I coniugi Tizio e Caia, noti professionisti, il 15.7.05 decidevano di partire, di notte, per le sospirate vacanze insieme ai due figli, Primo e Secondo di 16 e 17 anni.
A metà viaggio, sul tratto Roma - Firenze, Tizio finiva in una grossa voragine posizionata in piena curva, provocata da un violento temporale avvenuto nei giorni precedenti.
A seguito dell incidente Tizio e Caia, riportavano ferite gravissime, e nonostante i ripetuti interventi chirurgici nel Maggio 2006 morivano, mentre Primo e Secondo se la cavavano con piccole fratture.
Divenuti maggiorenni Primo e Secondo si rivolgevano ad un legale per un parere, facendo presente che la voragine non era segnalata e che, ormai, sono caduti in difficoltà economiche tali da temere di non poter più continuare gli studi di giurisprudenza.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Primo e Secondo, premessi brevi cenni sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, rediga motivato parere sulla questione, evidenziando in particolare quali danni potranno essere fatti valere in giudizio.
La soluzione del parere in commento imponeva di affrontare la questione della responsabilità della PA (o di concessionari demaniali) per l’omessa manutenzione delle strade, nonché pretendeva l’analisi delle diverse poste di danno di cui gli sfortunati clienti del candidato avrebbero potuto chiedere il risarcimento in giudizio.
Si premette un dato molto curioso. La traccia assegnata si presenta piuttosto ambigua riguardo ad un elemento del fatto di notevole importanza: la natura autostradale o meno del luogo dell’incidente. La versione ufficiosa giunta alla redazione conteneva espressamente questa qualifica, in realtà assente. Del resto l’espressione utilizzata (“tratto Roma-Firenze”) e la richiesta finale di brevi cenni sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale presupponevano palesemente tale qualificazione.
In ogni caso, dati i legittimi dubbi che sorgono dalla lettura della traccia, si ritiene che non avrebbe errato chi, premettendo di considerare autostrada il luogo dell’incidente, ne avesse tratto le dovute conseguenze. Altrettanto nel giusto darebbe stato chi avesse optato per la strada normale, con inevitabili maggiori difficoltà di difendere i propri assistiti.
Con riguardo al primo punto (per un approfondimento vedi “Per un colpo di Skoda”, in particolare “Danno da mancata manutenzione delle strade”, tratto dal libro “Lo studio e la redazione del parere di diritto civile”, Colasanti –Di Punzio, cap. 6, pp. 191 e ss., Maggioli, 2006), i brevi cenni sui due tipi di responsabilità avrebbero dovuto contenere l’indicazione dei rispettivi elementi costitutivi (ex art. 1218 per la responsabilità contrattuale e ex artt. 2043 o 2051 per quella extracontrattuale) e del relativo onere della prova.
In particolare il candidato si sarebbe dovuto concentrare sul fatto che, in base alla prima ed alla terza delle norme citate, la vittima dell’incidente potrebbe ottenere ristoro, senza necessità di dimostrare la colpa del danneggiante. L’ente onerato della manutenzione avrebbe potuto liberarsi da responsabilità provando la sua diligenza (così Cass. 298/2003 per la responsabilità contrattuale della Società autostrade e Cass. 3651/2005 con riferimento all’art. 2051; contra, con riferimento alla responsabilità per cose in custodia, ritenuta di natura oggettiva Cass. 15383/2006).
All’opposto, qualora si fosse ritenuto applicabile esclusivamente l’art. 2043, il danneggiato non avrebbe avuto solo l’ulteriore onere della prova della colpa, ma sarebbe stato gravato altresì della dimostrazione dell’imprevedibilità ed inevitabilità del pericolo. Ciò perché la giurisprudenza tradizionale, con un orientamento preoccupato di limitare l’esposizione patrimoniale della PA, ha subordinato il risarcimento alla sussistenza della cosiddetta insidia o trabocchetto, la cui prova è addossata all’utente della strada.
Un tale assetto, sfavorevole per Primo e Secondo, poteva essere contestato sostenendo il sorgere di un rapporto contrattuale con l’apprensione del ticket autostradale ovvero affermando la sussistenza degli estremi del un rapporto di custodia rilevante ai sensi dell’art. 2051 (così Cass. 288/2003); in ogni caso poteva escludersi che il danneggiato dovesse essere onerato della prova dell’inevitabilità del pericolo, criticando alla radice la costruzione pretoria dell’insidia, ingiustificato privilegio a favore della PA, privo di fondamento positivo (così espressamente Cass. 5445/2006).
Passando alla seconda questione, anche in questo caso al sottoscritto è stata riservata la soddisfazione di avere preconizzato la tematica nell’esercitazione pubblicata su questo sito l’anno scorso (vedine la versione aggiornata “Nella tarda serata di un giorno qualsiasi”, tratto da “Lo studio e la redazione del parere di diritto civile”, Colasanti –Di Punzio, cap. 2, pp. 67 e ss., Maggioli, 2006 ed in particolare l’approfondimento sul danno alla persona e sul danno da morte).
Primo e Secondo possono invocare jure proprio innanzitutto varie voci di danno patrimoniale. Dagli esborsi inerenti alle cure mediche di cui hanno avuto bisogno, al mantenimento, in base al tenore della famiglia, fino a quando non diventeranno economicamente indipendenti.
Per quanto riguardo il danno non patrimoniale possono chiedere il ristoro del danno biologico patito, nonché del danno esistenziale da perdita del congiunto, in aggiunta al connesso danno morale. Pur consapevoli della disputa sulla compatibilità tra danno morale ed esistenziale, si ritiene che sarebbe stato sufficiente prospettare la configurabilità di entrambe le tipologie.
Per quanto riguarda il danno patito dai defunti genitori, conseguibile jure hereditatis, esclusa l’ammissibilità del danno da morte, non riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente, i figli avrebbero potuto pretendere il risarcimento del danno biologico sofferto dal padre e dalla madre, nella particolare accezione di danno terminale (su tale nozione in primis Cass. 11003/2003), nonché del danno morale.
Infine Primo e Secondo si sarebbero pure potuti arrischiare (ma ciò non sarebbe stato importante per il voto d’esame) a domandare il risarcimento del danno patrimoniale corrispondente al presumibile incremento del patrimonio ereditario dei genitori, qualora fossero rimasti in vita, loro spettante perlomeno nei limiti della legittima.
In ogni caso per ulteriori delucidazioni sul danno non patrimoniale (ad esempio circa l’ormai pacifica risarcibilità in caso di responsabilità contrattuale e responsabilità oggettiva) si rinnova il rinvio alla pubblicazione citata supra.