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La fattispecie del recesso del datore di lavoro, per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (c.d. eccessiva morbilità), è soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa (art. 1256, comma 2 e 1464 cod. civ.), sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali (leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 e successive modifiche). Conseguentemente, da un lato il datore di lavoro non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (c.d. periodo comporto) – predeterminato dalla legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi oppure, nel difetto di tali fonti, determinati dal giudice in via equitativa – e, dall’altro il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso – nel senso che non è all’uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo (art. 3 della legge n. 604 del 1966), né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa (art. 1256, comma 2 e 1464 cod. civ.), né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse.
Le assenze dal lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro – in ipotesi di superamento del periodo di comporto – ove l’infermità sia, comunque, imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro – in dipendenza della nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, che abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza (art. 2087 cod. civ.) o di specifiche norme, incombendo, peraltro, al lavoratore l’onere di provare il collegamento causale fra la malattia, che ha determinato l’assenza (e, segnatamente, il superamento del periodo di comporto), ed il carattere morbigeno dell’ambiente di lavoro o delle mansioni espletate (Cassazione Sezione Lavoro n. 18711 del 30 agosto 2006, Pres. Mileo, Rel. De Luca).