Il ritorno delle gabbie salariali
Prof. Sergio Sabetta
Si parla in questi giorni del recupero, nella Finanziaria in discussione, all’art. 58, delle gabbie salariali che erano già state contestate negli anni ’60 - ’70, fino alla loro abrogazione in favore del salario pubblico uguale per tutti.
Attualmente ad un unico contratto nazionale si aggiunge un contratto integrativo che di fatto dovrebbe differenziare le prestazioni in base al merito e alla produttività, con risultati non sempre soddisfacenti anche per carenza dei sistemi di valutazione.
La differenziazione retributiva avverrà per singole amministrazioni a seconda della ricchezza disponibile, in realtà si ripresenta il problema mai volutamente affrontato del costo della vita nelle varie aree geografiche del territorio nazionale, basti pensare al problema della differenza di spesa alimentare e di abbigliamento tra regioni con diversa ricchezza.
La stessa retribuzione viene ad acquistare un valore effettivo diverso, compensato da presunte fonti ulteriori di reddito che in teoria una maggiore ricchezza territoriale favorirebbe, un modo come un altro per organizzarsi da sé con un po’ di fantasia.
Se questo in parte potrebbe essere superato con la flessibilità salariale che si vorrebbe introdurre, dobbiamo stare attenti a non creare una notevole differenza fra i singoli comparti, che in questo caso potrebbe coinvolgere il comparto Stato.
Sempre seguendo il processo parzialmente federalista in corso seguito da una campagna antistatalista, in cui il pubblico particolarmente l’apparato statale, Ministeri e Scuola, è visto come peso, si ha una progressiva tendenza punitiva, anche se poi il pubblico in realtà permane quale fonte molto interessante di finanziamenti per potentati nazionali e locali a cui una riduzione amorfa del sistema pubblico potrebbe costituire ulteriore fonte di ricchezza, evitando comunque una eccessiva capacità di efficienza e controllo.
Quanto detto non toglie la necessità di una razionalizzazione, se possibile, del pubblico e in questo rientrerebbe senz’altro il riconsiderare i costi di vita per aree geografiche con l’ introduzione di parziali compensazioni, usando le rilevazioni ISTAT, e per tale via almeno non incoraggiare il reflusso da aree a forti costi di mantenimento verso aree con indici della vita più bassi secondo un diffuso costume nazionale, circostanza che ha portato alcune amministrazioni statali ad avere forti scompensi distributivi sul territorio negli organici.