La disciplina del lavoro degli extracomunitari
della dott.ssa Francesca Piacentini**
La disciplina del lavoro ha assunto un ruolo decisamente centrale nelle normative più recenti in ma teria di immigrazione.
L inserimento nel testo unico 286/98,ad opera della legge 189/2002,della figura del contratto
di soggiorno ha creato tutta una vasta gamma di oneri posti in capo al datore di lavoro qualora intenda assumere alle proprie dipendenze stranieri.
La disciplina del contratto di soggiorno è contenuta nell’art.5bis,introdotto nel T.U. 286/98 dalla
legge 189/2002.
Tale contratto consente al datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia di instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero.
Si tratta del meccanismo della c.d. “ chiamata professionale “.
L’importanza del contratto di soggiorno si evince dal fatto che i permessi di soggiorno per motivi di lavoro sono subordinati alla stipulazione del contratto stesso e, pertanto, si può ritenere che questa
particolare tipologia di contratto sia l istituto chiave della normativa italiana sull immigrazione.
Il datore di lavoro è tenuto a presentare allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza o in quello in cui ha sede legale l’impresa nella quale lo straniero lavorerà una richiesta
nominativa diretta ad ottenere il nulla osta al lavoro, un idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione residenziale per il lavoratore straniero e la proposta del contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell’impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza. Inoltre dovrà dichiarare di impegnarsi a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro assume anche la responsabilità della sistemazione abitativa del lavoratore per tutta la durata del rapporto di lavoro.
Egli assume l’obbligo di reperire e fornire alloggio in tutti i casi in cui lo straniero non sia in grado di trovarlo o ne abbia perso la disponibilità.
Questa procedura fa sì che il contratto possa essere considerato trilaterale poiché in esso si incontrano le volontà del datore di lavoro, dello straniero e dello Stato che interviene in via autoritativa.
Strettamente collegato a questa procedura è quanto disposto dall articolo 24 T.U. 286/98 cioè la sanzione per la condotta del datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze stranieri irregolari. Si tratta di una contravvenzione per la cui integrazione è chiaramente sufficiente la colpa.
Uno degli aspetti più interessanti di tale fattispecie concerne i rapporti intercorrenti tra tale contravvenzione e il delitto di favoreggiamento della permanenza di extracomunitari.
Sul punto la Cassazione (v. Cass. Sez. I sent.28.6.2000) ha statuito che la condotta del datore di lavoro, può essere sanzionata quale favoreggiamento della permanenza solo se è caratterizzata dal dolo specifico dell’ingiusto profitto. Tanto comporta che si esuli dall’ambito del normale svolgimento del rapporto sinallagmatico di prestazione d’opera.
Configura un illecito di tal genere l’impiego di clandestini in attività contra ius o l’imposizione a loro carico di condizioni gravose o discriminatorie di orario o di retribuzione.
In mancanza di queste condizioni particolari, il datore di lavoro può essere sanzionato solamente per il reato contravvenzionale previsto nell’articolo 22 del T.U. 286/98.
Il favoreggiamento della permanenza non può ,quindi, venire contestato al datore di lavoro per il solo fatto della assunzione al lavoro di un clandestino.
Oltre al dolo specifico richiesto occorrerà verificare anche la gravità del fatto desumibile, ad esempio, valutando il numero di clandestini assunti.
La riconducibilità del fatto di colui che ha impiegato al lavoro extracomunitari immigrati contra ius, ove non venga rilevato il dolo specifico del fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di
illegalità degli stranieri,alla fattispecie ex articolo 12, comma 5, è stata esclusa a seguito della abrogazione dell’articolo 12, comma 1, della Legge 943/86.
Ad una diversa conclusione, considerando la sussistenza dello sfruttamento, è giunta la giurispru denza di merito (v.Tribunale Bologna sentenza 9.11.2000).
L’impiego di lavoratori immigrati in condizione di illegalità con la corresponsione di retribuzioni minime connota il fine di lucro e,quindi, l’ingiusto profitto tratto dalla condizione di illegalità richiesto dalla norma; infatti, in tal modo, si favorisce la permanenza dello straniero nello Stato al fine di trarre un ingiusto profitto dalla sua condizione di illegalità .
Tuttavia,la Corte Suprema,di recente, ha escluso che la condotta di chi impiega lavoratori stranieri in condizione di illegalità al fine di favorire lo sfruttamento possa essere ricompresa nel delitto
di cui all’articolo 12, comma 5 T.U. che sanziona la condotta di chi favorisce la permanenza dello straniero in condizione di illegalità nel territorio dello Stato, in ragione della diversa finalità della nuova norma incriminatrice funzionale a regolamentare i flussi di immigrazione nel territorio italiano laddove la disposizione abrogata aveva essenzialmente lo scopo di tutelare le condizioni dello straniero lavoratore ( v.Cass. sez. I sent. 16.02.02 n. 6487).
Bondeno,Febbraio 2005
** Praticante Avvocato
in Ferrara