzioni, tenuto conto delle limitazioni temporali di cui all ari. 4, n. 2, potrebbe non essere mai garantito dalla direttiva, e ciò per motivi che possono essere indipendenti dal comportamento dei lavoratori. Quest ultima conseguenza sarebbe in contrasto con la finalità della direttiva che, come risulta dal suo primo considerando , è quella di garantire ai lavoratori subordinati una tutela comunitaria minima in caso di insolvenza del datore di lavoro "; ora "la nozione dell insorgere dell insolvenza del datore di lavoro non può per questo essere puramente e semplicemente equiparata (......) all inizio della cessazione del pagamento delle retribuzioni, (in quanto), per identificare i diritti non pagati che devono essere garantiti dalla direttiva, gli ari. 3 e 4, n. 2, si riferiscono ad un periodo che si colloca prima della data dell insorgere dell insolvenza "; pertanto, "tenuto conto, nel contempo, della finalità sociale della direttiva e della necessità di fissare con precisione i periodi di riferimento ai quali la direttiva annette effetti giuridici, la nozione dell «insorgere dell insolvenza del datore di lavoro» di cui agli ari. 3, n. 2, e 4, n. 2, della direttiva deve essere interpretata nel senso che designa la data della domanda diretta all apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori, fermo restando che la garanzia non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedimento o dell accertamento della chiusura definitiva dell impresa, in caso di insufficienza dell attivo ".
6.Risulta, quindi, funzionale - alla effettività della tutela, che la direttiva intende garantire ai diritti dei lavoratori subordinati, in caso di insolvenza del datore di lavoro - la sostanziale anticipazione dell «insorgere dell insolvenza del datore di lavoro» (di cui agli art. 3, n. 2, e 4, n. 2 della direttiva) - quale dies a quo del termine di riferimento per l identificazione dei diritti tutelati -rispetto all apertura di una procedura concorsuale - alla quale è limitato, secondo la direttiva, l intervento dell organismo di garanzia - riportandolo, coerentemente, alla data della domanda diretta all apertura di quel procedimento.
La garanzia di effettività della tutela risulterebbe, infatti, frustrata - almeno di regola - se il dies a quo del termine, riferito all insorgere dell insolvenza del datore di lavoro (ed elevato da sei ad un anno nel nostro ordinamento) - che é fissato per la "determinazione dei diritti (......) garantiti dalla direttiva" - restasse ancorato - nonostante la tempestività della domanda di apertura della procedura concorsuale - alla data di apertura effettiva della stessa procedura, sebbene questa possa intervenire molto tempo dopo la domanda - "per motivi che possono essere indipendenti dal comportamento dei lavoratori " - in palese "contrasto con la finalità della direttiva che, come risulta dal suo primo "considerando", è quella di garantire ai lavoratori subordinati una tutela comunitaria minima in caso di insolvenza del datore di lavoro ".
Pertanto il Fondo di garanzia (istituito presso l INPS e dal medesimo gestito, ai sensi dell art. 2 della legge n. 297 del 1982 e dell art. 2 dei decreto legislativo n. 80 del 1992, cit.) "si sostituisce" a\ datore di lavoro -inadempiente per insolvenza, appunto - nel pagamento dei "crediti di lavoro,
(.....), inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono" - per quel che qui interessa - "la data del provvedimento che determina l apertura di una delle procedure" concorsuali elencate contestualmente (art. 1, comma 2) - da intendersi riferita, tuttavia, alla "data della domanda diretta all apertura" della stessa procedura - fermo restando che, in ogni caso, la garanzia non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedura - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine le sentenze n.6808/2003, 1106/99) - in quanto la norma interna -che considera, quale arco di tempo in cui collocare le mensilità da corrispondere da parte del Fondo di garanzia, quello determinato, a ritroso, dalla data del provvedimento di apertura del fallimento - si pone in palese contrasto con l esaminata sentenza Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95, cit.) - che intende garantire, appunto, la effettività della tutela ai diritti dei lavoratori subordinati, in caso di insolvenza del datore di lavoro - e, come tale deve essere disapplicata.
7.La stessa funzione di garanzia pare destinata ad assolvere, tuttavia, l applicazione del medesimo principio - oltre che alla domanda di apertura di procedura concorsuale - anche a qualsiasi altra iniziativa - parimenti volta ad ottenere tutela giurisdizionale per i "diritti (.....) garantiti dalla direttiva" - dovendosi prescindere, anche in tale ipotesi, dalla data di apertura effettiva della procedura concorsuale, che può intervenire - per quanto si è detto - molto tempo dopo la domanda, "per motivi (.....) indipendenti dal comportamento dei lavoratori ".
Diversamente opinando, infatti, la garanzia di effettività della tutela - che la direttiva intende perseguire - risulterebbe frustrata nella ipotesi in cui il lavoratore faccia valere i propri diritti - in una sede giurisdizionale diversa -prima di avviare la procedura concorsuale, fermo restando, tuttavia, che
l apertura della stessa procedura risulta, in ogni caso, indispensabile - per quanto si è detto - al fine dell accesso alla tutela garantita dalla direttiva.
8.La conclusione prospettata si impone, vieppiù, ove si consideri che il nostro ordinamento - derogando in melius, per i lavoratori, le disposizioni della direttiva - prevede, per quanto si è detto, che - qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle procedure concorsuali (di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) - "Il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempre che, a seguito dell esperimento dell esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti ".
Risulta evidente, infatti, che l applicazione del principio - enunciato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (nella sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95, cit.) - non possa non prescindere, in tale ipotesi, dalla domanda di apertura della procedura concorsuale, che deve essere, di conseguenza, necessariamente surrogata da qualsiasi altra iniziativa, parimenti volta ad ottenere tutela giurisdizionale per i "diritti (.....) garantiti dalla direttiva".
La stessa applicazione del principio enunciato dalla Corte di giustizia (nella sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95, cit., appunto) - che è stata prospettata per il caso, che qui interessa, di datore di lavoro soggetto alle procedure concorsuali - risulta quindi coerente, da un lato, con il principio medesimo - come si legge, (anche) alla luce della ratio decidendi ad esso sottesa - e garantisce, dall altro, parità di trattamento - quanto a tutela dei diritti, in caso di insolvenza del datore di lavoro - ai lavoratori subordinati, a prescindere dalla soggezione, o meno, dello stesso datore di lavoro a procedure concorsuali.
9. La sentenza impugnata - in quanto nega qualsiasi rilievo, al fine della individuazione dei diritti del lavoratore (ed attuale ricorrente) da tutelare in caso di insolvenza di datore di lavoro (soggetto, nella specie, a procedura concorsuale, peraltro effettivamente aperta), ad iniziative del lavoratore stesso (nella specie, mediante ricorso per ingiunzione) volte a far valere in giudizio quei diritti (asseritamene entro il prospettato termine annuale di riferimento, decorrente a ritroso dalla data della medesima iniziativa) - si discosta dal principio enunciato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (nella sentenza 10 luglio 1997, causa C-373/95, cit.) ed applicabile, per quanto si è detto, alla dedotta fattispecie.
Tanto basta per accogliere il ricorso
10. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto.
Per l effetto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice d appello - designato in dispositivo - perché proceda al riesame della controversia - uniformandosi al seguente principio di diritto:
Il Fondo di garanzìa (istituito presso l INPS e dal medesimo gestito, ai sensi dell art. 2 della legge n. 297 del 1982 e dell ali. 2 del decreto legislativo n. 80 del 1992) "si sostituisce" ai datore di lavoro nel pagamento dei "crediti di lavoro, (..,..), inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono" qualsiasi iniziativa del lavoratore, che - come la domanda di apertura della procedura concorsuale - sia parimenti volta a far valere in giudizio quei diritti, fermo restando, tuttavia, che la garanzia del Fondo non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedura.
Al giudice di rinvio va demandato, altresì, il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione (art. 385, 3° comma, c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d appello di Milano, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione.
Cosi deciso in Roma, il 25 novembre 2004.
Il Consigliere estensore II Presidente
Depositata in cancelleria il 1 Febbraio 2005
Insolvenza del datore di lavoro ed intervento delle Gestione prestazioni temporanee
Articolo di Antonino Sgroi 28.02.2005
Garanzia del pagamento delle ultime tre mensilità da parte della Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti e individuazione della data di insorgenza dell’insolvenza del datore di lavoro.
Antonino Sgroi
(avvocato Inps)
Il legislatore italiano, a tutela dei crediti vantati dai lavoratori nei confronti dei propri datori di lavoro, è intervenuto, una prima volta, con la legge 29 maggio 1982, n. 297, e una seconda volta, su sollecitazione del legislatore comunitario (si tratta della direttiva 80/987/CEE del Consiglio del 20 ottobre 1980, direttiva che è stata da ultimo modificata con la direttiva 2002/74/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23.9.2002), con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80.
L’art. 2 del primo testo legislativo istituiva presso l’Inps un Fondo di garanzia per l’erogazione del trattamento di fine rapporto in favore dei lavoratori e dei loro aventi diritto, qualora il datore di lavoro non avesse provveduto al pagamento del citato trattamento.
Il Fondo di garanzia è stato fuso con ogni altra forma di previdenza a carattere temporaneo diversa dalle pensioni, in un’unica gestione che assume la denominazione di Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti in forza del disposto contenuto nel primo comma dell’art. 24 della legge n. 88 del 1989.
Fra il primo e il secondo testo legislativo nazionale si è avuto l’intervento del legislatore comunitario che, con la direttiva del 20 ottobre 1980, si poneva il fine di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri della Comunità, con riguardo alla tutela dei lavoratori subordinati nell’ipotesi di insolvenza dei datori di lavoro.
Lo stato di insolvenza del datore di lavoro, dal quale scaturisce il diritto alla tutela del proprio credito retributivo, sorge, fra l’altro, quando è stata chiesta l’apertura di un procedimento, previsto dalle disposizioni legislative di ogni Stato membro, che riguarda il patrimonio del datore di lavoro ed è finalizzato al soddisfacimento collettivo dei creditori di questi.
Il legislatore comunitario, nei successivi articoli 3 e 4 della direttiva, delinea i criteri ai quali si dovrà uniformare ogni legislazione nazionale, finalizzati al pagamento dei crediti retributivi sorti antecedentemente a una data determinata e all’eventuale limitazione della tutela apprestata dall’ordinamento.
Con riguardo al primo dei profili, la data, secondo il legislatore comunitario, può essere individuata dal legislatore nazionale, all’interno di tre ipotesi, e cioè:
· quella dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro,
· quella del preavviso di licenziamento comunicato al lavoratore a seguito dell’insolvenza del suo datore di lavoro,
· quella dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro o quella della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro avvenuta a causa della citata insolvenza.
Con riguardo al secondo dei profili, possibile limitazione della tutela da parte di ogni Stato membro, in ogni caso questi ultimo dovranno, nell’ipotesi:
· che la data, dalla quale calcolare a ritroso il periodo oggetto di tutela, sia individuata nell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro, garantire il pagamento della retribuzione afferente agli ultimi tre mesi nell’ambito di un periodo di sei mesi precedenti la data dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro;
· che la data, di cui al precedente articolo 3, sia individuata nel licenziamento del lavoratore comunicato a causa dell’insolvenza del suo datore di lavoro, garantire il pagamento della retribuzione degli ultimi tre mesi precedenti la data di preavviso di licenziamento;
· che la data sia, alternativamente, individuata secondo entrambi i modelli suddelineati, garantire il pagamento della retribuzione degli ultimi diciotto mesi precedenti la data dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro o la data di cessazione del contratto o rapporto di lavoro, avvenuta a causa dell’insolvenza del datore di lavoro. Ma in tale ipotesi gli Stati potranno limitare l’obbligo di pagamento alla retribuzione corrispondente a un periodo di otto settimane o a vari periodi parziali per un totale della stessa durata.
Infine, per quel che interessa in questa sede, la direttiva, all’art. 9, fa salva la possibilità degli Stati membri di applicare disposizioni più favorevoli per i lavoratori subordinati.
Si osservi che la sezione I della direttiva, ove sono contenuti gli articoli retro menzionati, è stata integralmente sostituita dalla direttiva 2002/74/CE.
E’ rilevante osservare, fra l’altro, che in questo nuovo testo:
· al prg. 4 dell’art. 2, innovativamente è previsto che la direttiva medesima non impedisce agli Stati membri di estendere la tutela ad altre situazioni di insolvenza, come la cessazione di fatto dei pagamenti in forma permanente, stabilite mediante procedure diverse da quelle concorsuali;
· il nuovo art. 3 muta il modello di tutela, estendendo la garanzia alle indennità dovute ai lavoratori a seguito dello scioglimento del rapporto di lavoro, alle retribuzioni non pagate corrispondenti a un periodo che si colloco prima e/o eventualmente dopo una data determinata dagli Stati membri e, per l’individuazione di tale data, non vi è alcuna disposizione contrariamente a quanto accadeva con il testo precedente al paragrafo 2;
· i mutamenti apportati all’articolo 3 hanno imposto un mutamento delle disposizioni, dettate dal successivo articolo 4, in tema di possibile limitazione dell’obbligo di tutela apprestato dall’ordinamento nazionale, ma è stato reiterato il principio che fissa la tutela nella retribuzione degli ultimi tre mesi, lasciando la possibilità agli Stati membri di iscrivere tale periodo di tre mesi in un periodo di riferimento la cui durata non può essere inferiore a sei mesi;
· all’art. 9 è aggiunta un nuova disposizione che vieta agli Stati membri, in fase di attuazione della direttiva medesima, di introdurre regole lesive della posizione di tutela assicurata ai lavoratori in forza della sola legislazione nazionale.
Nel solco della citata legislazione comunitaria, ovviamente antecedentemente alle modifiche a quest’ultima apportate con la direttiva del 2002 alle quali gli Stati membri dovranno conformarsi anteriormente all’8 ottobre 2005, si pone il decreto legislativo n. 80 del 1992, che disciplina le modalità di tutela dei crediti retributivi vantati dai lavoratori subordinati nei confronti del datore di lavoro inadempiente.
Il nostro legislatore, utilizzando i criteri dettati dal legislatore comunitario nei retro citati articoli 3 e 4, individua la data, dalla quale individuare a ritroso i crediti retributivi oggetto di tutela, in quella di insorgenza dell’insolvenza del datore di lavoro.
Da ciò sarebbe scaturito che l’eventuale possibilità di limitazione dell’ambito di tutela, in forza di quanto disposto dall’art. 4 della direttiva (secondo paragrafo, primo trattino), non poteva essere inferiore alla retribuzione degli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro nell’ambito di un periodo di sei mesi antecedenti alla data dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro.
Il nostro legislatore utilizza invece una via mediana, infatti da un lato limita la tutela alle ultime tre mensilità, ma da altro lato estende il periodo, all’interno del quale si pongono queste tre mensilità, a dodici mesi.
Infatti l’art. 2 del citato decreto legislativo tutela i crediti di lavoro, diversi dal trattamento di fine rapporto (trattamento tutelato nel nostro sistema sin dal lontano 1982, con la legge n. 297), inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro e rientranti nei dodici mesi che precedono, fra l’altro e per quel che interessa la presente nota, la data di inizio dell’esecuzione forzata promossa nei confronti del datore di lavoro inadempiente, non assoggettabile a procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, e infine procedura di amministrazione straordinaria.
La menzione alle procedure esecutive individuali, nei confronti dei datori di lavoro insolventi non soggetti a procedure di soddisfacimento collettivo dei creditori amplia la platea dei lavoratori beneficiari della disciplina comunitaria. Tale ampliamento trova una sua giustificazione nell’ordinamento comunitario all’interno della disposizione contenuta nell’art. 9, retro cit., e nella possibilità riconosciuta a ogni Stato membro di introdurre una disciplina di maggior favore.
Ma lo stesso trova altresì una sua ratio giustificatrice nella precedente disciplina nazionale posta a tutela dei crediti per trattamento di fine rapporto vantati dai lavoratori subordinati nei confronti dei datori di lavoro insolventi.
Infatti, come noto, il nostro sistema, ancor prima della tutela comunitaria riconosciuta sul punto con il nuovo testo dell’art. 2 laddove si parla di altre situazioni di insolvenza diverse da quelle sfocianti nell’apertura di procedure concorsuali, appresta una tutela anche nei riguardi di quei lavoratori dipendenti da datori di lavoro non sottoponibili a procedure concorsuali (sul tema si v. da ultimo: A. Bellavista, Insolvenza del datore di lavoro, in Enc. del Dir., Milano, Giuffré, Aggiornamento, vol. IV, 2000, 688 e, limitamente al profilo previdenziale, A. Sgroi, Esecuzione forzata e intervento della gestione prestazioni temporanee, nota a Trib. Pavia, n. 266/97 e Trib. Torino, n. 2976/00, in Inf. previdenziale, 2000, 975), riconoscendo a costoro, a condizione che dimostrino di avere inutilmente esperito procedure di recupero coattivo del vantato credito per t.f.r., il pagamento del medesimo da parte del Fondo di garanzia gestito dall’Inps.
Tale tutela nei confronti dei lavoratori, dipendenti da lavoratori non sottoponibili in caso di insolvenza a procedure concorsuali, non poteva che essere traslata dal legislatore nel momento in cui si doveva apprestare altra e diversa tutela nei confronti sempre dei lavoratori subordinati, ma con riguardo al mancato pagamento della retribuzione mensile. E ciò anche se nei confronti di questa categoria di lavoratori nulla era detto nella legislazione comunitaria di riferimento, ove quale metro di riferimento si avevano i soli lavoratori dipendenti da datori di lavoro sottoponibili a procedure concorsuali.
L’anzidetta estensione di tutela, operata dal legislatore nazionale con l’art. 2 in favore dei lavoratori subordinati di una species di datori di lavoratori non contemplati nella legislazione comunitaria, si coniuga, all’interno del medesimo testo legislativo, con l’ulteriore disposizione, per quel che rileva in questa sede, che nell’individuare il lasso temporale annuale, all’interno del quale si pongono le tre mensilità da garantire a carico del Fondo, fissa, quale topos cronologico, il momento di inizio della esecuzione forzata da parte del lavoratore-creditore.
L’individuazione così fatta del momento di scansione temporale dell’anno conduce, prima facie, alla necessità che l’esecuzione sia esperita entro l’anno dal momento del verificarsi dell’inadempimento del datore di lavoro, pena l’impossibilità giuridica di un intervento del Fondo menzionato.
All’interno di questa problematica si pone la questione che è stata chiamata a risolvere la Corte di cassazione con la sentenza che brevemente si annota.
Nel caso sottoposto al vaglio giudiziale, da quel che è dato comprendere dalla lettura della decisione, una lavoratrice si era vista disconoscere dall’Inps il diritto al pagamento delle ultime tre mensilità, nonostante avesse richiesto e ottenuto provvedimento monitorio nei confronti del datore di lavoro entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro, perché il verbale di pignoramento negativo, dal quale risultava che non vi erano garanzie patrimoniali, era stato redatto al di là del menzionato termine annuale, e nonostante il datore di lavoro fosse stato successivamente sottoposto a procedura concorsuale all’interno della quale si era insinuata la lavoratrice.
Si osservi, sin da ora e per consentire una migliore comprensione della questione, che, per accedere alla tutela apprestata dalla legge del 1982 e dal decreto legislativo del 1992, è necessario da parte dei lavoratori, qualora i propri datori di lavoro non siano sottoponibili a procedura concorsuale, l’esperimento di una procedura di recupero coattivo che si concluda, in toto vel pro parte, con la mancata soddisfazione del credito, per t.f.r e/o retribuzione afferente alle ultime tre mensilità, vantato dal lavoratore procedente.
La giurisprudenza di legittimità ha, su questo aspetto, affermato costantemente che “Il lavoratore, creditore del tfr nei confronti di datore di lavoro non soggetto a fallimento, per poter chiedere il pagamento del trattamento al fondo di garanzia istituito presso l’Inps, è tenuto a verificare la mancanza o l’insufficienza della garanzia del patrimonio del datore di lavoro attraverso un serio tentativo di esecuzione forzata e, qualora, eseguita infruttuosamente una forma di esecuzione, si prospetti la possibilità di ulteriori forme di esecuzione, è tenuto ad esperire quelle che, secondo l’ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose, mentre non è tenuto ad esperire quelle che appaiano infruttuose o aleatorie, allorquando i loro costi certi si palesino superiori ai benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità (sulla base di tale principio la suprema corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in relazione a lavoratore che aveva esercitato infruttuosamente l’esecuzione mobiliare, aveva affermato la necessità dell’esperimento dell’esecuzione immobiliare, ancorché essa si prospettasse infruttuosa).” (da ultimo: Cass., 29 luglio 2004, n. 1447, in Banca Dati C.E.D. Cass., rv. 575085. Il principio vale non solo per il tfr, ma anche per le ultime tre mensilità).
Il Supremo Collegio, nella nostra decisione, ha ritenuto di non potere condividere la soluzione interpretativa a cui erano approdati entrambi i giudici di merito, e ciò in forza di una ricostruzione del reticolato di tutela che prende le mosse dalla legislazione comunitaria sul tema e dall’interpretazione che della stessa ne ha dato la Corte di Giustizia, specificamente con riguardo al significato da assegnare all’espressione “insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro”.
La Corte, una volta individuata la legislazione comunitaria e nazionale e la ratio sottesa alla prima, passa a verificare se le disposizioni dettate dal primo comma dell’art. 2, specificamente quelle concernenti l’individuazione del dies a quo del termine annuale di riferimento con riguardo alla data di inizio della esecuzione forzata individuale, siano conformi all’ordinamento comunitario e, nel compiere tale operazione utilizza gli approdi a cui è pervenuta la giurisprudenza comunitaria nella decisione resa il il 10 luglio 1997, nel procedimento C-373/95 (in Foro it., 1998, IV, 213, con nota di G. Ricci).
In questa decisione la Corte di Giustizia è stata chiamata a individuare quale fosse il significato della nozione - utilizzata dalla direttiva 80/987 agli artt. 3, n. 2 e 4, n. 2 – “insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro”, e se essa corrispondesse alla data della domanda di apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo oppure a quella della decisione di apertura del procedimento medesimo, entrambe le opzioni ermeneutiche trovavano, come rilevato dal giudice nazionale remittente, un appiglio testuale nel n. 1 dell’art.2 della direttiva in questione.
La Corte, una volta constatata quale sia stata la scelta operata dal legislatore italiano con il decreto legislativo n. 80 che ha utilizzato l’opzione della data di insolvenza del datore di lavoro, ha concluso che:
· “la determinazione dei diritti non pagati che debbono essere garantiti dalla direttiva si opera con riferimento all’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro, la quale non coincide necessariamente con la data di tale decisione.” (prg. 49);
· “la nozione dell’<<insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro>> di cui agli art, 3, n.2, e 4, n. 2, della direttiva deve essere interpretata nel senso che designa la data della domanda diretta all’apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori, fermo restando che la garanzia non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedimento o dell’accertamento della chiusura definitiva dell’impresa in caso di insufficienza dell’attivo.” (prg. 52);
· “tale definizione della nozione dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro non può tuttavia ostare alla facoltà degli Stati membri, riconosciuta dall’art. 9 della direttiva, di applicare o di introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori, in particolare al fine di garantire le retribuzioni non corrisposte nel corso di un periodo successivo alla presentazione della domanda diretta all’apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori.” (prg. 53).
Orbene il Supremo Collegio, nella sua decisione, utilizza gli approdi a cui è pervenuta la Corte di Giustizia limitatamente alle procedure concorsuali, e non poteva essere differentemente tenendo conto che la tutela comunitaria opera nei confronti di quei lavoratori dipendenti di datori di lavoro inadempienti sottoponibili a procedure concorsuali, estendendoli alla fattispecie “datore di lavoro inadempiente non sottoponibile a procedura concorsuale”, e ciò malgrado tale affermazione sia ultronea rispetto al caso di specie.
Tale soluzione è supportata dall’affermazione che la garanzia dell’effettività della tutela sottesa alla disciplina comunitaria, che a sua volta rappresenta il brodo di coltura della legislazione nazionale attuativa della direttiva comunitaria, “…pare destinata ad assolvere, tuttavia, l’applicazione del medesimo principio – oltre che alla domanda di apertura della procedura concorsuale – anche a qualsiasi altra iniziativa – parimenti volta ad ottenere tutela giurisdizionale per i diritti garantiti dalla direttiva, dovendosi prescindere dalla data di apertura effettiva della procedura concorsuale, che può intervenire molto tempo dopo la domanda, per motivi indipendenti dal comportamento dei lavoratori.”
Ritiene il Supremo Collegio che, se si accedesse all’opzione interpretativa fatta propria dai giudici di merito, risulterebbe frustrata la garanzia di effettività della tutela perseguita dalla direttiva nella ipotesi in cui il lavoratore faccia valere i propri diritti – in una sede giurisdizionale diversa – prima di avviare la procedura concorsuale, fermo restando, tuttavia, che l’apertura della stessa procedura risulta, in ogni caso, indispensabile al fine dell’accesso alla tutela garantita dalla direttiva.
Approdata a tale soluzione, che si può ritenere si ponga nel solco di un’interpretazione della legislazione nazionale conforme ai principi dettati nella materia dal legislatore comunitario e dalla Corte di Giustizia, la Suprema Corte compie, senza che ciò fosse necessitato per la soluzione della concreta fattispecie sottoposta al suo vaglio, un ulteriore passo in avanti, affermando che la soluzione prospettata è applicabile anche nei confronti di quei lavoratori subordinati dipendenti di datori di lavoro non sottoponibili a procedure concorsuali.
Proprio quest’ultima affermazione, che si ripete non era necessaria per la soluzione del caso di specie, ha un effetto innovativo del sistema di non poco conto, portando a far rientrare, tout court, nell’ambito della disciplina comunitaria una fattispecie introdotta dal legislatore nazionale e che non trova alcun addentellato normativo comunitario.
Infatti la tutela apprestata dal nostro ordinamento in favore dei lavoratori dipendenti di datori di lavoro non sottoponibili a procedure concorsuali non era necessitata in fase di attuazione della direttiva, direttiva che apprestava una tutela limitatamente ai lavoratori dipendenti di datori di lavoro sottoponibili a procedure concorsuali, e rappresenta pertanto l’esercizio di quella facoltà riconosciuta al legislatore nazionale dal legislatore comunitario di introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori subordinati.
Nel nostro caso la disposizione più favorevole riguarda l’estensione dell’ambito di efficacia soggettiva del reticolato di tutela.
Una volta preso atto che il legislatore nazionale ha esteso il reticolato di tutela a una categoria di lavoratori non previsti nella legislazione comunitaria è da chiedersi se tale estensione, nelle sue modalità attuative, debba essere conforme a quella dettata in sede comunitaria per i lavoratori specificamente oggetto di tutela o se, all’opposto, proprio perché si è davanti a una libera scelta del legislatore nazionale, all’interno di questa lo stesso legislatore non è tenuto a rispettare la normazione comunitaria.
L’opzione ermeneutica a cui si deve accedere è quella accolta dai giudici della Cassazione infatti, una volta che il legislatore nazionale ha liberamente esteso la tutela apprestata dal legislatore comunitario a una categoria di lavoratori subordinati in questa non previsti, non si vede quale possa essere la ratio giustificatrice di una deroga, limitatamente a questa categoria di lavoratori, delle disposizioni dettate in sede comunitaria, o di una parziale applicazione dei principi comunitari.
La legislazione comunitaria di tutela, una volta recepita nell’ordinamento nazionale anche in favore di soggetti originariamente non compresi in sede continentale, ha la medesima efficacia che avrebbe per i soggetti originariamente destinatari della normazione europea, non potendosi invece predicare che poi in sede nazionale il legislatore possa porre in essere sottili distinguo a seconda che i beneficiari della disciplina fossero quelli originari o fossero quelli introdotti in sede nazionale per propria libera scelta.
Ma a tale ricostruzione, di rapporti fra norme comunitarie e nazionali e di efficacia espansiva delle prime nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento nazionale, una volta che questo ha esplicitamente previsto nei confronti di quelli l’applicabilità della disciplina comunitaria, se ne può ulteriormente utilizzare altra, squisitamente interna, connessa proprio alla necessità che, per potere fruire del reticolato di tutela in oggetto, qualora si tratti di datori di lavoro non sottoponibili a procedure concorsuali, è previsto il necessario inane esperimento di una procedura esecutiva individuale.
Solo dopo che il lavoratore-creditore, come insegnato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, abbia seriamente esperito tutte le possibili forme di esecuzione forzata individuale, è possibile accedere alla tutela pubblicistica, con la conseguenza pertanto che le esecuzioni possano essere più di una e, con molta probabilità, possano esperirsi ben al di là del termine annuale entro il quale si pongono le ultime tre mensilità tutelate.
Se questo è il concreto dipanarsi della disciplina ne discende pertanto che il termine annuale non può che avere quale momento individuativo, dal quale computarsi a ritroso, quello della richiesta effettuata all’ufficiale giudiziario di esecuzione coattiva, nei confronti del patrimonio del datore di lavoro-debitore, esperita dal lavoratore per il recupero del proprio credito retributivo.
Accedendo a siffatta ricostruzione ne discende una equipollenza di tutela fra lavoratori subordinati, restando indifferente la circostanza che i datori di lavoro di costoro siano o meno sottoponibili a contribuzione.