Intelligenza organizzativa e stress
Prof. Sergio Sabetta
Carel Van Schaik in un recente articolo, il segreto dell’intelligenza, in “Le Scienze”, 72 – 79, 6/2006, ha sostenuto l’incompletezza delle teorie secondo le quali le esigenze sociali favorirebbero lo sviluppo dell’intelligenza, attribuendo un ruolo chiave alla cultura intesa come osservazione e imitazione di soluzioni innovative che determinano di fatto un continuo apprendimento sociale, circostanza che si affianca alla capacità di coltivare rapporti sociali vantaggiosi e valutare rapidamente le circostanze favorevoli.
La deduzione è scaturita dall’osservazione di comunità di scimmie antropomorfe nel loro ambiente naturale nell’isola di Sumatra.
Il trascorrere di una grande quantità di tempo insieme ad individui più capaci, ai fini di procedere ad una assimilazione mediante osservazione ed esercitazioni, comporta la necessità della presenza di modelli di comportamento tolleranti, si è infatti osservato che le prestazioni intellettuali degli animali migliorano sensibilmente mediante l’apprendimento sociale. E’ quindi dimostrata l’importanza dell’ambiente in cui è posto l’individuo e la necessità di una tolleranza fondata su regole comportamentali di scambio collaborativi chiare, in cui l‘intelligenza è conseguenza della cultura.
Come nelle organizzazioni sociali antropomorfe anche nelle organizzazioni umane la necessità costituisce stimolo per l’innovazione e l’apprendimento, da cui emerge l’importanza della comunicazione interna: aperta, tollerante, reticolare, ma controllata.
L’individuo calato in reti sociali di sostegno, deve possedere una chiara coscienza e controllo del sé la quale nasce solo da un corretto interagire con gli altri, in modo che le esperienze possano creare una archiviazione di emozioni che, richiamate nell’interagire quotidiano, permettano di prevedere le mosse altrui in senso collaborativo, comunque tollerante e non aggressivo, concentrando il cervello su atti positivi non in termini di difesa, ossia di apprendimento mediante scambio di informazioni.
Si ha di fatto una fusione fra i due modelli di learning organization, in cui tutta l’organizzazione è fortemente impegnata in un continuo processo di apprendimento e adattamento all’ambiente, e il knowledge management, nel quale punto focale è la mobilitazione della conoscenza individuale tacita nel patrimonio cognitivo collettivo dell’organizzazione.
Sorge la necessità di recuperare un forte aspetto etico dei valori collaborativi, senza i quali non c’è tecnologia che possa proteggerci e interviene, su tempi lunghi, una distruzione della capacità di sviluppo economico sociale innovativo.
L’aspetto conflittuale continuo non regolato porta all’isolamento dell’individuo, con un rapido cambiamento di identità dei soggetti più collaborativi e il prevalere della fratturazione organizzativa in sottogruppi. Ma la cosa più grave dal punto di vista individuale è il peggioramento della salute a causa di una serie di disagi da stress, come più volte indicato nella letteratura biomedica.
Questo accade se l’individuo:
a) sente di avere un controllo minimo degli stressori;
b) non ha alcuna capacità di previsione sulla durata e intensità degli stessi;
c) ha poche capacità di sfogo per le frustrazioni ricevute;
d) considera peggiorativa e senza via di uscita la situazione;
e) manca il sostegno sociale per la violenza ricevuta dagli stessi.
Se a questo si aggiunge un completo distacco fra dirigenza management e resto della piramide o addirittura all’interno della stessa classe dirigente, si ha la dissipazione del capitale umano in un ambiente lavorativo relazionale malsano. La mancata valutazione della salute psichica nell’ambiente lavorativo, favorendo in casi estremi il mobbing, di fatto burocratizza la gestione bloccando qualsiasi capacità innovativa di sviluppo organizzativo ed economico.
Fondamentale a riguardo è quindi la presenza di una leadership che temperi i comportamenti; interessanti sono le analogie con il singolare comportamento scoperto da Jessica Flack, biologa evoluzionista del Santa Fe Institute, dall’osservazione di una comunità di macachi viventi in cattività presso lo Yerkes National Primate Research Centre di Lawrenceville in Georgia.
L’allontanamento degli esemplari dominanti ha portato la comunità a dividersi sempre più spesso in gruppetti, con il parallelo incremento degli episodi di aggressività e il frantumarsi della rete sociale. E’ emersa chiaramente l’importanza del ruolo del mediatore autorevole nel fare sentire unito il branco, incoraggiando la collaborazione; la cooperazione di fatto è anche il prodotto di una buona leadership e non è automatica considerando le varie tipologie caratteriali in azione nel gruppo.
Pertanto è dimostrato che l’eccessivo distacco tra dirigenza e resto della comunità o l’uso egoistico del ruolo porta all’impoverimento del capitale sociale, con il ridursi dei livelli di fiducia e sostegno nella comunità e un parallelo incremento del malessere organizzativo per stress.
Altro elemento fondamentale da considerare e controllare in un gruppo cooperativo, al fine di mantenere e non compromettere il flusso di scambio culturale necessario allo sviluppo, è, oltre all’aggressività, l’azione egoistica individuale. Dobbiamo considerare che l’inganno, secondo i risultati matematici della teoria dei giochi, può prendere il controllo di un intero gruppo sociale fino a comprometterne la capacità di autosostentamento quale gruppo operante in un dato ambiente.
Il successo dell’individuo egoista è superiore nell’immediato a quello del soggetto cooperativo, in quanto usa le proprie energie in modo più efficiente risparmiandole e sfruttando le capacità altrui, ma nel diffondere la propria cultura, proprio attraverso l’aspetto imitativo della specie, riduce con il crescere degli imitatori il proprio successo fino a rendere inefficiente la struttura sociale, ossia incapace di creare crescita e sviluppo; questo tanto nell’ipotesi di una competizione diretta che indiretta sulle risorse disponibili.
La funzione della leadership è pertanto quella di impedire, oltre allo smembramento dell’organizzazione per aggressività interna, che l’azione degli individui egoistici sia premiante nell’immediato a scapito degli individui cooperativi, salvando la cultura intesa come trasmissione di informazioni innovative nella soluzione dei problemi.
Esempio della disgregazione di una grande struttura produttiva per azioni opportunistiche unite all’incapacità gestionale lo si può ricavare dalla vicenda del declino negli anni ‘70 e ’80 della Montedison, in cui un grosso patrimonio tecnico, strutturale e morale ereditato dalla Montecatini fu prima bloccato dall’incapacità di definire una visione e una missione nuove a seguito della fusione con
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