lunedì 6 novembre 2006
IL MITO DEGLI OBIETTIVI NEGLI INCARICHI DIRIGENZIALI
del Prof. Sergio Sabetta
IL MITO DEGLI OBIETTIVI NEGLI INCARICHI DIRIGENZIALI
Prof. Sergio Sabetta
L’esame dei decreti di conferimento degli incarichi dirigenziali portano ad alcune rapide riflessioni sulla necessità o meno della formulazione precisa degli obiettivi in tutte le varie ipotesi di incarico.
L’art. 19 del D. Lgs. n. 165/01 al comma 2 parla esplicitamente di definizione contrattuale dell’oggetto, degli obiettivi da conseguire e della durata dell’incarico. E’ stato più volte osservato che la definizione degli obiettivi ha la chiara funzione di permettere la valutazione gestionale dell’operato del dirigente secondo i meccanismi di cui al D. Lgs. n. 286/99.
Inoltre si è sottolineato che gli obiettivi non coincidono con le funzioni da svolgere, ma rappresentano espliciti e specifici “traguardi” posti al dirigente verso il cui raggiungimento deve essere finalizzata la sua attività. Ne deriva che dovrebbero essere formulati in modo da consentirne la misurabilità e la verifica del livello di realizzazione nel termine fissato, essendo agli stessi legata la corresponsione dell’indennità di risultato.
Un caso emblematico di trasposizione di tale principio è dato dal CCNL in data 1/3/2002 dei Dirigenti scolastici, Area V, il quale all’art. 23, c. 2, così recita:
“L’atto bilaterale di natura privatistica di definizione dell’incarico deve precisare, contestualmente o attraverso il richiamo delle direttive emanate dall’organo di vertice, la natura, l’oggetto, i programmi da realizzare e gli obiettivi da conseguire, i tempi di loro attuazione, le risorse umane, finanziarie e strumentali a disposizione, la durata dell’incarico ed il trattamento economico complessivo”.
Si può ben vedere, per chi ha un minimo di esperienza amministrativa, che il tutto presuppone una capacità di programmazione su ampie strutture che non è nel DNA di un’amministrazione con forti connotati garibaldini, pressata da mille emergenze e interessi contrapposti, operante in ambiti culturali e sociali molto differenti.
A parte i problemi di programmazione, quello che qui preme sottolineare è l’artificiosità, in molti casi, degli obiettivi specifici che si individuano, i quali hanno una valenza tautologica rientrando negli stessi obiettivi quale diretta espressione delle funzioni svolte dal dirigente. Si tratta di esplicitare ciò che è di per se stesso nella funzione, magari in termini parziali ed incompleti; i veri obiettivi specifici sono ad esempio per i Dirigenti scolastici, ex Presidi, ciò che si aggiunge alla logica della propria attività, consegue che gli obiettivi possono essere utilmente individuati in forma specifica solo nel caso in cui si aggiungano quali ulteriori “particulare”, o nel caso di dirigenti posti a staff per obiettivi diversi da quelli derivanti automaticamente dalla tipologia delle proprie funzioni, come studi definiti di casi ben individuati.
Anche la stessa misurabilità di risultati aggiunge notevoli problemi se si esce dalla numerabilità degli atti o dei procedimenti elaborati, ad esempio l’indicatore dei promossi presenta difficoltà di qualità.
In sostanza non si vuole eliminare i programmi e gli obiettivi da conseguire in forma specifica, solo si vuole richiamare l’attenzione sulla loro effettiva utilità, quale strumento da applicarsi di volta in volta a tipologie ben definite di incarichi dirigenziali, tralasciandoli in quei casi in cui si avrebbe solo un appesantimento delle procedure con la creazione di nuove strutture e conseguente aumento dei costi indipendentemente da qualsiasi evidente utilità.
Una forma come un’altra per spostare ideologicamente la spesa.