lavoroprevidenza

venerdì 18 febbraio 2005

L’INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO PUO’ ESSERE ATTRIBUITA A UNA PERSONA CHE, PUR ESSENDO CAPACE DI COMPIERE GLI ATTI ELEMENTARI DELLA VITA QUOTIDIANA, SIA AFFETTA DA GRAVI DISTURBI DELLA SFERA INTELLETTIVA

Cassazione Sezione Lavoro n. 1268 del 21 gennaio 2005



L’INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO PUO’ ESSERE ATTRIBUITA A UNA PERSONA CHE, PUR ESSENDO CAPACE DI COMPIERE GLI ATTI ELEMENTARI DELLA VITA QUOTIDIANA, SIA AFFETTA DA GRAVI DISTURBI DELLA SFERA INTELLETTIVA – E necessita perciò di assistenza (Cassazione Sezione Lavoro n. 1268 del 21 gennaio 2005, Pres. Ianniruberto, Rel. Vidiri).



Giuseppina C. ha chiesto al Pretore di Napoli l’accertamento del suo diritto all’indennità di accompagnamento. Il consulente tecnico nominato dal Giudice ha accertato che la ricorrente era affetta da ritardo mentale di grado medio, emicrania ed epilessia farmaco-resistente con crisi secondarie generalizzate in trattamento; egli ha ravvisato una menomata capacità di astrazione e di concettualizzazione, una carenza di progettualità, una lacunosità della memoria, sia di rievocazione che di fissazione, ed ancora una suggestionabilità e difficoltà a discriminare tra soggetti estranei e familiari.


Soggetti portatori di patologie analoghe a quelle della ricorrente – ha affermato il consulente – difficilmente progrediscono, negli studi, oltre il livello della seconda elementare.
Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Napoli, hanno escluso il diritto della ricorrente alla indennità di accompagnamento.


Il Tribunale ha affermato che tale diritto sorge quando lo svolgimento anche dei più semplici e frequenti atti della vita quotidiana sia suscettibile di creare concreti, seri e gravi pericoli all’integrità fisica dell’individuo, mentre nel caso in esame era risultato che l’interessata era in condizioni di svolgere, in condizioni di accettabile autonomia, la quasi totalità degli atti del vivere quotidiano. Giuseppina C. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza del Tribunale di Napoli per difetto di motivazione e violazione di legge.


La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 1268 del 21 gennaio 2005, Pres. Ianniruberto, Rel. Vidiri), ha accolto il ricorso ricordando la sua giurisprudenza secondo cui le condizioni previste dall’art. 1 della legge n. 18 del 1980 per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento consistono alternativamente nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, oppure nella incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza.


La situazione di non autosufficienza, che è alla base del riconoscimento del diritto in esame – ha osservato la Corte – è caratterizzata, pertanto, dalla permanenza dell’aiuto fornito dall’accompagnatore per la deambulazione, o dalla quotidianità degli atti che il soggetto non è in grado di svolgere autonomamente; in tale ultimo caso è la cadenza quotidiana che l’atto assume per la propria natura a determinare la permanenza del bisogno, che costituisce la ragione stessa del diritto.


La concessione dell’indennità di accompagnamento – ha precisato la Cassazione –si configura come prestazione del tutto peculiare in cui l’intervento assistenziale non è indirizzato, come avviene per la pensione di inabilità, al sostentamento del soggetto minorato nelle sue capacità di lavoro (tanto è vero che l’indennità può essere concessa anche ai minori degli anni diciotto ed a soggetti che, pur non essendo in grado di deambulare senza l’aiuto di un terzo, svolgano tuttavia un attività lavorativa al di fuori del proprio domicilio), ma è rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi carico dei suddetti soggetti, evitando così il ricovero in istituti ed assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale.


Non assume alcuna rilevanza ai fini del riconoscimento di tale indennità – ha affermato la Corte – la circostanza che la necessità di un concreto e fattivo aiuto fornito da terzi sia perdurante per l’intera giornata, potendo anche momenti di attesa, qualificabili come assistenza passiva, alternarsi nel corso della giornata a momenti di assistenza attiva, nei quali la prestazione dell’accompagnatore deve concretizzarsi in condotte commissive (cfr. Cass. 11 aprile 2003 n. 5784); questi principi devono trovare applicazione in presenza di quelle malattie che, per incidere notevolmente sulle capacità intellettive ed, in genere, cognitive, trovano nella famiglia, per i suoi naturali vincoli solidaristici, l’ambiente più favorevole ad alleviare le sofferenze di quanti sono da esse colpiti.


E’ pertanto configurabile un diritto all’indennità di accompagnamento in relazione a tutte quelle malattie che, per il grado di gravità espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive (ad es. Alzheimer o gravi forme di vasculopatia cerebrale), o impedimenti dell’apparato motorio (ad es. Parkinson), o che cagionano infermità mentali con limitazioni dell’intelligenza e che, nello stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza farmacologia al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psicofisiche nonché incombenti pericoli per sé e per altri (es. psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale, o forme di epilessia con ripetute crisi convulsive, controllabili solo con giornaliere terapie farmacologiche).


Queste condizioni patologiche – ha osservato la Corte – rendono a diverso titolo necessaria una continua assistenza giornaliera, giustificante il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, in attuazione di quegli obblighi di assistenza sociale, il cui adempimento si mostra indispensabile per infermità che, come attesta la realtà fattuale, sono sempre più spesso destinate a gravare sulla vita delle famiglie che vedono uno dei loro componenti colpiti dalle suddette malattie.


La Cassazione ha rinviato la causa, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Salerno ed ha stabilito, per il giudice del rinvio, il seguente principio di diritto: “L’indennità di accompagnamento, prevista quale misura assistenziale diretta anche a sostenere il nucleo familiare, va riconosciuta, alla stregua dell’art. 1 della legge 11 febbraio 1980 n. 18, a coloro che, pur capaci di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana (quali il mangiare, il vestirsi, il pulirsi, ecc.), necessitano di un accompagnatore per versare – in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva e cognitiva addebitabili a forme avanzate di gravi stati patologici – nella incapacità di rendersi conto della portata dei singoli atti che vanno a compiere e dei modi e tempi in cui gli stessi debbano essere compiuti, di comprendere la rilevanza di condotte volte a migliorare – o, quanto meno, a stabilizzare o non aggravare – il proprio stato patologico (condotte volte ad osservare un giornaliero trattamento farmacologico), e di valutare la pericolosità di comportamenti suscettibili di arrecare danni a sé o ad altri.



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