Corte di Cassazione, sez. lav., 29 maggio 2006 n. 12722 con nota dell Avv. Enrico Cafiero
Corte di Cassazione, sez. lav., 29 maggio 2006 n. 12722
pres. Mileo, rel. Di Nubilia, Isaf Costruzioni S.r.l. c. Pasquale Z.
Licenziamento comunicato all’UPLMO – Successiva comunicazione via telefax al lavoratore - Efficacia
Ai fini della validità formale del licenziamento non occorre che la comunicazione scritta, intesa alla risoluzione del rapporto di lavoro, sia diretta al lavoratore, ma è sufficiente che sia portata a sua conoscenza; così anche la comunicazione del detto licenziamento all’Ufficio del Lavoro, se trasmessa anche al lavoratore, può costituire atto scritto.
Efficacia del licenziamento comunicato all’UPLMO e in copia conforme via telefax al lavoratore.
Il licenziamento necessita ad substantiam della forma scritta, quale elemento certo e costitutivo della volontà di recedere, che deve risultare da un documento diretto al lavoratore e contenente l’estrinsecazione formale della volontà negoziale di risolvere il rapporto, al fine di tutelare l’essenziale interesse del destinatario ad impugnare l’atto nel termine decadenziale decorrente dalla comunicazione (Corte Cost. 23.11.1994, n. 398; Cass., S.U., 2 marzo 1987, n. 2179; Cass., S.U., 18 ottobre 1982, n. 5394; In dottrina: M. Tatarelli, Il licenziamento individuale e collettivo, Cedam, Padova, 2006, p. 271 ss.).
Ai fini del rispetto del requisito della forma scritta per la validità del licenziamento, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non è necessario che la volontà risolutiva sia espressa attraverso formule sacramentali, ma essa deve essere comunque manifestata in maniera adeguatamente intelligibile, in modo da rendere conoscibile, senza possibilità di ingenerare dubbi o incertezze, l’intenzione del dichiarante di estinguere il rapporto (Cass. 11 settembre 2003, n. 13375: che in applicazione di tale principio di diritto ha ritenuto non adeguatamente soddisfatto il requisito della forma scritta supportato solo da una lettera inviata dal datore di lavoro in replica ad una missiva della lavoratrice, che contestava l’illegittimità del licenziamento effettuato oralmente, in quanto la lettera del datore di lavoro conteneva solo l’affermazione della legittimità del licenziamento, effettuato “ad nutum” in quanto qualificava il rapporto tra le parti come autonomo; Cass. 26 agosto 2002, n. 12559; Cass. 17 marzo 2001, n. 3869: che ha confermato la decisione di merito che aveva escluso potesse integrare il requisito della forma scritta del licenziamento l’annotazione della risoluzione di singoli rapporti di arruolamento sul libretto di navigazione unita alla contestuale consegna al lavoratore di un foglio di liquidazione delle spettanze contenente la voce “t.f.r.”; Cass. 21 marzo 1986, n. 2035, che ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto il requisito soddisfatto dalla nota di trasmissione dell’indennità di fine rapporto; Trib. Milano, 31 dicembre 1997, in O.G.L., 1997, 1070, che ha ritenuto insufficiente la sottoscrizione dell’atto di liquidazione delle competenze spettanti alla fine del rapporto; Trib. Napoli, 13 dicembre 1989, che ha escluso possa surrogare la mancanza della dichiarazione scritta di recesso l’avvenuta riconsegna dei documenti di lavoro e l’esibizione di una lettera a firma del lavoratore, dalla quale si evinceva la conoscenza del licenziamento. In senso contrario, Cass. 17 giugno 1995, n. 6900, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 623, con nota di Bollani,”Forma scritta e licenziamento”, che ha ritenuto che la forma scritta necessaria per la validità del licenziamento può essere ravvisata nella consegna del prospetto di liquidazione delle spettanze di fine rapporto, in quanto il licenziamento può essere comunicato anche in forma indiretta, purché chiara. In particolare nella fattispecie presa in esame, cessata l’attività per causa di forza maggiore (stato di guerra), il datore di lavoro aveva liquidato le spettanze di fine rapporto, consegnando al dipendente il modello 102, accettato e pagato, con contestuale cessazione di fatto del rapporto).
Con la decisione in commento la Suprema Corte stempera la rigidità normativa del requisito formale della forma scritta diretta al lavoratore confermando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il requisito della forma scritta è rispettato nel caso in cui la comunicazione del licenziamento sia inviata all’Uplmo e successivamente in copia conforme al lavoratore (In maniera conforme: Cass. 26 agosto 2002, n. 12559; Cass. 14 novembre 1997, n. 11310, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 332, con nota di Marino, “La comunicazione scritta del licenziamento nell’interpretazione della Corte di Cassazione”, secondo cui è integrato il requisito della forma scritta, che condiziona la validità del licenziamento nel caso in cui il datore di lavoro invii al lavoratore copia della comunicazione del licenziamento inoltrata all’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione in quanto sussistono in tal caso i tre requisiti della comunicazione prevista dall’art. 2 legge n. 604 del 1966, cioè la volontà di porre termine al rapporto, la comunicazione al lavoratore di detta volontà e la forma scritta).
Occorre rilevare che la giurisprudenza ha ritenuto integrato il requisito della forma scritta anche in altre circostanze: a) nella ricezione del preavviso di licenziamento per una certa data, che contiene la comunicazione di una decisione di recesso già presa, ma differita nell’esecuzione (Cass. 24 agosto 1991, n. 9116, in Mass. Giur. lav., 1992, p. 90); b) nella memoria di costituzione in giudizio, notificata al lavoratore e sottoscritta anche dal datore di lavoro, contenente la manifesta e formale volontà di intimare un ulteriore licenziamento (App. Aquila, 4 aprile 2002, in G.L. Lazio, 2001, p. 138); c) nella comunicazione datoriale di avvenuta cessione del contratto attuata senza il consenso del lavoratore, indispensabile ai sensi dell’art. 1406 cod. civ. (Pret. Milano, 24 luglio 1995, in D&L, 1996, 146, secondo cui la comunicazione al lavoratore della cessione del contratto di lavoro senza che questi abbia prestato il suo consenso è qualificabile come atto di recesso: si tratta di un atto equipollente ad un vero e proprio licenziamento, che libera il lavoratore dalla prestazione lavorativa in favore del datore di lavoro ed il datore di lavoro dalla controprestazione retributiva in base alla manifestazione di volontà di una sola delle parti, e cioè del datore stesso).