ELEZIONI POLITICHE 2006
PROGRAMMI A CONFRONTO
SUL TEMA
POLITICHE PER LO SVILUPPO DEL SUD
Che cosa hanno fatto
In sintonia con la più generale enfasi posta sulle grandi opere, il centro-destra ha puntato, anche per
il Sud, su rilevanti progetti di infrastrutturazione individuando attraverso la Legge Obiettivo e il
Programma per l’Accelerazione degli Investimenti le opere che più si sarebbero prestate ad un
rapido impegno, e successiva spesa, delle risorse. Parallelamente, attraverso delibere del Cipe, sono
stati posti in essere meccanismi premiali/sanzionatori in relazione alla capacità di spesa mostrata
dalle Regioni. Il più delle volte si è però rimasti al livello delle intenzioni: le grandi opere, tra cui
spicca il più volte annunciato Ponte sullo Stretto, non sono state realizzate.
La gestione della Legge Obiettivo ma anche degli strumenti messi in campo dai precedenti governi,
in primis quelli della programmazione negoziata, è stata contraddistinta da un ritorno al centralismo
(forte ruolo del Cipe nell’istruttoria dei progetti, maggiori risorse a iniziative gestite da
Amministrazioni Centrali rispetto a quelli direttamente gestiti dalle Regioni) e da una progressiva
riduzione del ruolo effettivo delle Regioni (costrette a co-decidere anche su materie di propria
competenza).
Tra le 36 grandi riforme che la Cdl ascrive alla suo periodo di governo vi sono:
1) la creazione del “Fondo unico per il Sud”, per rendere identificabili le risorse aggiuntive per
le aree depresse e più flessibile il loro utilizzo;
2) la riforma degli incentivi (trasformazione dei contributi a fondo perduto in un sistema misto:
parte a fondo perduto, parte in conto interessi, parte con accesso al credito ordinario),
avviata ma lungi dall’essere completata e comunque peggiorativa ai fini dell’accesso al
credito da parte delle nuove imprese.
Le condizioni del Mezzogiorno sono peggiorate durante il periodo 2001-2006 (si vedano anche le
schede: “Povertà e politiche sociali”, “Occupazione femminile nel Mezzogiorno”, “La distribuzione
del reddito”). Secondo le stime della Svimez, nel 2004, per la prima volta dopo diversi anni,
l economia meridionale ha segnato un tasso di crescita inferiore a quello del Centro-nord (0,8%
contro 1,4%), Anche l occupazione manda segnali di forte difficoltà: per il secondo anno
consecutivo, il Mezzogiorno perde occupati (-23mila unità). Allo stesso tempo, un gran numero di
disoccupati transitano “verso una condizione di inattività sul mercato del lavoro”, segno di uno
scoraggiamento che allontana anche dalla ricerca di un qualsiasi lavoro. Significativo anche il dato
relativo alla disponibilità di acqua: il numero di famiglie meridionali che denunciano irregolarità
nell’erogazione di acqua sale dal 19,8% del 1996 (media nazionale 12%) al 28,5% nel 2003 (media
nazionale 15,8%). Nulla è stato fatto per le infrastrutture, come i dati di Rete Ferroviaria Italiana
dimostrano: nel 2005, il Mezzogiorno disponeva del 35% della rete ferroviaria italiana, una
percentuale che scendeva al 22% considerando le linee a doppio binario, con soli 17 Km in
Sardegna o 149 in Sicilia.
Le difficoltà di sviluppo del Mezzogiorno sono anche un segnale della presenza dell’illegalità
diffusa e della scarsa tutela dell’ambiente. Basti pensare che le imprese del Sud spendono 4,3
miliardi di euro l’anno per la difesa privata (polizia privata, videocamere, sistemi di sicurezza). A
questi occorre aggiungere i 6 miliardi di euro relativi alle estorsioni e ai racket (Confersercenti, 8°
rapporto SOS Impresa, 2005). Inoltre, la malavita prospera nel ciclo illegale del cemento (con
pesanti infiltrazioni nel settore degli appalti e dei lavori pubblici) e dei rifiuti, soprattutto nello
smaltimento di rifiuti pericolosi.
Che cosa promettono
Il Programma presentato dalla CdL non propone strategie per lo sviluppo del Mezzogiorno. Sotto il
pomposo titolo “Piano decennale straordinario per il superamento della questione meridionale” vi
sono generici riferimenti al proseguimento delle azioni già avviate, cioè il Piano delle “grandi
opere”, oltre all’istituzione della Banca del Sud (progetto peraltro avversato da tutte le Regioni del
Mezzogiorno), all’individuazione di porti franchi e all’attuazione di un federalismo solidale con
misure di fiscalità di vantaggio.
Cosa non c’è nel programma:
non c’è alcun riferimento al ripristino della legalità, del controllo del territorio e del ruolo
dello Stato nei confronti dei cittadini e delle imprese;
non c’è alcun riferimento a politiche per la regolarizzazione dell’economia sommersa e del
lavoro nero;
non c’è alcun riferimento alla realizzazione di un ampio programma di bonifiche e di
ripristino dei siti inquinati e delle discariche abusive, molte delle quali sotto il controllo
delle ecomafie;
non c’è alcun riferimento alla tutela del territorio, alla lotta all’abusivismo, alla salvaguardia
dei beni culturali e alla promozione del turismo.
Che cosa propone l’Unione: la qualità dello sviluppo
È necessario saper ripensare la politica di sviluppo per il Mezzogiorno, cogliendo le opportunità
dell’avvio della programmazione 2007-2013, investendo in innovazione e ricerca scientifica,
scegliendo la strada della sostenibilità e della valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale.
E’ quanto propone l’Unione individuando nel capitale umano e nella ricerca scientifica i motori
della crescita ed indicando l’ambiente ed il territorio quali grandi potenzialità di sviluppo solo in
parte valorizzate.
Dal punto di vista della politica industriale, si prevedono politiche volte a favorire la crescita
dimensionale delle imprese meridionali, la loro riorganizzazione, l’adozione di nuove tecnologie e
l’internazionalizzazione. Si punta, inoltre, ad una semplificazione e focalizzazione del sistema degli
incentivi.
Per L’Unione, la politica per il Mezzogiorno deve muoversi in un quadro di certezza delle risorse.
In questo senso l’Unione propone di rifinanziare e riqualificare il FAS (Fondo Aree Sottoutilizzate)
come strumento unico di programmazione -resa decennale- delle risorse per le politiche nazionali di
coesione territoriale .
Il Mezzogiorno può diventare l’area dove maggiormente attuare la Strategia di Lisbona e di
Göteborg, rafforzando le reti locali e investendo nel capitale sociale, nella formazione e nella
valorizzazione dei beni collettivi.