PATTO DI PROVA E LICENZIAMENTO (04/02/2005)
CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE LAVORO, 26 luglio 2002, n. 11122
“La forma scritta necessaria, a norma dell art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta "ad substantiam" e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta nullità assoluta dell assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, deve sussistere sin dall inizio del rapporto di lavoro”.
SEGUE TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
composta dai seguenti Magistrati: dr. Giovanni Prestipino Presidente dr. Donato Figurelli Consigliere rel. dr. Raffaele Foglia Consigliere dr. Maura La Terza Consigliere dr. Saverio Toffoli Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA
sul ricorso proposto da: Banca X s.p.a., ricorrente;
CONTRO V.A., controricorrente;
per l annullamento della sentenza del Tribunale di Torino in data 5 giugno - 11 luglio 2000, n. 5446/2000, n. 1102/99 R.G.L.;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Donato Figurelli nella pubblica udienza dell 11 aprile 2002; udito l avv. Giulio Prosperetti per la ricorrente;
udito l avv. Nicola Di Pierro per la. controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Vincenzo Nardi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 3 settembre 1998 la signora A. V. chiedeva al Pretore di Torino, previa declaratoria della nullità del licenziamento intimatole il 25 febbraio 1998 dalla Banca x s.p.a,, la condanna della Banca medesima al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della emananda sentenza, con vittoria delle spese di lite.
Esponeva la ricorrente di essere stata assunta in data 7 gennaio 1998 dalla Banca x s.p.a., con la qualifica di impiegata di 3^ livello, assegnata alla funzione Contenzioso Esterno presso la sede di Bologna; di avere iniziato a lavorare il 12 gennaio 1998 con periodo di prova di tre mesi; che con lettera del 25 febbraio 1998 la Cassa di Risparmio di Torino dichiarava di risolvere il rapporto, adducendo a fondamento della risoluzione l esito non positivo della prova; che detta risoluzione veniva impugnata il 6 aprile 1998; che il periodo di prova era stato anticipatamente interrotto e che durante il medesimo non era mai stata adibita alle mansioni che avrebbero dovuto essere oggetto di valutazione; che il licenziamento era comunque illegittimo per non essere stato il patto di prova stipulato contestualmente alla costituzione del rapporto; che, in ogni caso, la breve durata del periodo di prova non aveva consentito una valutazione adeguata della dipendente, e che il recesso era in realtà fondato su ragioni differenti dall esito negativo della prova, legate alle ristrutturazioni societarie e aziendali, che avevano comportato un ridimensionamento del personale dipendente.
Instaurato il contraddittorio, si costituiva la Banca x s.p.a., contestando in fatto e in diritto le deduzioni avversarie, di cui chiedeva la reiezione, e precisando come con lettera datata 7 gennaio 1998, e consegnata alla dipendente il 12 gennaio 1998, la Cassa di Risparmio avesse comunicato alla V. di assumerla con patto di prova di tre mesi, invitandola a restituire copia firmata della lettera, che effettivamente veniva riconsegnata il giorno successivo.
Il Pretore, assunte prove testimoniali, all udienza del 9 dicembre 1998 pronunciava sentenza con la quale dichiarava nulla la risoluzione del rapporto di cui alla lettera 25 febbraio 1998 e condannava la Banca x s.p.a. a risarcire alla V. il danno determinato in un indennità pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento al ripristino del rapporto, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali.
Avverso la suddetta pronuncia interponeva appello la Banca x s.p.a. con ricorso depositato il 4 agosto 1999, con il quale chiedeva, sulla base di un unico articolato motivo di gravame, la reiezione delle domande formulate dalla V.. Si costituiva l appellata, resistendo al gravame. Con sentenza in data 5 giugno - 11 luglio 2000 il Tribunale di Torino rigettava l appello. Osservava il Tribunale che era evidente che solo in un momento successivo all inizio del rapporto era avvenuta la sottoscrizione da parte della lavoratrice del patto che ne prevedeva l assunzione con espletamento di un periodo di prova di tre mesi; che la forma scritta necessaria, a norma dell art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova era richiesta ad substantiam e tale essenziale requisito di forma doveva sussistere sin dell inizio del rapporto di lavoro.
Avverso detta sentenza la Banca x s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, ed illustrato da memoria. La V. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con, il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2096, 1326 ss., 1337, 1352, 1362 ss., 1375, 1218 ss. c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), la Banca ricorrente deduce, che nel corso dell istruttoria svolta nel giudizio di prino grado è stato accertato che la signora V., all atto dell assunzione, era ben consapevole e concorde in ordine alla stipulazione e sottoscrizione di un patto di prova; che riconoscere la pretesa della signora V., riguardante la nullità del patto di prova per l assenza di un requisito formale (mancanza, di sottoscrizione della lettera di assunzione, benché a fronte di un invito) prima dell inizio effettivo del rapporto di lavoro, peraltro successivamente realizzato, ha significato legittimare la stessa ad avanzare un azione giudiziale dolosa, in quanto contraria ad una elementare esigenza di giustizia; che l azione intentata dalla signora V. evidenzia un comportamento non improntato alla diligente correttezza, alla schiettezza ed al senso di solidarietà contrattuale che integrano il contenuto della buona fede; che l elemento sostanziale della consapevolezza della sussistenza. di un periodo di prova concordato nei precedenti incontri e pattuito per iscritto nella lettera di assunzione era ben presente sin dall inizio del rapporto di lavoro ad entrambe le parti contraenti; che le stessa ratio posta a fondamento della disposizione di cui all art. 2096 c.c. risulta comunque rispettata nel caso di specie.
Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell art. 1 d. lgs. 26.5.1997 n. 152, emesso in attuazione della direttiva CEE n. 91/533, la ricorrente deduce che l art. 1 cit., al comma primo, statuisce che il datore di lavoro "é tenuto a fornire al lavoratore, entro trenta giorni dalla data dell assunzione" le informazioni afferenti le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, tra cui "la durata del periodo di prova se previsto", ed al secondo comma statuisce che "l obbligo di cui al comma 1 può essere assolto nel contratto di lavoro scritto ovvero nella lettera di assunzione o in ogni altro documento scritto, da consegnarsi al lavoratore entro trenta giorni dalla data dell assunzione".
Osserva la Corte che, per quanto concerne il primo motivo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v. da ultimo Cass. 14 aprile 2001 n. 5591), la forma scritta necessaria, a norma dell art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta "ad substantiam" e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta nullità assoluta dell assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, deve sussistere sin dall inizio del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere soltanto la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima dell esecuzione del contratto ma non anche la successiva documentazione della clausola orale mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nell inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore.
Ne consegue che nell ipotesi anzidetta trovano applicazione per il rapporto di lavoro le norme in materia di licenziamento. In altri termini, dalla nullità dell assunzione in prova, con conseguente automatica ed immediata assunzione definitiva del lavoratore, ne deriva, che lo stesso non è più licenziabile se non per giusta causa e/o per giustificato motivo, ricorrendone i presupposti di fatto.
Ulteriori corollari di tale principio sono la irrilevanza dei motivi che possono avere indotto il dipendente a ritardare la sottoscrizione e la irrilevanza, altresì, sia della conoscenza dell esistenza del patto che della manifestazione di consenso orale.
La rigorosa interpretazione della norma di cui all art. 2096 c.c. da parte di questa Corte è dettata dall esigenza di evitare che la normativa pubblicistica sui licenziamenti venga elusa ed aggirata dal datore di lavoro, attraverso un facile rimedio idoneo a consentire la libera recedibilità dal contratto almeno per un certo periodo anche senza giusta causa o giustificato motivo.
Questa interpretazione è stata correttamente seguita dall impugnata sentenza, una volta rilevato, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, che, secondo quanto ammesso dalla stessa Banca appellante, il giorno 12 gennaio 1998 la V., odierna resistente, prese servizio presso gli uffici di Torino ed il direttore della Funzione sviluppo del personale le consegnò in quella occasione la lettera di assunzione, illustrandogliene il contenuto ed invitandola a restituirla dopo averla sottoscritta; la V. iniziò a svolgere la sua attività quel giorno e solo il giorno successivo restituì la lettera debitamente firmata con indicata accanto la data del 13 gennaio 1998 all addetto all ufficio Sviluppo personale.
Era, dunque, evidente che solo in un momento successivo all inizio del rapporto era avvenuta la sottoscrizione da parte della lavoratrice del patto che ne prevedeva l assunzione con espletamento di un periodo di prova di tre mesi. Correttamente il Tribunale, come già il primo giudice, non ha attribuito rilevanza al fatto che la V. fosse a conoscenza dell esistenza del patto ed aveva manifestato il suo consenso orale.
Ed altrettanto correttamente si è affermato che un patto di prova, pur se stipulato per iscritto, che sia di data successiva all inizio del rapporto di lavoro, è da presumersi pattuito in frode alla legge e perciò nullo e, in quanto tale, come non apposto al contratto di lavoro che viene ad esser considerato, sin dall inizio, pienamente efficace e, in quanto tale, disciplinato dalla normativa posta a tutela del lavoratore per la conservazione del suo posto di lavoro (Cass. 14 ottobre 1999 n. 11597; 3 gennaio 1995 n. 25).
Ha, peraltro, il Tribunale giustamente osservato che non potevo condividersi l affermazione della Banca appellante secondo cui ingiustamente ricadrebbe su di essa la responsabilità per non aver preteso la sottoscrizione del patto di prova all atto dell assunzione. Nel caso di specie non si tratta infatti di addebitare ad una delle parti le conseguenze dipendenti dalla violazione di una norma contrattuale, bensì di far discendere dalla mancata previsione del patto di prova, al momento dell inizio del rapporto di lavoro, le conseguenze derivanti dall esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, fra cui quella che esclude la libera recedibilità da parte del datore di lavoro. Le ulteriori circostanze di fatto addotte dalla ricorrente, appunto perché tali, non possono essere prese in esame in questa sede. Il primo motivo è pertanto infondato.
Quanto al secondo motivo è da rilevare che le disposizioni del decr. Legisl. 152/97, emesso in attuazione della direttiva CEE n. 91/533, anche a ritenere che nella specie siano state rigorosamente osservate, non possono portare a disattendere quelle disposizioni più favorevoli per i lavoratori previste dal nostro ordinamento sulla forma del contratto di lavoro, sul regime della prova e della sua esistenza, sul contenuto dello stesso, come pure le norme procedurali in materia.
Più specificamente la disposizione di cui all art. 1, primo comma, del suindicato decreto legislativo non può in alcun modo incidere sulla disposizione cogente che richiede la forma scritta ad substantiam del patto di prova fin dalla sua origine. Quanto alla normativa di cui al decr. legisl. 368/2001, essa non può essere invocata, essendo successiva ai fatti per cui è causa. Infondato è quindi anche il secondo motivo. Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controparte resistente le stese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 10,54, oltre euro duemila per onorari.
Così deciso in Roma l 11 aprile 2002.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 26 LUG. 2002.