lavoroprevidenza

martedì 18 dicembre 2007

IL NON AVER COMMESSO PRECEDENTI INFRAZIONI NON ESULA IL LAVORATORE DAL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 3 dicembre 2007, n. 25222 con nota del dr. Gesuele Bellini - Funzionario Ministero dell'Interno - Componente Comitato Scientifico di LavoroPrevidenza.com

Il non aver commesso precedenti infrazioni non esula il lavoratore dal licenziamento per giusta causa.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 3 dicembre 2007, n. 25222.

La vicenda ha riguardato un dipendente addetto a sovrintendere all’attività di altri dipendenti, il quale ometteva la stesura di un rapporto a proposito di operazioni compiute da questi ultimi in violazione delle norme del settore.

L’Azienda gli irrogava la sanzione del licenziamento che il dipendente impugnava davanti al giudice del lavoro, ma la domanda veniva rigettata. La Corte di Appello, invece, accoglieva l’appello, annullando il licenziamento in quanto sanzione irrogata appariva sproporzionata alla mancanza addebitata. L’Azienda proponeva ricorso per Cassazione.

La Corte, accogliendo il ricorso, ha affermato che «per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare» (Cass. 19.8.03 n. 12161) e che l’accertamento in punto di gravità è riservato «all’apprezzamento del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione ovvero, in riferimento alle pattuizioni collettive, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale» (Cass. 11.3.04 n. 5013 e 7.4.04 n. 6823).

Nella fattispecie in esame, ha fatto rilevare il Collegio, il giudice di merito ha ritenuto non violato il vincolo fiduciario solo perché il dipendente in precedenza non aveva commesso precedenti infrazioni, e questo comporta una grave carenza motivazionale che “vizia l’iter logico della pronuncia e conduce alla non consequenziale conclusione della permanenza del rapporto fiduciario tra il dipendente e il datore di lavoro, affermata sulla base di una circostanza, il non aver posto in atto precedenti infrazioni disciplinari, del tutto avulsa dal contesto in cui il comportamento risulta posto in essere”.

Gesuele Bellini

Corte di Cassazione

Sezione lavoro

Sentenza n. 25222 del 3 dicembre 2007

Presidente Ravagnani – Relatore Mammone Pm Fedeli – conforme – Ricorrente A. Spa

Svolgimento del processo

T. Mario si rivolse al giudice del lavoro di Milano impugnando il licenziamento irrogatogli all’esito di procedimento disciplinare dalla Azienda Milanese Servizi Ambientali (A. ), ove svolgeva mansioni di capo turno addetto a sovrintendere all’attività di autisti ed operatori addetti alla raccolta dei rifiuti. Rigettata la domanda, su impugnazione del lavoratore con sentenza 13.7-2.8.05 la Corte di appello accogliendo l’appello annullava il licenziamento rilevando che la sanzione irrogata era sproporzionata in relazione alla mancanza addebitata (omissione di rapporto a proposito ad operazioni compiute da dipendenti in violazione delle modalità di conferimento di materiale ferroso).

Con il ricorso ora in esame l’Azienda, deducendo con unico motivo carenza di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c, chiede la cassazione della sentenza di merito in quanto essa, anche richiamando altra pronunzia avente ad oggetto fatti analoghi ma compiuti da dipendenti con diversa mansione, incorre in grave errore logico ritenendo il comportamento del T. di scarsa gravità, senza tenere in considerazione che lo stesso aveva il compito di sorvegliare il corretto adempimento delle disposizioni aziendali e che proprio a questo compito egli era venuto meno nel momento in cui non aveva segnalato all’azienda le irregolarità riscontrate a carico degli altri dipendenti.

Non costituitosi l’intimato, rilevata l’opportunità della trattazione ai sensi dell’art. 375 c.p.c, sulle conclusioni del Procuratore generale sopra indicate, il ricorso è stato esaminato in camera di consiglio in data odierna.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Al riguardo deve rilevarsi che questa Corte ha affermato che «per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare» (Cass. 19.8.03 n. 12161) e che l’accertamento in punto di gravità è riservato «all’apprezzamento-del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione ovvero, in riferimento alle pattuizioni collettive, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale» (Cass. 11.3.04 n. 5013 e 7.4.04 n. 6823).

Nel caso di specie, dato che la pronunzia impugnata procede comunque ad una autonoma discussione del caso, non sembra censurabile il riferimento ad un precedente della stessa Corte di appello riguardante fatti analoghi, in quanto per consolidata giurisprudenza di legittimità la motivazione per relationem deve considerarsi rituale quando il rinvio sia fatto ad altra sentenza, purché il giudice del gravame abbia dato conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento impugnato che le censure proposte (v. ex multis 3.2.03 n. 1539). La pronunzia di merito è, invece, censurabile in punto di coerenza della motivazione in quanto, pur ammettendo la doverosità dell’intervento al momento dell’accertamento delle violazioni e riscontrando l’omissione delle segnalazioni interne nonostante fossero imposte «dal suo [del T. ] ruolo di coordinatore del personale e di capoturno», pur rilevando la maggiore gravità riconnessa a tali mancanze dal codice disciplinare, il giudice di merito ritiene non violato il vincolo fiduciario solo perché il dipendente in precedenza non aveva commesso precedenti infrazioni. Tale argomentazione evidenzia una grave carenza logica tra la premessa (esistenza dell’obbligo di denunzia in ragione del ruolo sovraordinato del dipendente, gravità della omissione) e la conclusione (insussistenza della violazione del vincolo fiduciario).

La rilevata carenza motivazionale vizia l’iter logico della pronunzia e conduce alla non consequenziale conclusione della permanenza del rapporto fiduciario tra il dipendente ed il datore di lavoro, affermata sulla base di circostanza (il non aver posto in atto precedenti infrazioni disciplinari) del tutto avulsa dal contesto in cui il comportamento risulta posto in essere.

Il ricorso è dunque fondato, di modo che l’impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale procederà a nuova valutazione del comportamento del dipendente alla luce delle considerazioni sopra indicate e provvederà per le spese anche del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese.



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