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IMPRESA FAMILIARE? APERTA ANCHE AL CONVIVENTE MORE UXORIO
Che sia di fatto (2 cost) o di diritto (29 cost), la famiglia è sempre famiglia.
di Giuseppe Buffone
Cassazione, sez. lavoro, Sentenza n. 5632 del 15 marzo 2006
(Sezione Lavoro, Presidente E. Ravagnani, Relatore G. Amoroso)
La pronuncia
Cassazione sez. lav., sentenza 15 marzo 2006 n. 5632
La massima (ufficiale, fonte: CED)
L attività lavorativa e di assistenza svolta all’interno di un contesto familiare in favore del convivente di fatto trova abitualmente la sua causa nei vincoli di solidarietà ed affettività esistenti, che di regola sono alternativi ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, qual è il rapporto di lavoro subordinato, mentre talvolta è possibile inquadrare il rapporto stesso nell ipotesi dell’impresa familiare, applicabile anche alla famiglia di fatto in quanto essa costituisce una formazione sociale atipica a rilevanza costituzionale ex art. 2.
NOTA
La famiglia di fatto rappresenta una formazione sociale atipica a rilevanza costituzionale.
Ne discende la meritevolezza di tutela, anche se, in vero, è proprio nel momento patologico della relazione di fatto che emergono le maggiori difficoltà interpretative, soprattutto allorquando i conviventi condividano anche le reciproche attività lavorative.
Le prestazioni lavorative poste in essere dal convivente more uxorio, nell’ambito della convivenza, non possono essere ricondotte, tout court, ex ante, ad uno schema omogeneo assoluto: esse, infatti, possono ben fare capo ad un rapporto di lavoro subordinato anche se, generalmente, non hanno carattere sinallagmatico e sono rese in assenza di corrispettivo (cd. prestazioni gratuite).
Al di fuori degli schemi negoziali tipici, non può escludersi neanche che la convivenza confluisca nell’ambito di una partecipazione all’impresa familiare, giuridicamente rilevante, dato, per l’appunto, il carattere residuale dell’istituto.
Se è vero, infatti, che l attività lavorativa e di assistenza svolta all’interno di un contesto familiare in favore del convivente di fatto trova abitualmente la sua causa nei vincoli di solidarietà ed affettività esistenti (che di regola sono alternativi ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, qual è il rapporto di lavoro subordinato), è anche vero che talvolta è possibile inquadrare il rapporto stesso nell ipotesi dell’impresa familiare, applicabile anche alla famiglia di fatto in quanto essa costituisce una formazione sociale atipica a rilevanza costituzionale ex art. 2, (CED, Cassazione, 2006).
Discorso a parte meriterebbe la possibilità, per il convivente estromesso dalla convivenza, di ripetere quanto spontaneamente versato in pendenza della relazione, soprattutto se essa si innesti in una attività lavorativa: la risposta dell’art. 230bis c.c. sembra una valida alternativa all’obligatio naturale (2034 c.c.) e, soprattutto, valorizza, secundum constitutionem, il vincolo familiare di fatto tutelabile alla luce dell’art. 2 cost.