lavoroprevidenza

domenica 24 settembre 2006

PROBLEMATICHE DI UN SISTEMA RETRIBUTIVO FLESSIBILE Equità e ritorsione nell’ambiente lavorativo

del Prof. Sergio Sabetta

Problematiche di un sistema retributivo flessibile


Equità e ritorsione nell’ambiente lavorativo



Prof. Sergio Sabetta





In questi ultimi anni sia nel pubblico che nel privato si è proceduto a rielaborare le strutture retributive con il fine di valorizzare e stimolare le prestazioni, cercando di collegarle alle performance e contenere al contempo i costi.


Questo tuttavia va ben oltre la semplice leva monetaria in quanto si viene ad incidere su aspetti più profondi della persona, quali la considerazione del proprio contributi professionale rispetto agli altri contributi e il conseguente bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata.


La new economy ha introdotto aspetti immateriali, quali la qualità del lavoro, la crescita professionale, l’autonomia organizzativa che si sono sovrapposti alla pura leva monetaria creando dei veri e propri pacchetti retributivi per ciascuna categoria professionale (policy groups).


Si è di fatto accresciuta la complessità e di conseguenza i costi di gestione di un sistema retributivo che deve comunque mantenere una propria coerenza interna sia in termini di equità che di contenimento dei costi.


La flessibilità non deve fare sottovalutare l’importanza della parte di retribuzione fissa la quale, secondo recenti ricerche USA, costituisce buona parte della pay satisfaction, fondamentale per evitare elevati tassi di turnover o forme di scarsa collaborazione. Essa costituisce un fattore igienico quale è quello della sicurezza, in altre parole risponde a un bisogno di base del rapporto lavorativo che può dare luogo a insoddisfazione, ben più grave della demotivazione (Hertzberg).


Abbiamo sopra accennato all’importanza del concetto di equità nel creare un sistema retributivo che diventi stimolo e non ostacolo al mantenimento nel tempo del contratto psicologico tra persona e organizzazione al fine della valorizzazione delle risorse umane.


L’equità è fortemente legata alla coscienza del sé, ossia alla stima che abbiamo di noi stessi e che pretendiamo che gli altri abbiano di noi, è pertanto parte dei rapporti sociali del contesto in cui viviamo. Dobbiamo quindi pensare l’equità non in termini assoluti ma relativi, fra termini non distanti ma prossimi.


Non è solo la conoscenza di termini differenti ma la prossimità con essi, che può essere anche virtuale, a formare il senso di equità; ecco che in una società della comunicazione nella quale vi è una continua informazione e presentazione di modelli comportamentali si accentua la sensibilità sull’equità.


L’equità nell’appagare la coscienza del sé crea un rapporto di fiducia nell’organizzazione stimolando l’impegno, riducendo la diffidenza e i costi di un controllo interno reciproco aumentando al contrario le possibilità di comportamenti reciprocatori e cooperativi.


Scoraggiare lo sfruttamento è fondamentale ai fini di una cooperazione continuativa e questo è ancor più necessario nei sistemi in cui la conoscenza organizzativa è un capitale non facilmente sostituibile, come del resto è evidenziato recentemente in uno studio della Bocconi in cui è emersa l’importanza della capacità di relazionare all’interno dell’organizzazione al fine della crescita di valore rispetto alle pure capacità tecniche possedute in partenza.


Se differenziare la retribuzione in rapporto alle capacità del singolo può essere giusto da un punto di vista teorico, possono sorgere notevoli difficoltà pratiche nell’attuazione di tale principio nel tentativo di evitare sensazioni di iniquità, questo ancor più in assenza di un ampio profondo piano di comunicazione che possa rendere trasparente le logiche e le valutazioni che stanno alla base degli incentivi e delle loro singole assegnazioni. In altre parole la trasparenza dovrà riguardare sia le modalità distributive che quelle procedurali, ancor più nel momento in cui vi siano forti dislivelli retributivi fra pari o contermini qualifiche.


D’altronde nel differenziare si complica la valutazione e si creano le premesse per errori ed anche possibili arbitri, tutte circostanze che inducono diffidenza e conseguentemente continui confronti che possono sfociare in stress e sensazioni di iniquità, compromettendo la relazione lavorativa stessa.


Necessita inoltre che lo schema sia generale, evitando parcellizzazioni che nell’escludere qualcuno ne risenta la performance di tutti, in quanto potrebbero accadere disservizi in settori vitali anche se apparentemente collaterali.


Infine è fondamentale non legare gli incentivi esclusivamente alle singole prestazioni, ma ancorare una parte alle performance di team al fine di evitare una eccessiva conflittualità interpersonale che conduca tensioni interne le quali blocchino la crescita di valore nella produzione. Questo non vuol dire che tutti gli incentivi debbano essere in team, ma che occorre miscelare le due componenti al fine di coinvolgere evitando gli eccessi, in particolare nel settore dei servizi pubblici dove maggiori sono le difficoltà di calcolo delle performance e la mobilità lavorativa.


Dobbiamo considerare che ogni modello comportamentale che non sia coerente con i principi della biologia comportamentale dovrebbe essere evitato, infatti vi è un continum tra emozioni e raziocinio si che le emozioni ci forniscono bisogni e desideri da soddisfare e il pensiero raziocinante li soddisfa, ma allo stesso tempo il pensiero crea gli scenari da cui nascono ulteriori emozioni.


Da esperimenti condotti in diversi paesi sia industriali che preindustriali è emerso un senso di equità radicato nella specie, anche se regolato quantitativamente da eredità culturali fondate sull’esperienza con i mercati.


Dipendendo il nostro benessere da un’efficace interazione sociale è fondamentale mantenere status e reputazione, circostanze che ci inducono ad esiti talvolta apparentemente irrazionali da un punto di vista economico, come quello di rifiutare psicologicamente se non di fatto compensi eccessivamente bassi in relazione ad altri avendo un senso di sfruttamento se superata la soglia dei bisogni elementari.


Può pertanto innescarsi un meccanismo di ritorsioni esplicite o implicite con il fine ultimo di provocare danno a coloro o alla struttura che si ritiene responsabile del comportamento ingiusto, al fine di soddisfare un senso di equità dato dal proprio fondamento biologico.


La reputazione dell’individuo viene quindi mantenuta dai maggiori costi fatti sostenere da coloro che riteniamo responsabili, nasce una conflittualità che può restare latente ma sempre dannosa alla crescita produttiva.





BIBLIOGRAFIA



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