Noterelle in tema di RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO ALLA PROMOZIONE
A cura del Dott. Enrico Raimondi
Non è sempre facile ottenere il riconoscimento giudiziale del diritto alla promozione alla qualifica superiore, quando si assuma di aver svolto mansioni superiori per un periodo sufficiente a maturare tale diritto.
La difficoltà maggiore che il lavoratore incontra in giudizio deriva in primo luogo dal procedimento che il giudice deve svolgere per risolvere la controversia e che consiste “nell’accertamento in fatto delle mansioni superiori concretamente svolte dal lavoratore (sempre che l’assegnazione del lavoratore a tali mansioni abbia implicato anche l’assunzione della relativa responsabilità e l’autonomia tipica della qualifica rivendicata), l’individuazione della categoria e dei livelli funzionali nei quali questa si articola e il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie che, nella normativa contrattuale, definiscono i singoli livelli” (Cass. 25 agosto 1987, n. 7007; conf: Cass. 20 novembre 2000, n. 14981; Cass. 19 ottobre 2000, n. 13840; Cass. 16 agosto 2000, n. 10838 e n. 10826; Cass. 21 luglio 2000, n. 1384).
Il lavoratore dovrà, quindi, in primo luogo descrivere analiticamente le mansioni superiori che di fatto abbia svolto. La descrizione dovrà riguardare tutti gli elementi posti dalla declaratoria contrattuale corrispondente alla qualifica rivendicata, non potendosi limitare il lavoratore ad una generica enunciazione della propria pretesa.
Dovrà, quindi, soprattutto provare che lo svolgimento di tali mansioni abbia implicato l’assunzione delle responsabilità e dell’autonomia proprie delle mansioni svolte, cioè, come si esprime la giurisprudenza di legittimità, che tali mansioni siano state svolte in modo pieno, “nel senso che deve aver comportato l’assunzione delle responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente superiore qualifica (Cass. 27 luglio 1994, n. 6981; conf.: Cass. 14 agosto 2001, n. 11125).
Inoltre, ai fini del riconoscimento del diritto alla promozione, è necessario il consenso del datore di lavoro (Cass. 1 febbraio 1989, n. 619; Cass. 27 novembre 1987, n. 8834; Cass. 25 agosto 1987, n. 7007), in assenza del quale il lavoratore che abbia provato di aver svolto in ogni caso le mansioni superiori vedrà riconoscersi esclusivamente il trattamento economico corrispondente. Altro elemento necessario è costituito dalla continuità nel tempo dello svolgimento di mansioni superiori che l’art. 2103 del Cod. Civ. prevede sia massimo di tre mesi, salvo diversa pattuizione dei CCNL.
Infine, per ottenere il riconoscimento alla qualifica superiore le mansioni concretamente svolte non devono rientrare tra quelle c.d. vicarie, come avviene “quando tra le mansioni tipiche della qualifica di appartenenza siano già ricompresi compiti di collaborazione e di sostituzione di dipendenti di grado più elevato”; quando ciò avviene “la sostituzione di quest’ultimo non attribuisce al primo il diritto alla qualifica superiore, né al corrispondente trattamento economico” (Cass. 19 gennaio 1985, n. 183; Cass. 24 aprile 1991, n. 4479; Cass. 28 maggio 1990, n. 4937; Cass. 27 novembre 1987, n. 8834).