lavoroprevidenza

lunedì 18 dicembre 2006

ESAME AVVOCATO 2006: TRACCIA N. 2 IN MATERIA PENALE E LA SOLUZIONE PROPOSTA


Tizio, pubblico dipendente della Sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Agrigento, veniva accusato di avere attestato falsamente la sua presenza al lavoro nell Ufficio regionale presso il quale prestava servizio, allontanandosi senza formale permesso e sottoscrivendo fogli di presenza e timbrando il proprio cartellino presso l apposito orologio marcatempo, facendo così risultare orari di entrata e di uscita non corrispondenti a quelli effettivi.


Il candidato, premessi brevi cenni sulla falsità materiale e la falsità ideologica in atti pubblici, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga motivato parere, evidenziando le problematiche sottese al caso in questione, tenendo presente che Tizio era solito timbrare il cartellino all inizio e alla fine della giornata, senza far risultare i propri allontanamenti dal luogo del lavoro, non dovuti a motivi di servizio.



Il comportamento di Tizio, solito allontanarsi dal lavoro senza timbrare il cartellino di presenza, è penalmente illecito.


Del resto nei suoi confronti non sembra configurabile alcuna fattispecie criminosa di falsità in atti: infatti si provvederà ad escludere gli estremi del falso materiale e del falso ideologico in atto pubblico.


Tale condotta è invece rilevante sotto il profilo della truffa, aggravata dalla circostanza dell’art. 640, comma 2° n. 1, pur se dalla traccia non emerge con chiarezza se tale delitto può essergli contestato nella forma tentata o consumata.



Tra i reati contro la fede pubblica, particolare rilievo assume la falsità in atti ex artt. 476 e ss., per l’importante funzione probatoria connessa ai documenti. In questo ambito il legislatore suddivide le condotte illecite nelle diverse categorie del falso materiale, idoneo a compromettere la genuinità documentale, e del falso ideologico, che mina la veridicità.


In altri termini, colui che forma in tutto o in parte un atto inesistente (contraffazione) oppure altera un documento già formato, risponde ai sensi degli artt. 476/477/478/482/485, a seconda della qualifica soggettiva dell’agente e del tipo di atto falsificato. Diversamente, colui che cala nel documento genuino un contenuto menzognero è sanzionato in base agli artt. 479 o 480 o 481 o 483. La più importante differenza disciplinare tra questi due gruppi di reati sta nel fatto che il falso ideologico, diversamente da quello materiale, non assume rilevanza penale qualora attenga ad una scrittura privata. Ciò si trae palesemente dal dettato dell’art. 485, che, incriminando il falso in scrittura privata, tipizza esclusivamente ipotesi di contraffazione ed alterazione.


Con riferimento alla condotta di Tizio, consistente nell’omessa timbratura del cartellino marcatempo, non è riscontrabile la creazione dell’apparenza di un documento in realtà mai formato o l’alterazione di uno esistente. A costui si può al più imputare una falsità contenutistica: infatti, omettendo di far risultare i propri allontanamenti ingiustificati, egli ha implicitamente attestato, in documenti genuini, la propria ininterrotta presenza sul luogo di lavoro.


Diventa quindi fondamentale stabilire se il cartellino segnatempo, così come i registri di presenza, costituiscano atto pubblico o scrittura privata.



La nozione penalistica di atto pubblico è particolarmente ampia, comprendendo qualsiasi documento realizzato dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, per uno scopo riconducibile alle finalità istituzionali dell’ente pubblico. Tale definizione assai estesa non è però comprensiva di ogni atto del pubblico dipendente. In questa nozione, infatti, non sono annoverabili quelli non collegati all’esercizio della pubblica funzione o servizio (ad esempio Cass. 12789/2003).


Le Sezioni unite, in una recente sentenza (n. 15983/2006), hanno chiarito che l’attestazione della presenza sul luogo di lavoro non costituisce atto pubblico, in quanto rappresenta un adempimento che l’impiegato è tenuto ad eseguire con riferimento al rapporto di lavoro, sottoposto a regole privatistiche ai sensi del D. Lgs. 165/2001. In questo modo egli si limita a rendere, in forma implicita o esplicita, una dichiarazione utile al fine del calcolo della retribuzione. Tale atto, dunque, non è annoverabile tra quelli inerenti alla propria funzione o servizio, cioè all’attività finalizzata al perseguimento degli obiettivi dell’ente di appartenenza.


Infatti il dipendente non agisce per conto dell’amministrazione ma per conto proprio, in un rapporto che vede l’amministrazione come controparte. E’ stato così sconfessato l’orientamento fino a quel momento prevalente (ad esempio Cass. 5676/2005), che ravvisava in questi incombenti un obbligo volto a consentire il controllo sull’efficienza amministrativa, concludendo per la natura pubblica dell’atto.


Di conseguenza viene a mancare in radice un elemento fondamentale del fatto tipico dei reati di falso ideologico ed a Tizio non può essere mossa alcuna contestazione in tal senso.



Infine pare indubbio che l’omissione descritta costituisca artificio e raggiro, tale da integrare gli estremi della condotta del reato di truffa, aggravata ex art. 640, comma 2°, n.1 c.p. in quanto ai danni dello Stato.


In particolare, data l’ambiguità della traccia, è opportuno precisare che la consumazione di tale reato è subordinata all’effettiva percezione della retribuzione non dovuta, mancando altrimenti l’induzione in errore e l’evento di danno.



In base a quanto esposto si può ribadire l’assenza di elementi per affermare la sussistenza di reati di falso; al contrario pare fondato un addebito per truffa.




CONSIDERAZIONI SULLA TRACCIA



La tematica dell’omessa attestazione dell’allontanamento dal luogo di lavoro, di estremo interesse pratico e teorico, era tra le più gettonate, anche alla luce della sentenza delle Sezioni unite penali di qualche mese addietro (sentenza n. 15983/2006). Per questo la rubrica “Simulazione d’esame” aveva ospitato l’anno scorso lo svolgimento di un parere (vedi “Assenze ingiustificate”, in particolare l’approfondimento, tratto dal libro “Lo studio e la redazione del parere di diritto penale”, Colasanti – Di Punzio, cap. 21, pp. 410 e ss., Maggioli, 2006), quest’anno la redazione di un atto (vedi “Atto d’appello penale”, tratto dallo stesso volume citato supra), vertenti su fattispecie in gran parte analoghe.



Per lo svolgimento della prova d’esame era innanzitutto fondamentale individuare i tratti della condotta illecita contestata. Questa era opportunamente precisata nell’ultima frase della traccia, che accennava specificamente all’allontanamento senza timbratura del cartellino.



La richiesta di brevi cenni sulla falsità ideologica e materiale imponeva una particolare impostazione dello svolgimento. Il candidato, dopo l’incipit realizzato nelle forme che più aggradano, avrebbe dovuto affrontare in breve la differenza tra tali due nozioni. Questa premessa rendeva opportuna la qualificazione del comportamento del cliente in un modo o nell’altro.


Nello svolgimento del parere si è ritenuto di escludere che l’omessa timbratura possa essere considerata come falso materiale: infatti non c’è contraffazione o alterazione (ipotizza il contrario Cass. 34011/2006, che, in ragione della natura privata dell’atto, accenna all’applicabilità dell’art. 485, reato comunque procedibile a querela). Eventualmente c’è solo falso ideologico implicito.


Gli estremi del falso materiale si sarebbero potuti ravvisare qualora Tizio si fosse messo d’accordo con un collega in modo da timbrare l’uno il cartellino dell’altro. In questo caso infatti si sarebbe creato un documento in cui l’autore apparente non è quello reale. Ma evidentemente non è questa la fattispecie che interessava ai fini dell’esame.



Passando al falso ideologico, se ne è agevolmente esclusa la rilevanza penale grazie al riferimento al dictum delle Sezioni unite, che negano la natura di atto pubblico all’attestazione di presenza del pubblico dipendente. Si è ritenuta, poi, opportuna una menzione al superamento dell’opposto orientamento, prima maggioritario.


In particolare si nota che nello svolgimento proposto non si è reputato necessario affrontare la questione di quale specifica fattispecie di falso ideologico fosse eventualmente integrata. Comunque avrebbe agito correttamente chi avesse optato per il reato dell’art. 479, in quanto si trattava di atto compiuto da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, in cui costui attesta un fatto da lui compiuto (la presenza sul lavoro, per l’appunto).



I più temerari, al limite dell’imprudenza, avrebbero potuto accennare alla esclusione della responsabilità ex art. 479 anche per altra via. A tale fine si sarebbe dovuta affrontare la questione della natura unitaria o composta del cartellino e dei fogli di presenza. Infatti sostenendo che tali documenti in realtà costituiscono il mero supporto di una pluralità di attestazioni separate ed autonome, alcune non recenti sentenze di legittimità (tra cui Cass. pen., sez. V, 23 settembre 1996) avevano escluso gli estremi del falso ideologico per carenza della stessa condotta menzognera. Secondo tale visione, la mancata timbratura o sottoscrizione non costituirebbe un falso ma la totale omissione dell’atto che il dipendente è tenuto a compiere, sanzionabile al più a livello disciplinare.


Ma tale dubbio e complesso tipo di argomentazione non appare più necessario alla luce della più lineare soluzione delle Sezioni unite.


Eventualmente potrebbe mantenere utilità solo con riferimento ai rapporti di pubblico impiego non privatizzati ai sensi dell’art. 3 D.Lgs. 165/2001, visto che la motivazione del supremo organo nomofilattico sembra fare perno sulla privatizzazione. Ma una tale tematica esula palesemente dall’ambito del parere.



Sarebbe, infine, stato possibile accennare, come fanno in obiter dictum le Sezioni unite, alla configurabilità del falso ideologico per induzione ex artt. 48/479. Ciò è ipotizzabile nel caso in cui le false attestazioni del pubblico dipendente, circa la propria presenza sul luogo di lavoro, avessero indotto un diverso pubblico ufficiale al compimento di un atto, inerente alle sue funzioni, contenutisticamente falso (liquidazione della paga da parte dei funzionati contabili?). Ma anche una tale considerazione non sembra assolutamente fondamentale, tenuto conto che dalla traccia non risulta nulla a tale proposito.




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