lavoroprevidenza

lunedì 3 luglio 2006

BIOLOGIA COMPORTAMENTALE NELL’AMBIENTE LAVORATIVO

del Prof. Sergio Sabetta - Componente Direzione Scientifica LavoroPrevidenza.com -

Biologia comportamentale nell’ambiente lavorativo



(Prof. Sergio Sabetta)




L’analisi di due fenomeni particolarmente importante per il diritto nell’ambiente di lavoro, quali la cooperazione ed il conflitto possono essere esaminati attraverso i principi della biologia comportamentale.


Nell’interazione tra gene e ambiente vi è un fluire di specifici stimoli ambientali verso il cervello con conseguente plasmarsi delle strutture neuronali.


Vi è un rapporto stretto tra relazione naturale e ambiente prevalente, l’affinamento non solo delle caratteristiche fisiche ereditarie, ma anche comportamentali determinano l’adattamento continuo tra l’uomo e il suo ambiente con competenti “pressioni selettive”. Il comportamento risulta, pertanto in parte caratteristica di un precedente “ambiente d’adattamento evoluzionistico” relativo a situazioni ambientali remote.


Interviene innanzitutto la selezione familiare che spiega la predisposizione ereditaria alla collaborazione fra elementi imparentati. L’idea di fondo della biologia comportamentale è che il successo riproduttivo può essere migliorato con comportamenti che aiutino non solo i figli ma i parenti stretti, in quanto portatori di geni derivanti dalla discendenza comune.


Alla selezione famigliare si sovrappone l’altruismo reciproco in cui si instaura una cooperazione tra persone non geneticamente imparentate. Le parti iniziano con scambi cooperativi e seguendo la strategia di reciprocità della teoria dei giochi, agiscono con gli altri come questi hanno agito nei loro confronti. Se il comportamento cooperativo risulta premiante ai fini di un successo riproduttivo rispetto al permanente egoismo, condizione essenziale ne è il rapporto tra l’inganno e la sua scoperta.


Le osservazioni della biologia comportamentale hanno trovato riscontro anche in una nuova branca di studi economici, “l’economia comportamentale”; dagli studi del comportamento animale è emerso che la reciprocità, la divisione dei profitti e la cooperazione si sono evoluti anche in altre specie.


Come nelle società umane, compresi gli ambienti di lavoro, vi è una miscela di cooperazione e competizione che si integra nella tendenza a dividere il mondo tra “amici” e “non amici”.


Il meccanismo di reciprocità porta a dividere i rapporti nel gruppo in tre tipologie: simmetrico per gli amici, in cui manca il conto quotidiano del dare – avere, attitudinale per gli estranei, in cui vi è uno scambio di favori immediati, e calcolato per le relazioni professionali, in cui vi è la valutazione se restituire e a chi la cortesia. Questo porta a conservare maggiormente la memoria per i favori scambiati con i colleghi e gli estranei, piuttosto che con i migliori amici e famigliari.


Nello spirito di cooperazione necessita controllare gli scambi al fine di scoraggiare possibili sfruttamenti, ma un controllo continuo dei flussi di vantaggi e favori è piuttosto difficile, in qualsiasi ambiente, ancor più in un ambiente lavorativo. Ecco intervenire le relazioni amicali con la possibilità di allentare le regole, concentrando i registri mentali sulle relazioni esterne al clan.


Gli economisti comportamentali hanno osservato che vi è una condivisione dei profitti ed un allungamento dei tempi di valutazione con coloro che hanno aiutato, a cui si contrappongono forti reazioni emotive per le aspettative violate.


Coloro che barano vengono semplicemente rimossi dal gruppo al fine di evitare influenze negative sulle collaborazioni future, con il pericolo di un conseguente crollo del tasso di successo del gruppo.


Emerge chiaramente il rapporto tra raziocinio ed emozioni, queste sono state definite come stati del sistema nervoso di carattere primordiale che esistono per indirizzare il comportamento in modo adattivo all’ambiente, senza per questo escludere l’intervento del pensiero razionale.


Se noi consideriamo l’essere umano come geneticamente unico fornito di propri interessi egoistici non coincidenti con quelli di altri individui, ma allo stesso tempo necessario della collaborazione degli altri per la propria sopravvivenza e quindi fortemente sociale, si può concludere che vi è la necessità tra l’altro, per una efficace interazione con gli altri, della protezione del proprio status congiuntamente alla propria reputazione. Questa circostanza fa si che considerazioni puramente economiche di massimizzazione dell’utile possano essere, in alcune circostanze, superate con la conseguente violazione del principio di razionalità economica.


Tuttavia se si considera l’aspetto emozionale in termini evoluzionistici, come sopra descritto, in rapporto alla necessità del rispetto sociale quale elemento di una adeguata possibilità di successo riproduttivo, emerge chiaramente la necessità del rispetto dell’equità, con la conseguente spinta primordiale alla punizione dei “furbi”, ossia di coloro che sfruttano.


Si innesta il problema della ritorsione, che in termini legali si trasforma in cause intentate con costi superiori al prevedibile utile che se ne potrà ricavare. Si rinuncia ad un beneficio per imporre un costo, per punire colui o coloro che hanno imbrogliato, salvando in tal modo la propria reputazione.


Ma gli stessi processi evoluzionistici possono spingere a comportamenti opportunistici iniqui, ecco intervenire la regolamentazione e ancor più la necessità di una sua corretta e puntuale applicazione per evitare le tensioni derivanti in qualsiasi struttura sociale, compresa quella lavorativa.


Certo che il senso di equità in termini quantitativi non è che la sintesi tra eredità evoluzionistica e norme culturali, infatti fondamentale è l’esperienza maturata nei rapporti esterni al nucleo parentale sì che tanto maggiore è l’esperienza maturata, tanto maggiore sono i termini dello scambio in offerte e soglie di rifiuto.


Da quanto finora esposto si evidenziano con forza le radici per equilibrate politiche del personale, in cui non vi siano squilibri tra le varie componenti, senza creare aspettative eccessive ma all’opposto comprimere legittimamente desideri di miglioramento, evitando al contempo clan che acquisendo preminenza all’interno del contesto organizzativo portino a comprimere e sottrarre risorse ad una parte dei membri della struttura sociale, portando a notevoli tensioni interne con ritorsioni distruttive.



BIBLIOGRAFIA



· Morris B. Hoffman e Timothy H. Goldsmith, The Biological Roots of Punishment, 1 Ohio St. J. Crim. L. 627, 2004;


· Franz B. M. de Wall, L’economia delle scimmie, in Le Scienze. 67, 6/2005;


· D. Jones e T. H. Goldsmith, Diritto e biologia comportamentale, in i-lex, 4, 2006, orig. Law and Behavioral Biology, 105 Colum. L. Rev., 2005, pp. 405-502.



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