lunedì 25 febbraio 2008
IL PROGRESSO TECNOLOGICO NEL MERCATO DEL LAVORO
Riflessi dei cicli produttivi sui cicli culturali
Prof. Sergio Sabetta
Possiamo fare congetture in merito all’avvenire solo se disponiamo di una accurata analisi del passato (Mosse)
Nei cicli economici vi sono shock tecnologici che favoriscono salti di qualità produttivi con l’introduzione nell’attività economica di nuovi processi produttivi e nuovi prodotti. Schumpter distingue tra invenzioni e innovazione considerando la seconda propria dell’impresa in quanto legata a nuove funzioni di produzione, tale distinzione è stata però contestata da Schmookler il quale ha dimostrato che soprattutto a partire dagli anni venti del XX secolo invenzione e innovazione si sono saldati per gli enormi capitali richiesti da immobilizzare per lunghi periodi nei laboratori di R. & S.
L’innovazione tecnologica se da una parte riduce la richiesta di capitale umano nei settori direttamente interessati dall’innovazione, dall’altra la capacità di una maggiore elaborazione di risorse primarie può indurre ad un aumento della richiesta di risorse umane nei settori collegati al punto innovato, sia a monte che a valle nella distribuzione.
La storia economica fa sentire il peso dell’aumento della produzione e dell’occupazione accompagnata al progresso tecnologico in un mercato sempre più allargato, basti pensare agli effetti del mercato dello zucchero di canna, del tabacco e del cacao nel corso del ‘700 e della triangolazione tra merci importate dall’Europa nella Costa d’Avorio dell’Africa per acquistare manodopera schiava, il suo trasferimento in America e il ritorno in Europa delle materie prime, triangolazione favorita dal miglioramento tecnico della navigazione.
Su questo triangolo ai primi del XIX secolo si innesta l’allargamento dei mercati cotonieri e tessili con l’unificazione delle aree industriali del nord-est con quelle agricole dell’ovest e quelle schiavistiche cotoniere del sud degli Stati Uniti, questo comunque sempre in rapporto con le aree industriali dell’ovest dell’Inghilterra, anche in questo caso con pesanti costi umani nei periodi iniziali dell’industrializzazione. Il medesimo meccanismo a carico del capitale umano in termini di costi iniziali si sta realizzando nelle attuali aree di sviluppo economico.
La stessa macchina mietitrice sebbene inventata intorno al 1830 fu introdotta nelle pianure del Middle West solo alla metà del secolo con il migliorare dei collegamenti ferroviari e l’aumento dei salari dei lavoratori agricoli. Le innovazioni tecniche procedono a tentoni sulla base dell’esperienza produttiva (Arrow) e non in termini programmatici.
Se nella visione neoclassica, il progresso tecnico porta ad una diminuzione dei prezzi dei beni di consumo con un aumento dei salari reali in condizione di piena occupazione, nel modello keynesiano di Harrod in presenza di invenzioni neutrali, ossia tali da lasciare invariato il rapporto capitale/prodotto, un livello di produzione costante in presenza di miglioramenti tecnici comporta una riduzione dell’occupazione, analogo al caso di un semplice aumento della popolazione. Occorre quindi un aumento degli investimenti al fine di aumentare il volume prodotto, ma questo accadrà solo in presenza di aspettative degli imprenditori circa il saggio di crescita della domanda aggregata (investimenti indotti), la domanda dovrà pertanto essere stimolata anche mediante delle politiche economiche tipicamente keynesiane.
In questa analisi dovranno tuttavia considerarsi anche gli impulsi che il progresso tecnico trasmette direttamente all’investimento con l’introduzione di nuovi prodotti o processi produttivi, spinta maggiore laddove si operi in concorrenza (investimento autonomo).
Partendo da queste premesse si possono ora affrontare alcune considerazioni sul mercato del lavoro, valutandolo nei due aspetti di mercato esterno/interno e di mercato duale.
Nella prima ipotesi si deve distinguere fra mercato esterno comprendente i lavoratori disoccupati o disponibili per unità produttive diverse da quelle in cui sono attualmente occupati, mentre per mercato interno si intendono quei lavoratori già inseriti nell’impresa e per cui vi sono un insieme di istituti, norme e usi non codificati validi solo nella contrattazione interna all’impresa fra domanda ed offerta senza contatti con il mercato esterno, il trasferimento interno all’impresa comporta spesso anche una promozione.
Esistono posti che richiedono addestramenti specifici i quali si acquisiscono solo all’interno dell’impresa, mediante la trasmissione delle conoscenze fra lavoratori anziani e lavoratori giovani, ma perché questo avvenga occorre che fra i due si instauri un rapporto collaborativo e non di competizione, circostanza che presuppone tra l’altro la sicurezza dei posti di lavoro distribuiti lungo una scala gerarchica di cui si condividono le regole di promozione e i valori sottesi.
Tuttavia non vi è soltanto una distinzione tra mercati esterno/interno, ma anche una forte dicotomia sulla tipologia dei posti di lavoro distinti tra posti “buoni” e posti “cattivi”. Mentre i posti “buoni” costituiscono il settore primario, i posti “cattivi” danno vita al settore secondario e sono caratterizzati da basse retribuzioni, instabilità del rapporto di lavoro, prestazioni poco attraenti in quanto faticose, ripetitive, deresponsabilizzate.
I posti pienamente disponibili sono generalmente secondari, mentre i primi sono disponibili in numero limitato sia per ragioni tecnologiche che di mercato.
La turbolenza dell’ambiente socio-tecnico e dei mercati ha portato a ridisegnare il contenuto delle posizioni di lavoro al fine di renderle compatibili, a flessibilizzare precarizzando il lavoro, vi è stato uno scivolamento verso aspetti del settore secondario, circostanza che tuttavia non può negare la stretta connessione del lavoro con la dignità dell’uomo (Kierkegaard).
Il lavoro non è solo un modo di assicurarsi l’esistenza ma è la stessa estrinsecazione di un modo di vita determinato, è il modo specifico di essere uomo, esso fa dell’uomo un ente sociale in rapporto con gli altri individui con la necessità pertanto di non trasformarsi in pura merce, in contrasto con la personalità del singolo che diventa oggetto e non più soggetto (Marx). Se Hegel considera il lavoro come mediazione tra l’uomo e il suo mondo, considerando il barbaro pigro e l’uomo civilizzato bisognoso di occupazione, esso osserva anche che la specializzazione porta ad una dipendenza incondizionata del singolo dal complesso sociale, circostanza che può condurre alla pura mercizzazione con la perdita del carattere spirituale che Hegel stesso aveva riconosciuto.
Il ridursi del lavoro ad aspetti del settore secondario conduce al tradimento della spiritualità ad un eccesso che assoggetta, impedendo lo sviluppo della ragione in termini spirituali, ma solo pratici ( Nietzsche ). Non può infatti negarsi l’esistenza nel lavoro di un costo umano di sforzo e fatica, circostanza che aveva indotto gli antichi al concetto di banausia, per cui il potere signorile è di chi non sa fare le cose necessarie ma le sa usare più dei suoi dipendenti ( Aristotele ).
Ogni cambiamento tecnologico pone nuovi strumenti produttivi ma anche di dominio a disposizione di coloro che come afferma Aristotele li sanno usare nelle loro potenzialità più che fare, questo comporta uno sfruttamento immediato da parte di questa nuova compagine dei terzi, ossia di coloro che non sanno o non possono, tale azione lavorativa introduce anche un nuovo modo di organizzare e quindi di essere, creando nuovi termini culturali e le loro potenzialità. Basti pensare allo schiavismo del XVII – XVIII secolo che unito allo scientismo e ai concetti darwiniani favorirono il nascere della dottrina razzista attraverso l’elaborazione degli scritti di Gobineau, Chamberlain e Rosemberg, il quale si diffuse e trovò applicazione non solo in Europa, ma anche in Asia con la teoria della superiorità razziale giapponese e il conseguente espansionismo militare degli anni 30/40 poggiante sulla superiorità tecnologica rispetto agli Stati asiatici contermini.
Si crea quello che Veblan chiama psichiatria applicata, ossia l’arte di sfruttare per fini particolari un certo pregiudizio nato e sostenuto dalle scorie del mutamento tecnologico. Perfino il recente scontro con l’Islam radicale non è altro che la conseguenza delle delusioni riformiste islamiche del XIX secolo, sprofondate nel colonialismo europeo della seconda metà del secolo quale antitesi operativa ai concetti liberali di affermazione dei diritti di libertà propri del periodo fra il XVIII e il XIX secolo.
Occorre quindi evitare di riprodurre tali errori sottovalutando le conseguenze dei mutamenti culturali tecnologici derivanti dalle nuove organizzazioni del lavoro, di cui forme esasperate di precariato sembrano spingere verso settori secondari del lavoro, sfruttamenti che creano le premesse per futuri scontri sociali e creazioni di nuove strutture culturali di dominio.
Certamente nei lunghi tempi vi sarà un incremento produttivo ed una redistribuzione del benessere, ma nell’immediato possono realizzarsi nuove situazioni di sfruttamento a seguito delle potenzialità delle nuove tecnologie.
La visione a breve, quale investimento speculativo, è funzionale biologicamente alla sopravvivenza egoistica delle generazioni immediatamente interessate, quello che viene meno è un investimento culturale a lungo termine che consideri l’insieme in termini probabilisticamente ciclici e quindi con andamenti circolari e non aristotelicamente lineari, una visione che pochi possiedono in termini politici e culturali e la cui memoria può essere conservata solo in istituzioni multisecolari pena un faticoso recupero, volta per volta, archeologico.
I costi anche umani che verranno in futuro pagati saranno esternalizzati dalle fasce economicamente forti, che hanno diretto l’azione economica, nella fase di espansione pre-reazione, sulle fasce economicamente inferiori, questo tuttavia non le esclude da auto-catastrofi incidentali di percorso, tuttavia con durate generazionali tali di cui se ne perde collettivamente la memoria della causa e pertanto con il riacquisto della propria innocenza, ossia con la catarsi storica.
L’uomo quindi, quale elemento di natura fornito di egoismo biologico, procede attraverso una crescita della conoscenza scientifica e tecnica riflessa sul collettivo attraverso una serie continua di auto-esperimenti sociali, ai quali i laboratori di ricerca possono solo parzialmente supplire.
Bibliografia
• R.M. Hartwell, La rivoluzione industriale inglese, Laterza, 1973;
• N. Abbagnano, Storia della filosofia, Utet, 1074;
• G. L. Mosse, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, 1982;
• J. K. Galbraith, Storia della economia. Il passato come presente, Rizzoli, 1988;
• J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, 1968;
• Harcourt, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Utet, 1971;
• N. Stone, La grande Europa 1878 – 1919, Laterza, 1986;
• D. Stockman, The Triumph of Politics, Harper & Row, New York, 1986.