lavoroprevidenza

domenica 1 ottobre 2006

IL RIFIUTO DI ASSUNZIONE DELL’INVALIDO AVVIATO PER COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO NON E’ GIUSTIFICATO DALLA MANCANZA DI QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE

In base alla legge n. 482 del 1968 (Cassazione Sezione Lavoro n. 18203 del 21 agosto 2006, Pres. Mileo, Rel. Monaci).

Silverio G., invalido civile con riduzione della capacità lavorativa superiore ai due terzi, è stato avviato al lavoro obbligatoriamente in base alla legge n. 482 del 1968 presso la s.r.l. Gemex Italia. Questa ha rifiutato l’assunzione sostenendo di avere necessità soltanto di personale con conoscenza delle lingue straniere parlate e scritte, che Silverio G. non conosceva. Il lavoratore ha chiesto al Pretore di Milano, nel novembre del 1998, di dichiarare l’avvenuta costituzione di un rapporto di lavoro anche in base all’art. 2932 cod. civ. oppure, in subordine, la condanna della società all’assunzione, nonché in ogni caso al risarcimento del danno rappresentato dalla mancata corresponsione della retribuzione e dal pregiudizio previdenziale. Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Milano hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, in base ai risultati di una consulenza tecnica, che aveva attestato l’insussistenza degli elementi richiesti per un proficuo inserimento dell’invalido nella struttura organizzativa della convenuta; in particolare, secondo la consulenza, per potere essere utile all’azienda, il convenuto avrebbe dovuto conoscere le lingue inglese e tedesca parlate e scritte e saper fare uso del computer. Silverio G. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione del Tribunale di Milano per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18203 del 21 agosto 2006, Pres. Mileo, Rel. Monaci) ha accolto il ricorso. Il nostro ordinamento – ha osservato la Corte – prevede l’assunzione obbligatoria presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private di lavoratori appartenenti ad alcune categorie, espressamente indicate, meno favorite sul mercato del lavoro (oppure ritenute – anche per ragioni di natura completamente diversa – meritevoli di una particolare tutela), come onere di solidarietà sociale al fine di consentire anche ad essi lo svolgimento di un’attività produttiva, e dare così attuazione nei loro confronti al principio costituzionale del diritto al lavoro.
All’epoca dei fatti, nel 1998, la materia era disciplinata dalla legge 2 aprile 1968, n. 482 (ora sostituita dalla legge 12 marzo 1999, n. 68), che imponeva ai datori di lavoro con un determinato numero di lavoratori di assumere una certa percentuale, calcolata sul numero complessivo degli occupati, di lavoratori rientranti nelle categorie protette, ed in particolare un certo numero di invalidi, avviati obbligatoriamente al lavoro. La libertà di scelta a disposizione del datore di lavoro era limitata: poteva richiedere, a sua scelta, soltanto l’invio di lavoratori avviati obbligatoriamente con la qualifica di operaio oppure, invece, di impiegato, ma non pretendere che fossero in possesso di specifici requisiti di professionalità.
Al di fuori della diversità fra queste categorie – ha osservato la Corte – rimane irrilevante qualsiasi possibile divergenza fra attitudini professionali e le esigenze aziendali; solo eccezionalmente il datore di lavoro può rifiutare l’assunzione obbligatoria del prestatore avviatogli in applicazione della legge n. 482/1968, se lo svolgimento dell’attività da parte dell’invalido avviato obbligatoriamente risulti potenzialmente pericoloso per la sua stessa sicurezza, o per quella degli altri lavoratori e dei terzi in genere, o per quella degli stessi impianti.
L’unica impossibilità che può rilevare come discriminante rispetto alla normale illegittimità del rifiuto del datore di lavoro di procedere all’assunzione del prestatore avviatogli obbligatoriamente – ha affermato la Corte – è quella, oggettiva, di inserimento fisico, anche in relazione ai pregiudizi che ne possano derivare al lavoratore invalido all’interno dell’ambiente di lavoro; non può rilevare, invece, la mancata possibilità di impiegare la prestazione del lavoratore in maniera considerata utile, a causa del mancato possesso da parte sua della capacità e della preparazione necessarie per lo svolgimento dell’attività affidatagli, in sostanza il mancato gradimento di quella prestazione.
L’istituto dell’avviamento obbligatorio, in particolare degli invalidi – ha precisato la Corte – risponde proprio alla finalità di consentire il reperimento di una occupazione anche a soggetti che altrimenti verrebbero assunti difficilmente, e perciò la sua applicazione non può essere condizionata dal possesso di attitudini o di capacità professionali particolari, e neppure dall’organizzazione aziendale adottata dall’imprenditore, il quale non può pretendere il possesso da parte del lavoratore avviato obbligatoriamente di requisiti diversi dalla categoria richiesta di operaio oppure di impiegato.
Il datore di lavoro – ha aggiunto la Corte – non è tenuto a modificare appositamente la propria organizzazione per rendere possibile al lavoratore avviatogli obbligatoriamente lo svolgimento di una prestazione di lavoro, e neppure per evitare che quella prestazione e la stessa presenza dell’invalido possano risultare pregiudizievoli all’interessato, ad altri, o agli stessi impianti, ma, nel predisporre autonomamente la propria organizzazione aziendale, non può neppure non tenere conto dell’obbligo impostigli dalla legge di assumere un certo numero di prestatori appartenenti alle categorie protette (così come deve tenere conto, in via generale, di tutti i molteplici obblighi imposti dalla legge per le più diverse finalità, amministrative, di sicurezza, sanitarie, ecc.): l’art. 11, secondo comma, della legge n. 482/1968 prevede espressamente che “nel limite percentuale di posti dovuti (…) saranno riservati ai mutilati e invalidi almeno la metà dei posti disponibili di custodi, portieri, magazzinieri, ascensoristi, addetti alla vendita dei biglietti nei locali di pubblico spettacolo (cinema, teatri, sale di concerti, ecc.), guardiani di parcheggi per vetture, guardiani di magazzini o che comportino mansioni analoghe”, ed il successivo terzo comma aggiunge un obbligo di precedenza, anche tra gli invalidi, in favore di quelli che abbiano determinate minorazioni.
Qualora l’imprenditore non abbia tenuto conto di questo obbligo ed abbia organizzato la propria struttura aziendale (eventualmente anche appaltando all’esterno lo svolgimento di tutte le attività non essenziali) senza prevedere postazioni di lavoro che possano essere ricoperte da personale non qualificato avviato obbligatoriamente – ha concluso la Corte – il successivo rifiuto di assumere quel personale rimane illegittimo, senza che il datore possa opporre l’impossibilità di utilizzare l’invalido perché mancante della necessaria qualificazione professionale.


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