LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza n.4661 del 29/03/2001
I medici associati a quelli titolari di un numero di scelte superiore al massimale hanno diritto - in base agli accordi conclusi ai sensi dell art. 48 l. 23 dicembre 1978 n. 833 ed in corrispettivo della collaborazione prestata al medico associante in tutte le prestazioni da lui dovute - a ricevere dalla (unità sanitaria locale e, in seguito alla soppressione di questo ente, dalla) Regione un compenso autonomo, rapportato al numero di assistiti eccedente il tetto, la cui erogazione rinviene la propria giustificazione nella presenza di un numero di assistiti in esubero rispetto al massimale in carico al medico associante; ne consegue che, ove tale presupposto non sussista, nessun corrispettivo è dovuto al medico associato per la sua attività e il pagamento a lui direttamente effettuato, essendo privo di causa, è ripetibile secondo la disciplina comune dettata dall art. 2033 c.c., senza che possa trovare applicazione, versandosi nella specie in un rapporto di parasubordinazione, la regola di carattere eccezionale, enunciata dalla giurisprudenza amministrativa per il rapporto di pubblico impiego, di irripetibilità delle somme, destinate al soddisfacimento delle normali necessità di vita, corrisposte dalla p.a. ai propri dipendenti e da costoro percepite in buona fede.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P. M., elettivamente domiciliato in…., presso lo studio dell avvocato .,che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
REGIONE LAZIO, AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE……..;
- intimati –
avverso la sentenza n. 98/98 del Tribunale di……., depositata il 21/02/90 R.G.N. 707/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/01 dal Consigliere Dott. G. C.;
udito l Avvocato……….;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. …. che ha concluso per il rigetto del ricorso contro la REGIONE LAZIO e per l improcedibilità contro l AZIENDA SANITARIA LOCALE.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 29 settembre 1993, il dr. M. P. conveniva avanti al Pretore di …….la Regione Lazio e la USL ……esponendo che quale medico - chirurgo aveva stipulato con il dr. D. L. (medico convenzionato con la USL) dei contratti di associazione per l assistenza ai pazienti sopranumerari ai sensi del d.p.r. 13.8.1981 e che la Regione Lazio, all esito dell accertamento del numero degli assistiti a tutto 1° aprile 1992, gli aveva addebitato la somma di lire 15.313.914 risultante dal conguaglio tra il debito accertato a suo carico per il periodo di associazione e i crediti da lui maturati in successivi periodi come medico ex associato e convenzionato. Sulla base di tali fatti chiedeva: che gli enti convenuti fossero dichiarati privi di legittimazione attiva ad agire nei suoi confronti per il recupero delle somme indicato nel tabulato del 1992; che lui stesso fosse dichiarato carente di legittimazione passiva e che il conguaglio operato fosse dichiarato illegittimo; in subordine, che il diritto dei convenuti fosse dichiarato prescritto; in ulteriore subordine, che i convenuti fossero dichiarati unici responsabili della sua situazione debitoria, che le somme da lui percepite quale medico associato fossero dichiarate irrepetibili, che i convenuti fossero condannati a corrispondergli somme varie per le prestazioni svolte quale medico ex associato e convenzionato.
Si costituiva la sola Regione Lazio.
Il Pretore con sentenza del 30 maggio 1996 respingeva, tutte le richieste del P.
Costui proponeva appello nei confronti della Regione Lazio e dell Azienda USL ….. reiterando tali richieste. Resisteva la sola regione Lazio.
Il Tribunale di Viterbo, con sentenza in data 21 febbraio 1998, rigettava impugnazione.
Osservava in motivazione che l Accordo Collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale, recepito con d.p.r. 13 agosto 1981, consente ai medici convenzionati, titolari di un numero di scelte superiore al massimale consentito, di dar vita a contratti di associazione regolamentati dalle norme contenute nell allegato B allo stesso decreto e dalle norme di attuazione dettate con deliberazione della Giunta Regionale del Lazio 7.12.1984 n. 444. Tali contratti hanno natura privatistica e comportano che un diritto del medico associato al compenso per l attività professionale - e un obbligo della USL e della Regione di corrisponderlo - è configurabile soltanto in relazione alle prestazioni effettuate in favore di assistiti esorbitanti dal massimale consentito al medico associante e non anche per quelle effettuate agli assistiti rientranti nel massimale suddetto (retribuite a parte), Ove quindi risulti l inesistenza di assistiti sopranumerari, il pagamento di compensi eseguito, come di norma, dalla Regione direttamente al medico associato per gli assistiti che figurino tali è da considerare non dovuto e ripetibile ai sensi dell art. 2033 cod. civ. E poiché, nella specie, era rimasto accertato, attraverso i tabulati prodotti, che non esistevano assistiti esorbitanti il numero massimo attribuito al medico associante dr Leoni, la Regione aveva diritto ripetere quanto pagato al P. per conto della USL……, perché nulla la USL gli doveva.
In tale situazione, non poteva ritenersi che gli enti appellati fossero carenti di legittimazione attiva, che il conguaglio operato dalla Regione Lazio fosse illegittimo, o che la responsabilità della posizione debitoria accertata in capo al P. fosse da attribuire agli enti appellati. Ha, infine affermato il Tribunale che il diritto di ripetizione della Regione non era prescritto e che neppure poteva dichiarare la irripetibilità delle somme dalla stessa erogate, non avendo la domanda del P. alcun aggancio normativo.
Ricorre per la cassazione della sentenza M. P. con due motivi illustrati con "memoria".
La Regione Lazio e la Azienda USL.., cui è stata notificato il ricorso, non si sono costituite.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell art. 100 c.p.c. in relazione alla dichiarata legittimazione ad causam dell Azienda USL…. , con riferimento alla legge n.421/92, d.lgt. n. 502/92, legge n. 724/94 (art. 6) legge n. 549/95 (art. 2), e d.l n.186/96 (art. 2) per avere il Tribunale riconosciuto la legittimità in giudizio tanto alla regione Lazio quanto alla USL .., poi indicata come Azienda USL…… , erroneamente interpretando ed applicando le norme citate, che hanno individuato nella sola Regione il successore a titolo particolare nei debiti e nei crediti delle soppresse USL.
Il motivo, per come proposto, non può essere accolto.
Invero la sentenza impugnata, solo nella epigrafe indica la Azienda USL …. come appellata, mentre nella parte relativa allo svolgimento del processo (sent. pag. 3) fa esplicita menzione della "dichiarata contumacia dell appellata USL… " (così qualificando la USL … e non già l Azienda USL … come parte del giudizio di appello) e poi nella motivazione continua a fare riferimento alle posizioni di USL e Regione senza mai espressamente menzionare l Azienda USL. Né può considerarsi affermazione della legittimazione ad causam dell ente predetto l accenno fatto in motivazione alla "legittimazione attiva degli appellati" (sent. pag.
5). Se così fosse, il giudice a quo avrebbe dovuto affermare, semmai, la legittimazione passiva della ASL, essendo attore in giudizio e poi appellante il P., mentre il contesto argomentativo in cui l espressione è inserita lascia chiaramente intendere come il Tribunale abbia inteso riferirsi alla richiesta formulata nel ricorso introduttivo dal P., che pretendeva di far dichiarare le convenute USL Viterbo 3 e Regione Lazio "prive di legittimazione attiva ad agire nei sui confronti per il recupero delle somme indicate nel tabulato del 1992". Infine, neppure il dispositivo della sentenza impugnata fa menzione della ASL, anzi contiene l espressa conferma della sentenza emessa dal Pretore di……., incontestatamente reso tra il P. e le convenute USL … e Regione Lazio.
Per queste stesse ragioni il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile nei confronti dell Azienda ASL…….. Infatti il Tribunale non ha rigettato alcuna domanda della ASL nei confronti del P.; difetta quindi l interesse ad agire derivante dalla soccombenza.
Con il secondo, articolo, motivo e con deduzione di violazione degli artt. 1469, 1353 e 1355 cod. civ., dell art. 48 legge n. 833/78, del d.p.r. 13.8.1981, nella parte in cui recepisce l istituzione del contratto di associazione di cui all accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale, della delibera regionale 7.2.1994 n. 444 di attuazione di questo accordo, anche con riferimento agli art. 1362 e segg. cod. civ., degli artt. 2033, 2222, 2232, 2946, 2967 cod. civ., nonché di vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, illogicità della motivazione e travisamento dei fatti (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), il ricorrente sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale (secondo cui il contratto di convenzione ha natura pubblica e quello di associazione natura privata), entrambi i contratti hanno natura privata e che il contratto di associazione, alla stregua della disciplina contenuta nel d.p.t del 1991 e nelle norme regionali di attuazione, dà luogo a un rapporto di collaborazione professionale nel quale il compenso al medico associato è corrisposto per l attività da esso prestata, indipendentemente dalla esistenza di assistiti eccedenti il massimale, il cui numero è utilizzato esclusivamente come parametro per la determinazione del compenso stesso. In subordine, contesta che possono costituire idonea prova del credito della Regione Lazio i tabulati dalla stessa prodotti, trattandosi di atti che non lo riguardano direttamente (riferendosi agli assistiti del suo medico associante) e i cui dati non poteva contestare proprio perché non era titolare di questi assistiti. Prosegue affermando, in punto di prescrizione del diritto della Regione Lazio, che non esisteva in atti né la prova che fosse stata la Regione a materialmente corrispondere i compensi di cui trattasi (essendo all epoca l obbligo esclusivamente in carico alla USL), né la prova dell avvenuta interruzione della prescrizione. Da ultimo sostiene che doveva applicarsi, comunque, il principio della irripetibilità delle somme erogategli, posto che tale principio è stato ritenuto applicabile anche al medico convenzionato e che esso ricorrente, come ha accertato l impugnata sentenza, aveva comunque di fatto prestato la sua attività professionale.
Anche questo motivo è da rigettare.
Osserva la Corte che l istituto dell associazione tra medici ha ricevuto una disciplina particolare con gli accordi collettivi nazionali per la regolazione dei rapporti con i medici convenzionati di medicina generale, adottati ai sensi dell art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n.833, i quali prevedono due forme di associazioni; la prima, che viene costituita per attuare una medicina di gruppo, la seconda che viene instaurata, invece, per ottenere il rientro del medico associante nei limiti del massimale. In particolare, per quel che interessa la presente controversia, l accordo collettivo nazionale reso esecutivo con d.p.r. 13 agosto 1981, del quale non è contestata l applicabilità, stabiliva in 1500 il numero massimo di assistiti che ogni professionista convenzionato poteva avere (art. 7), prevedendo, altresì, nella norma transitoria n. 3, per i medici che avessero un numero di assistiti superiore al suddetto massimale, il rientro in tale limite o attraverso la ricusazione graduale dei pazienti ovvero attraverso l associazione volontaria di un altro medico, inserito negli elenchi della USL per la medicina generale.
L allegato B all accordo conteneva il regolamento generale dell associazione e rinviava per i dettagli alle norme di attuazione da emanarsi da parte delle Regioni (per il caso in esame, adottate con deliberazione della Giunta regionale del Lazio 7 febbraio 1984 n. 444).
Interpretando le disposizioni di cui al richiamato d.p.r. del 1981, questa Corte, in numerose sentenze (vedi Cass. Sez. Un. 28 dicembre 1990 n.12200, 23 agosto 1993 n. 8884, 13 aprile 1995 n. 4221, 13 maggio 2000 n.6162), ha affermato che il rapporto che interviene tra medico associante e medico associato non può qualificarsi come rapporto tra prestatore d opera professionale e sostituti ed ausiliari riconducibile alla figura della collaborazione di cui all art. 2232 cod. civ., ma è un rapporto atipico di associazione, con il quale l associato, in corrispettivo della cessione di un certo numero di assistiti, si impegna ad aiutare il medico associante in tutte le prestazioni da lui dovute, senza tuttavia partecipare alle spese per l esercizio professionale e neppure agli utili, in quanto, secondo le ricordate norme regolamentari, il compenso relativo al numero eccedente degli assistiti affidati all associato viene dalla USL corrisposto direttamente a costui, mentre all associante viene corrisposto solo il compenso relativo al numero massimo degli assistiti a lui consentito (vedi art. 2 n. 6 All. B all accordo suddetto).
Non vi è dubbio, quindi, che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l associazione tra medici volta a conseguire il rientro nei massimali, per come configurata dall accordo nazionale del 1981, determina la costituzione di un rapporto diretto tra associato e USL che non differisce in nulla da quello che lega l associante alla USL medesima, e cioé un rapporto di prestazione d opera professionale con i connotati della collaborazione continuativa e coordinata tipici dalla parasubordinazione, di cui all art. 409 n.3 c.p.c. Di qui la sussistenza della competenza del giudice del lavoro (del resto adito dal P.) e la legittimazione passiva dell ente pubblico onerato dei compensi nei confronti di domande come quella in concreto proposta.
Per altro verso, proprio per il fatto che la normativa regolamentare assegna ad ognuno dei partecipanti all associazione un compenso autonomo, calcolato in relazione al numero degli assistiti a ciascuno di essi affidato, l erogazione di tale compenso si giustifica solo se e in quanto vi siamo assistiti e limitatamente al numero di essi. Dal che deriva, nel caso del medico associato, che quando non risultino assistiti in esubero rispetto al massimale in carico al medico associato, nessun corrispettivo è allo stesso dovuto e il pagamento a lui direttamente effettuato per la sua attività di associato, per come correttamente affermato dal Tribunale, è da ritenere privo di causa.
Le deduzioni svolte nella "memoria" depositata ex art. 379 c.p.c., con le quali il ricorrente insiste nel sostenere la insussistenza del rapporto diretto tra medico associato e la USL, si risolvono nel dare della normativa statale e regionale regolatrice del contratto di associazione ai fini del rientro nei massimali una interpretazione diversa da quella costantemente data dalla giurisprudenza di questa Corte, prospettando inoltre una questione - quella secondo cui al contratto da lui in concreto concluso con il medico associante non sarebbe applicabile quella normativa generale - del tutto nuova rispetto a quelle proposte con il ricorso per cassazione e perciò inammissibile.
Non censurabile appare, inoltre, la motivazione della impugnata sentenza nella parte in cui ha considerato i tabulati della Regione Lazio prova adeguata della inesistenza di un numero di assistenza superiore a quello massimo attribuito al medico associate.
Si tratta della valutazione del contenuto di una prova documentale insindacabile in questa sede per non avere il ricorrente assolto all onere, su di lui gravante alla stregua del principio di autosufficiente del ricorso per cassazione (non essendo consentito alla Corte procedure direttamente all esame degli atti e dei documenti di causa quando sia denunciato, come nella specie, un vizio di motivazione), di indicare gli elementi, risultati dai tabulati anzidetti o da altro materiale istruttorio, che il giudice a quo avrebbe mancato di considerare nonostante la loro rilevanza ai fini di una diversa decisione.
Per non dire che, essendo attore in giudizio il P., secondo i principi del riparto dell onere della prova di cui all art. 2697 cod. civ., incombeva al ricorrente, quale asserito creditore della somma di lire 15.313.914, a suo dire illegittimamente detratta dalla Regione dai compensi a lui complessivamente dovuti per l attività svolta prima quale associato, poi quale ex associato e infine quale medico convenzionato, dare la prova della sussistenza del maggior credito.
Quanto poi alle censure rivolte alla sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto non prescritto il diritto della Regione Lazio, è sufficiente osservare che il Tribunale ha considerato dato non controverso il fatto che il pagamento al P. delle prestazioni per gli assistiti sopranumerari fosse stato effettuato dalla Regione per conto della USL …. e che nessun argomento è offerto dal ricorrente per dimostrare che l affermazione era contraddetta dalle risultanze di causa.
Del tutto generico è, del pari, la deduzione secondo cui mancherebbe la prova dell avvenuta interruzione della prescrizione, senza dire che la impugnazione sentenza non contiene il minimo accenno al fatto che la prescrizione decennale - dal Tribunale ritenuta applicabile - non si sarebbe compiuta per l interruzione dei relativo termine.
Infine, l affermazione del giudice a quo, secondo cui alle somme erogate dalla Regione Lazio al P. non era applicabile il principio della irreperibilità, appare conforme alle più recente decisioni di questa Corte, che il Collegio condivide, nelle quali si é affermato che al rapporto privatistico di parasubordinazione - e tantomeno, quindi, alle presentazioni di mero fatto - non possono estendersi i principi, di carattere eccezionale, stabiliti dalla giurisprudenza amministrativa per le somme corrisposte e non dovute dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti, dovendo invece applicarsi la regola generale di cui all art. 2033 cod. civ., secondo cui ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato (vedi Cass. 24 giugno 1995 n. 7181, 13 maggio 2000 n.6162).
In conclusione, mentre il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti della Azienda USL….. , il ricorso stesso deve essere rigettato confronti della regione Lazio.
Non deve provvedersi per le spese del giudizio di cassazione, data la mancata costituzione degli enti intimati.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Azienda USL….. ; rigetta il ricorso nei confronti della Regione Lazio. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2001.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 29 MAR. 2001.