ILLECITO SPIARE I DIPENDENTI CHE NAVIGANO IN INTERNET
Il datore di lavoro non può controllare i propri dipendenti che navigano in Internet. A stabilirlo è il Garante della privacy, che ha vietato ad una società l’uso dei dati relativi alla navigazione in Internet di un dipendente che si era connesso ad Internet.
È vietato controllare l’uso che i propri dipendenti fanno della rete. Lo ha stabilito il Garante della privacy, che ha impedito ad una società l’uso dei dati relativi alla navigazione in Internet di un dipendente che, senza autorizzazione, si era connesso alla rete servendosi di un computer aziendale.
Il datore di lavoro, dopo aver sottoposto a esame i dati del computer, aveva accusato il dipendente di aver consultato siti a contenuto religioso, politico e pornografico, fornendone l elenco dettagliato.
Nel dettaglio, la società, notificando al lavoratore la contestazione disciplinare per illecito utilizzo di beni aziendali, aveva allegato le pagine dei file temporanei e dei “cookies”, trovati sul computer da cui il dipendente era entrato in rete, navigazione avvenuta durante sessioni di lavoro avviate utilizzando la stessa password del dipendente.
Analizzando le pagine web visitate dal dipendente venivano fuori informazioni ritenute particolarmente “sensibili” riguardanti la persona del lavoratore, informazioni per la cui raccolta la società avrebbe comunque dovuto informare il dipendente.
Infatti, nonostante i dati personali fossero stati raccolti nel corso di controlli informatici diretti a provare la sussistenza di una condotta illecita da parte del lavoratore, la società avrebbe potuto utilizzare i “dati sensibili” (ossia quei dati relativi alle convinzioni politiche, religiose, sindacali o sessuali) senza la prestazione del consenso da parte dell’interessato solo se ciò fosse stato indispensabile in sede giudiziaria.
A tal proposito va ricordato come proprio il decreto legislativo 196 del 2003, definito “Codice della privacy”, preveda l’illiceità del trattamento dei dati relativi allo stato di salute e alla vita sessuale. Il trattamento dei dati in questione, peraltro, può essere effettuato senza consenso soltanto se sia necessario difendere in giudizio un diritto della personalità o un altro diritto fondamentale.
Per il garante, in definitiva (e contrariamente a quanto accaduto per la decisione relativa alla casella postale aziendale, ritenuta invece “di proprietà” del datore di lavoro), al fine di accertare l’uso indebito di un computer aziendale non è necessario indagare sui siti visitati dal dipendente, ma è sufficiente monitorare gli accessi ad Internet e i relativi tempi di connessione.
Secondo il commento di Mauro Paissan, componente del Garante e relatore del provvedimento “spiare l’uso dei computer e la navigazione in rete da parte dei lavoratori è inammissibile. In gioco ci sono la libertà e la segretezza delle comunicazioni e le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori. Occorre inoltre tener presente che il semplice rilevamento dei siti visitati può rivelare dati delicatissimi della persona: convinzioni religiose, opinioni politiche, appartenenza a partiti, sindacati o associazioni, stato di salute, indicazioni sulla vita sessuale”.