La Corte Costituzionale “ ha bocciato” le Regioni sulla legge Biagi e ha posto il sigillo della legittimità costituzionale sulla maggior parte delle sue disposizioni. E’ noto che dopo l’approvazione, nella passata legislatura, della riforma del Titolo V della Costituzione si sono moltiplicati i conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni.
I ricorsi, che hanno intasato la Consulta, trovano la loro base giuridica nel gran numero di materie nelle quali la competenza (dello Stato e delle Regioni) viene definita “concorrente” in termini assai poco chiari. La mancanza di attribuzioni sicure ha indotto le Regioni a dare l’assalto al “Palazzo d’inverno” dello Stato, nel tentativo di allargare le proprie competenze.
E la Corte Costituzionale deve arbitrare le innumerevoli controversie, spesso dettate da motivi di prestigio politico, perché non è affatto dimostrato che le amministrazioni regionali siano più efficienti e preparate di quelle statali. Nel caso della Legge Biagi il ricorso alla Consulta da parte di un gruppo di Regioni governate da coalizioni di centro-sinistra (Marche, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata e Provincia Autonoma di Trento) si proponeva anche degli obiettivi politici: colpire a morte un provvedimento violentemente contrastato da una parte dei sindacati e dei partiti di opposizione, ingiustamente assurto a simbolo della precarietà del rapporto di lavoro e della mancanza di diritti sociali.
La sentenza n.50/2005 della Corte ha sostanzialmente respinto i ricorsi (accogliendoli, come vedremo, solo per alcuni aspetti veramente secondari), rafforzando così la posizione del Governo, il quale non solo è adesso maggiormente legittimato a portare avanti l’attuazione della legge n.30/2003 e dei decreti attuativi, specie per quanto riguarda la questione strategica dei servizi per l’impiego, ma ha pure degli argomenti in più per contrastare, quando verrà il momento, la legislazione regionale in tale materia.
Alcune Regioni di centro-sinistra, infatti, non si sono limitate a presentare ricorso alla Consulta ma hanno adottato (come le Marche) o si apprestano ad adottare (come l’Emilia Romagna) proprie iniziative in palese contrasto con la Legge Biagi. Il Governo non sembra intenzionato a tollerare, sul piano politico, il proposito di sconfessare uno dei provvedimenti che più hanno caratterizzato il suo programma e a consentire, sul piano tecnico, il formarsi di “vie regionali” differenti nella disciplina di importanti istituti del mercato del lavoro. Così l’esecutivo è orientato ad impugnare le leggi regionali considerate difformi da quella nazionale.
La sentenza della Corte, ribadendo il ruolo della legislazione statale in materia di lavoro, favorisce tale linea di condotta. Ma vediamo cosa ha disposto la sentenza n. 50 del 28 gennaio scorso. Due sole norme della legge n.30/2003 hanno subito la censura di incostituzionalità: quella che escludeva l’applicazione delle norme sulle assunzioni obbligatorie (anche se disposte dalle Regioni) nei contratti di somministrazione e quella che disciplinava il tirocinio nelle aziende degli studenti durante le vacanze estive a fini di orientamento e di addestramento professionale.
Mentre nel primo caso la Consulta ha evidenziato un eccesso di potere rispetto alla delega, nel secondo ha correttamente ricondotto la fattispecie alla materia, di competenza regionale, della formazione professionale. Di maggior rilievo sono invece le questioni, incluse nei diversi ricorsi, che la Corte ha respinto. In via generale è stato affermato che la disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro è di competenza esclusiva dello Stato, in quanto rientrante nella materia “ordinamento civile” riservata alla legislazione statale.
E’ stata altresì giudicata infondata la questione di costituzionalità posta per quanto riguarda la materia della cosiddetta certificazione (che mira ad attribuire valore probatorio alla tipologia del rapporto di lavoro scelta dalle parti). Analoga valutazione è stata compiuta nella sentenza in merito alle competenze statali in tema di conciliazione delle controversie di lavoro (fatte rientrare nel campo dell’ordinamento civile e della giurisdizione, di esclusiva competenza statale).
Come già accennato, è molto importante il pronunciamento della Corte per quanto riguarda la questione dei servizi per l’impiego, a cui è certamente attribuibile il tratto della legislazione concorrente. Secondo la Consulta, però, la legge Biagi non viola i principi costituzionali quando mantiene in capo alle Province le funzioni amministrative in materia di collocamento, dal momento che tale norma deve essere interpretata in funzione della continuità del servizio in attesa di un’eventuale diversa disciplina regionale.
E’ altresì ritenuta conforme al dettato costituzionale la previsione di un’unica disciplina dell’accreditamento e dell’autorizzazione delle Agenzie del lavoro, attraverso l’istituzione dell’apposito Albo. Neppure le norme in materia di contratti formativi (inserimento ed apprendistato) sono state giudicate illegittime, in quanto la formazione che si svolge in azienda viene considerata parte integrante del sinallagma contrattuale e quindi è fatta rientrare nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile. |