Il transessuale non vive sulla linea di confine trai sessi: è uomo o donna (in ragione del sesso scelto) e come tale ha diritto ad essere trattato. In particolare, l’età pensionabile, distinta per genere, deve tener conto del sesso del lavoratore nel momento in cui questi presenta la domanda di anzianità e ignorare, dunque, quello da questi posseduto al momento della nascita se, successivamente, sia stato mutato: una normativa che opti per la seconda opzione viola il diritto dell’individuo a non essere discriminato in ragione del proprio sesso, situazione giuridica soggettiva che costituisce uno dei principi fondamentali della persona umana.
IL CASUS DECISUS: quando il “pensionato” è una donna
Nei termini richiamati
Risulta, pertanto, che l’articolo 4, n. 1, della direttiva 79/7 osta ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona che, in conformità alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, sia passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto l’età di 65 anni, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all’età di 60 anni se fosse stata considerata come donna in base al diritto nazionale
DIRITTO ALL’IDENTITA’ SESSUALE: è il soma a doversi adeguare alla Psiche.
L’intervento della Corte si colloca nel solco di una giurisprudenza comunitaria consolidata al seguito della quale il transessuale ha diritto ad essere trattato secondo il sesso scelto ad ogni effetto e conseguenza di legge: è illecito, dunque, “rievocare” nella vita di questi, nell’ambito di taluni istituti, il sesso di origine su cui deve scendere la coltre dell’oblio (la legislazione nel nostro stato è quella di cui alla legge n. 164 del 1982).
In tal senso,
Più efficacemente, il giudice europeo ha precisato che, in considerazione dello scopo della direttiva del Consiglio n. 76/207/Ce del 9 febbraio 1976, relativa all attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, l art. 5, n. 1 di tale direttiva osta al licenziamento di un transessuale per motivi connessi al suo mutamento di sesso (Corte giustizia comunità Europee, 30/04/1996, n.13 in Dir. Scambi Internaz., 1996, 346). Infatti, poichè il diritto di non essere discriminato a causa del proprio sesso costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana, la sfera d applicazione della direttiva non può essere ridotta alle sole discriminazioni dovute all appartenenza all uno o all altro sesso, ma si estende alle discriminazioni determinate dal cambiamento di sesso dell interessato (si veda anche la giurisprudenza della CEDU, Corte europea diritti dell uomo Corte, 17/10/1986 in Riv. Dir. Internaz., 1987, 735).
La parola chiave che guida le diverse statuizioni della Corte è diritto all’identità sessuale, come diritto assoluto della personalità incomprimibile, e riconducibile all’alveo dell’art. 2 della Costituzione: se il sesso biologico di nascita non corrisponde a quello psicologico della persona, questa ha diritto alla rettificazione del proprio stato onde evitare una condizione di prigionia latente defatigante ed idonea a soffocare il libero sviluppo dell’individuo.
Come osservato in giurisprudenza, il transessualismo gino-androide rappresenta una vera e propria condizione esistenziale, legata al mancato intimo riconoscimento del proprio sesso biologico e al profondo bisogno interiore di vivere in conformità e secondo i ruoli del sesso opposto. Se, quindi, una persona è l unione di soma e psiche, è indubbio che è l aspetto psicologico ed emotivo a dominare la connotazione sessuale, affettiva e sociale di un individuo e che in caso di insuperabile dissonanza tra i due elementi, è il soma a doversi adeguare alla psiche, nella misura necessaria e sufficiente ad assicurare alla persona il conseguimento della propria armoniosa identità (Trib. Monza, 08/11/2005).
(Nota di Giuseppe Buffone)
Corte di giustizia europea
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
27 aprile 2006
«Parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale – Direttiva 79/7/CEE – Rifiuto di concedere una pensione di vecchiaia all età di 60 anni ad una transessuale che si è sottoposta ad un intervento chirurgico di conversione dal sesso maschile al sesso femminile»
Nel procedimento C‑423/04,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell art. 234 CE, dal Social Security Commissioner (Regno Unito), con decisione 14 settembre 2004, pervenuta in cancelleria il 4 ottobre 2004, nella causa tra
Sarah Margaret Richards
e
Secretary of State for Work and Pensions,
composta dal sig. P. Jann, presidente di Sezione, dal sig. K. Schiemann, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues (relatore) e E. Juhász, giudici,
avvocato generale: sig. F. G. Jacobs
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 20 ottobre 2005,
viste le osservazioni scritte presentate:
– per la sig.ra Richards, dalla sig.ra J. Sawyer e dal sig. T. Eicke, barristers;
– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agente, assistita dal sig. T. Ward, barrister;
– per
sentite le conclusioni dell avvocato generale, presentate all udienza del 15 dicembre 2005,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull interpretazione degli artt. 4 e 7 della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24).
2 Tale domanda è stata presentata nell ambito di una controversia tra la sig.ra Richards, una persona che si è sottoposta ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso, e il Secretary of State for Work and Pensions (segretario di Stato per il lavoro e per le pensioni; in prosieguo: il «Secretary of State») relativa al rifiuto di quest ultimo di concederle una pensione di vecchiaia a partire dal compimento del suo sessantesimo anno di età.
Il contesto normativo
La normativa comunitaria
3 Ai sensi dell art. 4, n. 1, della direttiva 79/7:
«Il principio della parità di trattamento implica l assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
– il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi,
– l obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,
– il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni».
4 L’art. 7, n. 1, della stessa direttiva prevede che quest ultima non pregiudichi la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione:
«a) la fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni;
(…)».
La normativa nazionale
5 L art. 29, nn. 1 e 3, della legge del 1953 sulla registrazione delle nascite e dei decessi (Birth and Deaths Registration Act 1953) vieta ogni modifica al registro degli atti di nascita, salvo nel caso di errore di scrittura o di errore materiale
6 L’art. 44 della legge del 1992 relativa ai contributi e alle prestazioni di sicurezza sociale (Social Security Contributions and Benefits Act 1992) prevede che una persona possa beneficiare di una pensione di vecchiaia di categoria A (pensione di vecchiaia «normale») quando essa raggiunga l età pensionabile e soddisfi diverse condizioni in materia di contributi.
7 Secondo l allegato 4, parte I, art. 1, della legge del 1995 relativa alle pensioni di vecchiaia (Pensions Act 1995), un uomo raggiunge l età della pensione a 65 anni e una donna nata prima del 6 aprile
8 Il 1° luglio 2004 è stata adottata la legge del 2004 sul riconoscimento del genere (Gender Recognition Act 2004; in prosieguo: la «legge del 2004»), entrata in vigore il 4 aprile 2005.
9 Detta legge consente alle persone che abbiano già mutato sesso o che prevedano di sottoporsi ad un apposito intervento chirurgico di chiedere il rilascio di un certificato di riconoscimento del genere («gender recognition certificate»), in base al quale può essere ottenuto un riconoscimento quasi completo del loro mutamento di sesso.
10 Ai sensi dell art. 2, n. 1, della legge del 2004, il certificato di riconoscimento del genere deve essere rilasciato qualora il richiedente soddisfi in particolare le seguenti condizioni:
«a) è o è stato affetto da disforia sessuale,
b) alla data della richiesta ha vissuto nel sesso acquisito per un periodo di due anni,
(…)».
11 L’art. 9, n. 1, della legge del 2004 dispone:
«Quando ad una persona è rilasciato un certificato completo di riconoscimento del genere, il sesso di detta persona diviene ad ogni effetto il sesso acquisito (cosicché, in caso di nuova identità sessuale maschile, la persona è considerata di sesso maschile e, in caso di nuova identità sessuale femminile, essa è considerata di sesso femminile».
12 In base all art. 9, n. 2, della legge del 2004, il certificato di riconoscimento del genere non produce effetti sugli atti compiuti o sui fatti occorsi precedentemente al suo rilascio.
13 Riguardo alle prestazioni di vecchiaia, l allegato 5, parte II, art. 7, n. 3, della legge del 2004 prevede:
«(…) se (immediatamente prima che il certificato sia rilasciato) la persona
a) è un uomo che ha raggiunto l età alla quale una donna raggiunge l età pensionabile, ma
b) non ha raggiunto l età di 65 anni,
la persona in questione deve essere considerata (…) come se avesse raggiunto l età pensionabile quando detto certificato è stato rilasciato».
La causa principale e le questioni pregiudiziali
14 La sig.ra Richards, ricorrente nella causa principale, è nata il 28 febbraio 1942 e nel suo atto di nascita è stata registrata come persona di sesso maschile. Essendole stata diagnosticata una disforia sessuale, essa si è sottoposta il 3 maggio 2001 ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso.
15 Il 14 febbraio 2002 essa ha presentato domanda al Secretary of State per beneficiare di una pensione di vecchiaia a partire dal 28 febbraio 2002, data in cui essa compiva 60 anni, età alla quale, ai sensi del diritto nazionale, una donna nata prima del 6 aprile 1950 può ottenere una pensione di vecchiaia.
16 Con decisione 12 marzo 2002, la detta domanda è stata respinta in quanto essa «[era] stata presentata più di quattro mesi prima che il richiedente compisse i 65 anni», vale a dire l età pensionabile prevista per gli uomini nel Regno Unito.
17 Poiché il ricorso proposto dalla signora Richards dinanzi al Social Security Appeal Tribunal (Commissione di secondo grado per la legislazione sociale) è stato respinto, quest ultima ha adito il Social Security Commissioner, rilevando che, a seguito della sentenza della Corte 7 gennaio 2004, causa C-117/01, K. B. (Racc. pag. I‑541), il rifiuto di corrisponderle una pensione di vecchiaia a partire dall età di 60 anni costituiva una violazione dell art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali, nonché una discriminazione contraria all art. 4 della direttiva 79/7.
18 Dinanzi al giudice del rinvio, il Secretary of State ha sostenuto che la domanda della ricorrente nella causa principale non rientrasse nell ambito di applicazione della detta direttiva. Infatti, secondo lo stesso, il diritto comunitario prevede, riguardo alle prestazioni di vecchiaia, soltanto misure di armonizzazione, senza pertanto attribuire il diritto di ottenere siffatte prestazioni. Inoltre, la sig.ra Richards non sarebbe stata discriminata nei confronti delle persone che costituiscono l adeguato elemento di comparazione, vale a dire gli uomini che non si sono sottoposti ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso.
19 Al fne di risolvere la controversia, il Social Security Commissioner ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) se la direttiva 79/7 osti al rifiuto di una pensione di vecchiaia, prima del raggiungimento dei 65 anni di età, ad una persona transessuale passata dal sesso maschile a quello femminile, quando invece essa avrebbe avuto diritto a detta pensione all’età di 60 anni se fosse stata considerata una donna in base al diritto nazionale;
2) in caso affermativo, a partire da quale data debba avere effetto la pronuncia della Corte sulla prima questione.»
Sulla prima questione
20 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 osti ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto i 65 anni di età, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all età di 60 anni se fosse stata considerata una donna in base al diritto nazionale.
21 In via preliminare, si deve rilevare che spetta agli Stati membri determinare le condizioni del riconoscimento giuridico del mutamento di sesso di una persona (v., in tal senso, sentenza K. B., cit., punto 35).
22 Per rispondere alla questione, si deve sottolineare anzitutto che la direttiva 79/7 costituisce l espressione, nell ambito della sicurezza sociale, del principio di parità di trattamento tra uomini e donne, che è uno dei principi fondamentali del diritto comunitario.
23 Inoltre, in conformità ad una giurisprudenza costante della Corte, il diritto di non essere discriminata in ragione del proprio sesso costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana, di cui
24 Di conseguenza, la sfera d applicazione della direttiva non può essere ridotta soltanto alle discriminazioni dovute all appartenenza all uno o all altro sesso. Tenuto conto del suo scopo e della natura dei diritti che mira a proteggere, la direttiva può applicarsi anche alle discriminazioni che hanno origine nel mutamento di sesso dell interessata (v., a proposito della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), sentenza P./S., cit., punto 20).
25 Il governo del Regno Unito sostiene che i fatti all origine della controversia di cui alla causa principale sono conseguenza della scelta operata dal legislatore nazionale di stabilire una diversa età pensionabile per gli uomini e per le donne. Poiché una siffatta facoltà è espressamente accordata agli Stati membri ai sensi dell art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, questi ultimi sarebbero autorizzati a derogare al principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di pensioni di vecchiaia. Il fatto che, come nella causa principale, la distinzione del regime pensionistico in funzione del sesso pregiudichi i diritti dei transessuali sarebbe priva di importanza..
26 Tale argomento non può essere accolto.
27 La sig.ra Richards sostiene che le sia stato impedito di godere di una pensione di vecchiaia dal momento in cui essa avesse raggiunto l età di 60 anni, vale a dire dal momento in cui le donne nate prima del 6 aprile 1950 possono godere di detta pensione nel Regno Unito.
28 La disparità di trattamento controversa nella causa principale è dovuta all impossibilità per la sig.ra Richards di vedersi riconoscere, ai fini dell applicazione della legge del 1995 relativa alle pensioni di vecchiaia, il nuovo sesso da essa acquisito a seguito di un intervento chirurgico.
29 Contrariamente alle donne il cui genere non risulta da un intervento chirurgico di mutamento di sesso, le quali possono beneficiare di una pensione di vecchiaia all età di 60 anni, la sig.ra Richards non può soddisfare una delle condizioni di accesso alla detta pensione, nella fattispecie quella relativa all età pensionabile.
30 Poiché consegue ad una conversione sessuale, la disparità di trattamento che ha colpito la sig.ra Richards dev essere considerata una discriminazione vietata dall art. 4, n. 1, della direttiva 97/7.
31 Infatti
32 Il governo del Regno Unito rileva che nessun diritto attribuito dal diritto comunitario è stato violato attraverso la decisione 12 marzo 2002 di diniego della pensione, poiché il diritto a beneficiare di una pensione di vecchiaia deriva soltanto dal diritto nazionale.
33 Al riguardo è sufficiente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il diritto comunitario non menoma la competenza degli Stati membri ad organizzare i loro sistemi previdenziali, e che, in mancanza di un armonizzazione a livello comunitario, spetta alla normativa di ciascuno Stato membro determinare, da un lato, le condizioni del diritto o dell obbligo di iscriversi a un regime di previdenza sociale e, dall altro, le condizioni cui è subordinato il diritto a prestazioni (sentenze 12 luglio 2001, causa C‑157/99, Smits e Peerbooms, Racc. pag. I‑5473, punti 44-46, e 4 dicembre 2003, causa C‑92/02, Kristiansen, Racc. pag. I‑14597, punto 31).
34 Peraltro, le discriminazioni contrarie all art. 4, n. 1, della direttiva 97/7 ricadono nell ambito della deroga prevista dall art. 7, n. 1, lett. a), di questa stessa direttiva soltanto a condizione di essere necessarie per raggiungere gli obiettivi che la direttiva intende perseguire, lasciando agli Stati membri la facoltà di mantenere un età pensionabile diversa per gli uomini e per le donne (sentenza 7 luglio 1992, causa C‑9/91, Equal Opportunities Commission, Racc. pag. I‑4297, punto 13).
35 Benché i ‘considerando’ della direttiva non precisino la ragion d essere delle deroghe che essa prevede, dalla natura delle deroghe che figurano all art. 7, n. 1, della direttiva si può dedurre che il legislatore comunitario ha inteso autorizzare gli Stati membri a mantenere temporaneamente, in materia di pensioni di vecchiaia, i benefici riconosciuti alle donne, al fine di consentire loro di procedere gradualmente ad una modifica dei sistemi pensionistici su tale punto senza perturbare il complesso equilibrio finanziario di questi sistemi, di cui non poteva disconoscere l importanza. Tra questi benefici figura in particolare la possibilità, per i lavoratori di sesso femminile, di beneficiare del diritto alla pensione prima dei lavoratori di sesso maschile, come prevede l art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva (sentenza Equal Opportunities Commission, cit., punto 15).
36 Secondo una giurisprudenza costante, la deroga al divieto delle discriminazioni fondate sul sesso, prevista nell art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, dev essere interpretata in modo restrittivo (v. sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 36, e causa 262/84, Beets-Proper, Racc. pag. 773, punto 38, e 30 marzo 1993, causa C‑328/91, Thomas e a., Racc. pag. I‑1247, punto 8).
37 Pertanto tale disposizione dev essere interpretata nel senso che essa si limita a stabilire una diversa età pensionabile per gli uomini e per le donne. La causa principale non riguarda tuttavia una siffatta misura.
38 Da quanto precede risulta che l’art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 osta ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona che, in conformità alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, sia passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto l età di 65 anni, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all età di 60 anni se fosse stata considerata come donna in base al diritto nazionale.
Sulla seconda questione
39 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, nel caso in cui
40 Solo in via eccezionale, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all ordinamento giuridico comunitario,
41 Inoltre, secondo costante giurisprudenza, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione dell efficacia nel tempo di tale sentenza (sentenze 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I‑6193, cit., punto 52, e 15 marzo 2005, causa C‑209/03, Bidar, Racc. pag. I‑2119, punto 68).
42
43 Nel caso di specie, l entrata in vigore, il 4 aprile 2005, della legge del
44 Di conseguenza, si deve rispondere alla seconda questione che non è necessario limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.
Sulle spese
45 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi,
1) L’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, osta ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona che, in conformità alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, sia passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto l età di 65 anni, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all età di 60 anni se fosse stata considerata una donna in base al diritto nazionale.
2) Non è necessario limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.