LE PRESTAZIONI LAVORATIVE DI FATTO CON VIOLAZIONE DI LEGGE ED INVALIDITA’ NEGOZIALE DA REATO
GIUSEPPE BUFFONE
19.01.2005
1. La diagnosi di nullità del contratto e suoi effetti – 2. Le prestazioni lavorative di fatto in violazione di legge – 3. Illegalità ed Illiceità attraverso la lente dell’art. 2126 c.c. – 4. La controversa categoria della ’invalidità negoziale da reato – Note
1. Nell’ambito delle cd. irregolarità invalidanti, particolare importanza assume la più grave forma di patologia negoziale, disciplinata compiutamente, (ma non in via esclusiva), dagli artt. 1418 e segg. del codice di diritto comune.
La Nullità del contratto, infatti, rende la stipula improduttiva di effetti poiché essa risulta affetta da un vizio genetico insuscettibile di rimozione se non nei casi previsti dalle legge, (cd. sanatoria del negozio nullo, 1423 c.c.).
La diagnosi di nullità, peraltro, compete al Giudice anche motu proprio a prescindere da una exceptio (in senso stretto) di parte poiché la validità del negozio è oggetto di un accertamento incidentale, relativo ad una pregiudiziale in senso logico - giuridico, idoneo a divenire giudicato, (cfr. Cass. civ., sez. III, 22/03/2005, n. 6170, [1]).
La regula iuris della retroattività governa la disciplina della nullità ma, sul piano naturalistico, non si ha tecnicamente una caducazione della stipula con una pronuncia costitutiva bensì, di fatto, una semplice rilevazione della inidoneità ab origine del patto a produrre effetti, con una sentenza di mero accertamento. Il giudice non fa cessare gli effetti, prende atto che questi non si sono mai prodotti.
La regula iuris della retroattività, peraltro, è rinvenibile anche in altri istituti civilistici, come in tema di risoluzione, condizione, recesso unilaterale: ed in tutti gli esempi menzionati, per la verità, il legislatore ha previsto una esplicita eccezione alla regola con particolare riguardo ad i contratti ad esecuzione continuata e periodica, (1360,II; 1373, II; 1458 c.c.).
Tale stesso correttivo, ispirato a ragioni di equità sostanziale e logica giuridica, può essere rinvenuto anche con riferimento alla Nullità, nell’ambito della disciplina di settore afferente al matrimonio, la società o il lavoro: la retroattività, in tal senso, non travolge le prestazioni già eseguite ovvero i rapporti ormai esauriti.
Autorevole dottrina ha significativamente spiegato la Ratio degli elementi di specialità e differenziazione caratterizzanti il diritto del lavoro poiché “se tutti gli altri contratti riguardano l’avere delle parti, il contratto di lavoro riguarda ancora l’avere per l’imprenditore, ma l’essere per il lavoratore”.
Per rimediare, quindi, agli effetti distorsivi della mera applicazione dei principi generali in tema di obbligazioni e contratti, oltre alle specifiche previsioni ex lege, in via generale l’art. 2126 c.c. [3], (“Prestazione di fatto con violazione di legge”), prevede che la nullità o l annullamento del contratto di lavoro non producano effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.
La Suprema Corte delle Leggi ha avuto modo di precisare che l’art. 2126 c.c. è espressione del più generale principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato, contenuto nell art. 36 cost. e già anticipato dalla norma de qua, [4].
Ciò nonostante l’art. 2126 c.c. prevede una compiuta ed analitica disciplina che non si presente affatto omogenea: “I. La nullità o l annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall illiceità dell oggetto o della causa; II. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione.
La lettera della disposizione normativa in esame impone all’interprete di diversificare per tipologie i contratti di lavoro nulli al fine di applicare una soluzione legislativa piuttosto che l’altra: in estrema sintesi, il fattore discretivo è da rinvenire non tanto nella tipologia di contratto quanto nel vizio invalidante che ha dato la stura alla pronuncia di nullità. Perciò, sarà opportuno discorrere non di diversi contratti di lavoro ma di diverse ipotesi di nullità. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità, infatti, rinviene, per ius receptum, nella norma di cui si tratta, una disciplina differenziata dettata per il caso di prestazioni di fatto con violazioni di legge, cosicché essa reputa opportuno distinguere, rebus sic stantibus, (cfr. Cass. civ., sez. lavoro, 12/11/2002, n. 15880, [5]), pervenendo a soluzioni tra loro differenti.
In un caso, infatti, la retroattività conseguente alla patologia non travolge le prestazioni già eseguite, nonostante la nullità del titolo; nell’altro caso, invece, essa seguirà il suo normale corso senza risparmiare i rapporti esauriti; tutto ciò premesso con lo scrutinio, in seconda lettura, del comma II dell’art. 2126 c.c. verificando che la nullità non discenda dalla violazione di norma di protezione per il lavoratore. In estrema sintesi, rinviando allo schema tabellare allegato, si deve rilevare che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2126 c.c. assume massima importanza l’esame diagnostico del giudicante sul contratto nullo, al fine di determinare la veste giuridica della nullità del caso. Qualora si tratti di semplice illegalità, il prestatore di lavoro non vedrà corrotte le prestazioni eseguite; nella ipotesi, invece, di illiceità della causa o dell’oggetto, esse andranno recuperate con strumenti rimediali diversi, (es. 2041 c.c.), se possibile, (es. 2035 c.c.).
3. Il problema, tuttavia, consiste proprio nella distinzione tra “nullità da illegalità”, (1418,I) e “nullità da illiceità”, (1418,II), da sempre al centro di un vivace dibattito dottrinale.
NULLITA’ | Referente normativo | Disciplina ex art. 2126,I c.c. | Rimedi alternativi |
ILLICEITA’ DIRETTA della CAUSA, 1343 | 1418, II + 1343 | La nullità travolge anche il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione | Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione Salvo 2041 c.c. |
| 1418, II + 1343 | La nullità travolge anche il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione | Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione Salvo 2041 c.c |
ILLICEITA’ DELL’OGGETTO 1346 c.c. | 1418, II + 1346 | La nullità travolge anche il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione | Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione Salvo 2041 c.c |
ILLEGALITA’ | 1418, I | La nullità non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione | - |
ILLICEITA’ PER MOTIVO COMUNE ILLECITO, 1345 | 1418, II + 1345 | La nullità travolge anche il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione | Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione Salvo 2041 c.c |
DIFETTO DI FORMA 1325, n. 4 | 1418, II + 1325 n. 4 | La nullità non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione | - |
NULLITA’ SPECIALI | Previsioni di legge | La nullità non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo diverse disposizioni ex lege | - |
Il contratto in contrasto con norme imperative è qualificabile come illegale; qualora, invece, uno degli elementi costitutivi del negozio sia violativo delle stesse norme, dell’ordine pubblico o del buon costume, si avrà sul piano patologico, una causa di illiceità ex art. 1418 comma II.
Nel caso di illegalità, (nullità cd. virtuale), la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto giacché l art. 1418, primo comma, c.c., con l inciso "salvo che la legge disponga diversamente", esclude tale sanzione ove sia predisposto un meccanismo idoneo a realizzare ugualmente gli effetti voluti della norma, indipendentemente dalla sua concreta esperibilità e dal conseguimento reale degli effetti voluti, [6]; diverse, invece, le sorti del contratto affetto da nullità cd. testuale, ai sensi dell’art. 1418, II che dà luogo ad un negozio radicalmente insanabile, (così anche ai fini della disciplina ex art. 2126, I c.c.), [7].
Ai sensi dell’art. 2126 c.c. vengono in rilievo, espressamente, l’illiceità della causa o l’illiceità dell’oggetto: nel primo caso rileva sia la causa direttamente illecita, (1343 c.c.) che il contratto in fraudem legis, affetto da cd. illiceità indiretta. Stessa disciplina deve applicarsi in caso di motivo comune illecito, ai sensi dell’art. 1345 c.c.
In tutte le ipotesi considerate, la retroattività della nullità non è arrestata con riguardo al passato e nessuna terapia deterrente fa salve le prestazioni già eseguite.
Corre l’obbligo di precisare che, ovviamente, l’art. 2126 c.c. resta applicabile ai soli rapporti di lavoro subordinato, trattandosi di disciplina eccezionale non estendibile analogicamente, [8], poiché la norma de qua contempla il diritto alla retribuzione per le prestazioni di fatto alla stregua di una fictio iuris di validità del rapporto nullo, [9], (secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità).
Ciò nonostante non è sempre agevole per l’interprete sindacare il vizio genetico invalidante del contratto al fine di rilevare un indice di illiceità ovvero un fattore di illegalità, salvo alcuni casi ormai pacifici in giurisprudenza: ad esempio per l’ipotesi del contratto avente ad oggetto una prestazione sessuale a pagamento, reputato viziato da nullità, per illiceità della causa, [10].
Al di là della res non controversa, in altri casi i dubbi resistono.
In alcune ipotesi, ad esempio, vengono in gioco fattispecie in cui il prestatore d’opera ha esercitato un’attività lavorativa in assenza di un requisito di validità prescritto dalla legge, quale l’iscrizione ad un Albo professionale cosicché, secondo taluni, si verserebbe in una ipotesi di contratto illecito. La giurisprudenza, con riguardo ad esempio all’attività giornalistica, ha messo in mora la tesi della illiceità optando per una classica ipotesi di negozio illegale, [11].
Altri classici casi controversi afferiscono al contratto di lavoro instaurato in assenza di prova pubblica selettiva con un ente presso il quale, ancorché di natura privata, l assunzione sia consentita solo mediante procedura concorsuale: la giurisprudenza ha ritenuto, anche in questo caso, che la fattispecie ricada nella disciplina dettata dall art. 2126 c.c., [12].
4. Il problema, tuttavia, si complica laddove la condotta posta in essere assuma rilevanza penale: si pensi all’abusivo esercizio di una professione, per il primo caso, ovvero ad un abuso d’ufficio per il secondo.
In tali casi, infatti, la dottrina ha optato per soluzioni differenti.
Secondo la tradizionale tesi pan-penalistica, tutte le norme penali sarebbero norme imperative, cosicché si assisterebbe ad un contratto illegale cui è applicabile l’art. 2126 c.c.
Altra tesi, invece, sulla scorta del medesimo sillogismo, (norma penale = norma imperativa) giunge a conclusioni differenti, ritenendo che sia un elemento del negozio ad essere inficiato, sub specie di causa illecita, oggetto illecito, o motivo illecito condiviso e determinante.
Un orientamento approdato in sede di legittimità, al contrario, ha proposto una soluzione differenziata, ad oggi prevalente. Qualora il contratto sia in sé la realizzazione del crimine, si avrà un cd. contratto-reato. Esso sarà radicalmente nullo per la violazione di norme imperative. Nella diversa ipotesi del cd. reato in contratto, quando sia sanzionata la condotta delle parti, dovrà distinguersi: se la norma penale sanziona la condotta di ambo le parti si avrà nullità; se la norma penale sanziona la condotta di una sola delle parti, si avrà annullabilità, (su istanza, ovviamente, della parte legittimata, 1441 c.c.).
La Cassazione, sulla scorta di tale indirizzo largamente condiviso in dottrina, anche di recente, ha precisato che “in tema di cause di nullità del negozio giuridico, per aversi contrarietà a norme penali ai sensi dell art. 1418 c. c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto un comportamento materiale delle parti e, meno che mai, di una sola di esse”, [13].
Ma tale soluzione non risponde alla domanda rilevante ai fini dell’art. 2126 c.c. : che tipologia di nullità viene in gioco?
E’ ovvio che nelle ipotesi di contratto-reato, o di reato in contratto con sanzione per ambo i contraenti, poiché il negozio realizza la fattispecie delittuosa o le determinazioni delle parti, è difficile ritenere che si possa produrre alcun effetto, anche eccezionale, se l’intenzione comune delle parti era proprio quella di realizzare il fatto tipico sanzionato dalla disposizione penale: si tratterebbe, infatti, di una funzione pratico-individuale del negozio assolutamente illecita e, comunque, di un comune motivo determinante cui consegue l’illiceità.
Diversa l’ipotesi in cui nell’ambito del contratto-reato, o del reato in contratto fuori dall’ipotesi precedente, non vi sia una concertazione criminosa, ovvero un pactum sceleris [14].
Si pensi a colui che eserciti abusivamente la professione, assunto per determinate prestazioni lavorative effettuate a regola d’arte ma non retribuite: la propria pretesa retributiva potrebbe essere paralizzata ai sensi del combinato disposto ex artt. 1418 II, 2126 c.c.
Sennonché tale soluzione non convince, dovendosi preferire una opzione interpretativa ex artt. 1418 I, 2126 I c.c. ovvero, comunque, optare per l’esperibilità dell’art. 2041 c.c. salvi gli effetti penali discendenti dalla consumazione del reato de quo.
Al di là delle soluzioni ermeneutiche suggeribili, deve reputarsi comunemente condivisa l’opinione secondo la quale il giudice civile può valutare con ampia autonomia le risultanze penali, rebus sic stantibus, soprattutto qualora vengano in rilievo prestazioni lavorative di fatto, di cui all’art. 2126 c.c.
In ogni caso, corre l’obbligo di ricordare, che se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione, (art. 2126, II c.c.).
NOTE