lavoroprevidenza

domenica 17 settembre 2006

IMPIEGO PUBBLICO – PROCEDIMENTO DISCIPLINARE – CONTESTAZIONE DEGLI ADDEBITI – SPECIFICITÀ - RATIO – TUTELA DEL DIRITTO ALLA DIFESA.

del dr. Luca Busico -La contestazione degli addebiti deve contenere una puntuale indicazione delle circostanze, oggettivamente determinate, che costituiscono l’illecito disciplinare al fine di consentire al dipendente incolpato l’ esercizio della difesa

TRIBUNALE DI PISA – sentenza 14 luglio 2006 n. 336 – G.U. Tarquini - A.M. (Avv.ti Righi e Di Passio) c. Comune di Santa Croce sull’Arno (Avv.ti Valori e Scali)



Impiego pubblico – Procedimento disciplinare – Contestazione degli addebiti – Specificità - Ratio – Tutela del diritto alla difesa.



La contestazione degli addebiti deve contenere una puntuale indicazione delle circostanze, oggettivamente determinate, che costituiscono l’illecito disciplinare al fine di consentire al dipendente incolpato l’effettivo esercizio del diritto di difesa.




(Omissis)



MOTIVI DELLA DECISIONE



Le domande attrici sono fondate nei limiti che di seguito si diranno.


Risulta invero dal doc. 2 di parte attrice come la contestazione disciplinare, primo atto del relativo procedimento inviato al lavoratore e datato 17.3.2005, avesse ad oggetto, testualmente “un episodio in cui (questi) avrebbe usato espressioni ingiuriose nei confronti dell’Amministrazione comunale”, essendo riferito il fatto in una relazione di provenienza di uno dei membri della giunta, menzionata, ma non allegata nella contestazione.


Il documento non contiene altra specificazione in ordine alle circostanze di tempo e di luogo dell’affermato illecito, né una qualche indicazione in ordine al contenuto concreto delle espressioni assunte come ingiuriose.


Ora deve dirsi jus receptum l’affermazione secondo cui “i requisiti essenziali della contestazione disciplinare sono costituiti dalla specificità e dall immediatezza: in particolare la specificità assicura l immutabilità dei fatti addebitati, impedendo che il datore di lavoro possa individuare ex post nuove e diverse infrazioni giustificative della sanzione irrogata e, soprattutto, consentendo al lavoratore di esercitare il suo diritto di difesa ex secondo e terzo comma dell art.7 cit. …. Proprio per rendere effettivo il cennato diritto di difesa la contestazione deve….contenere l indicazione delle circostanze, oggettivamente determinate, che costituiscono la contestata infrazione e non può limitarsi a meri giudizi o valutazioni“ (così testualmente da ultimo, ma ex plurimis Cass., sez. lav., 30.6.2005, n. 13998).


In contrario nella specie la contestazione 17.3.2005 non ha un contenuto minimamente descrittivo dei fatti addebitati, essi non essendo individuati né quanto alle circostanze del loro accadimento (in astratto indubitabilmente rilevanti ai fini della difesa del lavoratore), né quanto al loro concreto contenuto di disvalore, risolvendosi piuttosto l’addebito nell’affermazione di fatti in tutto rappresentati dalla loro qualificazione come ingiuriosi operata dall’ufficio di disciplina.


Né può dirsi escluso il difetto di specificità della contestazione dalla circostanza che gli atti dell’istruttoria disciplinare (e quindi verosimilmente anche la relazione della quale la missiva 17.3.2005 fa cenno quale fonte dell’informazione relativa ai fatti addebitati) potessero essere consultati dal lavoratore, in tal senso avvisato nella missiva medesima.


Non può dubitarsi, infatti, “dell’onere esclusivo del soggetto che esercita il potere disciplinare …di fornire, nella medesima contestazione, l indicazione degli elementi di fatto che consentono di evidenziare il significato univoco dell addebito“ (così, testualmente, Cass. n. 12621/2000), una tale indicazione rappresentando tipicamente un atto di esercizio del potere disciplinare, in quanto si risolve nella selezione, all‘interno di una pluralità di fatti storici, di quelli costitutivi del preteso inadempimento, selezione che non può spettare pertanto che al soggetto che afferma l’inadempimento, il suo apprezzamento non essendo surrogabile da quello che altri, compreso il lavoratore destinatario della contestazione, possa formarsi dall’esame degli stessi fatti storici.


Il difetto di specificità della contestazione costituisce, quindi, nella specie un vizio che affetta il procedimento disciplinare esitato nella sanzione impugnata.


Ed un vizio in alcun modo sanato dalla comunicazione doc. 7 del ricorrente, denominata rinnovazione di contestazione di infrazione disciplinare, e che è pacifico essergli stata notificata il 27.5.2005.


In proposito è infatti incontestato che la contrattazione di comparto, e riproducendo la disciplina ivi contenuta, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi della convenuta amministrazione (quest’ultimo all’art. 110) prevedano che l’ente “salvo il caso di rimprovero verbale, non possa adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente, senza previa contestazione dell‘addebito”, contestazione da eseguirsi “tempestivamente e comunque nel termine di venti giorni” decorrenti per quanto qui interessa, facendosi questione di una sanzione più grave anche del rimprovero scritto, “dal momento in cui l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, su segnalazione del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, ha avuto conoscenza del fatto” (così l’art.110 dell’ordinamento degli uffici del resistente).


La stessa disposizione dell’art.110 citato impone all’amministrazione la conclusione del procedimento disciplinare nel termine di 120 giorni dalla contestazione, in difetto prevedendo l‘estinzione del procedimento medesimo, mentre il penultimo comma della disposizione qualifica espressamente come perentori “il termine iniziale e quello finale del procedimento disciplinare” .


E’ certo, quindi, alla luce della normativa autoposta dall’ente (peraltro si è detto riproduttiva della disciplina collettiva soggettivamente efficace sullo specifico tema) che anche il termine previsto per la contestazione degli addebiti al lavoratore incolpato (in quanto atto di avvio del procedimento disciplinare) sia perentorio, essendo convenzionalmente attribuito all’inerzia dell’amministrazione nell’irrogazione della sanzione oltre un termine dato un significato tipico di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare.


Ciò posto è poi del tutto pacifico, e comunque espressamente affermato dall’amministrazione nella contestazione 17.3.2005, avere avuto l’ufficio di disciplina conoscenza dei fatti poi oggetto dell’addebito il 2.3.2005, così tale data costituendo il dies a quo della decorrenza del termine indicato nell’art.110 dell’ordinamento dello stesso ente per la contestazione dell’affermato inadempimento.


E’ allora di tutta evidenza la tardività, rispetto a detto termine, della contestazione notificata al lavoratore il 27.5.2005, e quindi ben oltre il ventesimo giorno dal 2.3.2005.


Ne segue che, viziata dalla sua genericità l’originaria contestazione 17.3.2005, il procedimento disciplinare non può dirsi validamente avviato neppure con la comunicazione 27.5.2005, indipendentemente da ogni altra questione già in ragione della tardività di detta contestazione.


La procedura ex art.7 L. 300/1970 deve, quindi, ritenersi, per i motivi sopra esposti, illegittima e per l’effetto illegittima anche la sanzione all’esito irrogata, che va pertanto annullata, ordinandosi all’amministrazione di restituire al dott. A. l’importo della retribuzione trattenuta in esecuzione della sanzione medesima, maggiorato il capitale di interessi dalla data della illegittima trattenuta e fino al saldo.


Va, invece, respinta la domanda risarcitoria.


In proposito merita rilevare come, pur potenzialmente produttiva l’esecuzione della sanzione dichiarata illegittima di un danno all’immagine personale e professionale del ricorrente, gravava certamente su di lui l’onere di dimostrare l’effettività di detto danno, allegando fatti specifici dai quali desumere l’esistenza in concreto di un discredito, nell‘ambiente lavorativo e comunque nel suo contesto di relazioni sociali, cagionato dall‘irrogazione della sanzione, solo all‘esito la quantificazione del danno potendo avvenire in via equitativa.


Fatti specifici dei quali non vi è traccia in atti, una tale omissione di per sé giustificando la reiezione della domanda.


Deve, peraltro, aggiungersi come la pretesa sia anche altrimenti infondata.


L’attore fa, infatti, discendere il lamentato pregiudizio dalla diffusione sulla stampa locale delle notizie relative al procedimento ed all’irrogazione della sanzione disciplinare, assumendo la responsabilità in tale divulgazione del convenuto ente.


In ricorso, tuttavia, non si allega alcun fatto dal quale ritenere, eventualmente a mezzo del ragionamento presuntivo, la riferibilità all’amministrazione (e quindi ai suoi organi o a persone della cui condotta essa debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale) della diffusione delle notizie che qui interessano, così la dedotta responsabilità restando del tutto indimostrata.


Respinta la domanda risarcitoria, la parziale, reciproca soccombenza impone la compensazione parziale, nella misura del 30%, delle spese di lite, condannandosi l’amministrazione alla rifusione dell’ulteriore 70%, in tale percentuale liquidato come in dispositivo.








.


NOTA DI COMMENTO



La questione affrontata dalla sentenza in commento riguarda la legittimità di un procedimento disciplinare attivato da un ente locale nei confronti di un dipendente. Il giudice del lavoro pisano si sofferma, in particolare, sulla legittimità dell’atto di contestazione degli addebiti emesso dall’amministrazione resistente.


Come è noto, l’art.55, comma 5 del D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (Norme generali sull ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) dispone che ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con l eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.


La contestazione degli addebiti, come è stato efficacemente evidenziato[1], può essere definita come una sorta di fotografia del fatto storico costituente illecito disciplinare. Tale semplice immagine racchiude tutti e tre i requisiti essenziali della contestazione sintetizzabili nei principi (di matrice giurisprudenziale) della immediatezza, della specificità e dell’immutabilità.


Nella sentenza in commento il giudice, in particolare, stigmatizza l’assenza del requisito di specificità della contestazione degli addebiti avente ad oggetto “un episodio in cui (il dipendente) avrebbe usato espressioni ingiuriose nei confronti dell’Amministrazione comunale”, riferito in una relazione di provenienza di uno dei membri della giunta, menzionata, ma non allegata nella contestazione.


Come ha sottolineato in più occasioni la Corte di Cassazione[2], la contestazione deve contenere una puntuale indicazione dei fatti storici addebitati, collocati con sufficiente precisione nel tempo e nello spazio, in modo da consentire al lavoratore incolpato l’esercizio del diritto di difesa. Una contestazione generica e priva dell’individuazione di circostanze oggettivamente determinate non assicura il basilare principio di contraddittorio del procedimento disciplinare, che si sostanzia nella possibilità per il lavoratore incolpato di esporre le proprie ragioni prima dell’irrogazione delle sanzioni. In altri termini, il diritto di difesa può essere pieno ed effettivo solo di fronte ad imputazione specifiche.


Non vi è dubbio che nel caso sottoposto all’esame del giudice del lavoro pisano la contestazione fosse totalmente carente di specificità.



Dr. Luca Busico










[1] Cfr. NOVIELLO-TENORE, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano 2002,183.




[2] Cfr.: Cass., Sez. Lav., 6 ottobre 1997 n. 9713, in Riv. it. dir. lav. 1998,II,337 con nota di ICHINO, Giust. civ. 1998,I,2647 con nota di VALLEBONA; Cass., Sez. Lav., 16 settembre 1999 n. 1019, in Not. giur. lav. 1999,2002; Cass., Sez. Lav., 30 giugno 2005 n. 13998, in Mass. giur. lav. 2006.66.





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