lavoroprevidenza

mercoledì 21 novembre 2007

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE, NOVITA GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 5 novembre 2007, n. 23071, con nota del dr. Gesuele Bellini - Funzionario Ministero dell Interno - Componente Comitato Scientifico di LavoroPrevidenza.com

In tema di licenziamento disciplinare, è legittimo, in sede di audizione del lavoratore, porre a fondamento della sanzione fatti nuovi a quelli comunicati nella contestazione degli addebiti, se si assegnano nuovi termini per permettere la difesa al dipendente.


Così ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 5 novembre 2007, n. 23071.


La vicenda ha riguardato una dipendente licenziata per motivi disciplinari, a cui il giudice di primo grado aveva dichiarato il licenziamento illegittimo, per violazione dell art. 7 Legge 20 maggio 1970, n. 300, annullandolo ed ordinando la reintegrazione della stessa nel posto di lavoro, con condanna al risarcimento del danno, in quanto nella contestazione d’addebito sarebbero stati posti a giustificazione fatti diversi dall originaria contestazione.


In pratica, a seguito della contestazione degli addebiti, la dipendente veniva sentita alla presenza di un rappresentante sindacale, ed in occasione dell’audizione la società contestava alla dipendente altri fatti non indicati nell’originaria contestazione, tra cui anche di avere usato indebitamente fax, telefono e fotocopiatrice aziendale e di avere esposto la società al pericolo di danni di onorabilità e di immagine. Il rappresentante del sindacato aveva chiesto, pertanto, di poter controdedurre a questa nuova contestazione e successivamente fece sapere con lettera di non aver niente da aggiungere.


Il giudice d appello, interessato del ricorso, ha disatteso la decisione del primo giudice sostenendo che la dipendente ha avuto i termini a difesa sulla seconda contestazione, ed inoltre, perché il licenziamento era comunque motivato essenzialmente in relazione ai fatti della prima contestazione.


Avverso tale decisione, la dipendente interessata ha proposto ricorso per Cassazione.


La questione affrontata dalla Corte ha riguardato, tra l’altro, la verifica della eventuale violazione del canone di immutabilità dei fatti contestati.


Invero, va sottolineato che i fatti contestati sono vincolati al c.d. principio della immutabilità, nel senso che è precluso al datore di lavoro, nel corso del procedimento disciplinare avviato, di far valere, a sostegno delle sue determinazioni, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione, anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva. (Cass. 28 agosto 2000, n. 11265).


Orbene, secondo i giudici di legittimità, che hanno rigettato il ricorso, nella fattispecie in esame hanno ritenuto che il procedimento adottato dalla società sia del tutto corretto, in quanto, pur contestando fatti nuovi al momento dell’audizione della dipendente, sono comunque stati dati alla stessa i termini a difesa sulla nuova contestazione effettuata.



Gesuele Bellini




Corte di Cassazione


Sezione lavoro


Presidente Sciarelli – Relatore De Matteis Pm Fedeli – conforme


Ricorrente G. – Controricorrente T. Srl



Sentenza 2 ottobre – 5 novembre 2007, n. 23071



Svolgimento del processo


Con ricorso del 26 gennaio 2000 la T. s.r.l. conveniva in giudizio la propria dipendente sig.ra G. Gabriella per sentir dichiarare la legittimità del licenziamento disciplinare intimatole il 13 gennaio precedente.


Il giudice adito, in accoglimento della domanda riconvenzionale della G. , con sentenza 12 luglio 2001 ha dichiarato il licenziamento illegittimo, per violazione dell art. 7 Legge 20 maggio 1970, n. 300, in quanto nella lettera di licenziamento sarebbero stati posti a giustificazione fatti diversi dall originaria contestazione, come l uso da parte dell appellata di fax, fotocopiatrice e del telefono aziendale e per aver esposto l azienda a possibili azioni giudiziarie di altri soggetti; annullava il licenziamento ed ordinava la reintegrazione della stessa nel posto di lavoro, con condanna al risarcimento del danno.


Il Tribunale di Roma, decidendo con sentenza non definitiva 5 giugno 2003/19 marzo 2004 n. 2511/2003 solo la questione della tempestività della contestazione, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato che il datore di lavoro ha rispettato la procedura di previa contestazione di cui all art. 7; ha disposto con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l esame della legittimità nel merito dell’atto di recesso.


Il giudice d appello ha disatteso la decisione del primo giudice per due ragioni: 1. perché la dipendente ha avuto i termini a difesa sulla seconda contestazione; 2. perché il licenziamento è comunque motivato essenzialmente in relazione ai fatti della prima contestazione.


Sul primo punto ha rilevato: dopo l originaria contestazione la appellata veniva sentita il 4 gennaio 2000 alla presenza di un rappresentante sindacale. La società contestava alla G. anche di avere usato indebitamente fax, telefono e fotocopiatrice aziendale e di avere esposto la società al pericolo di danni di onorabilità e di immagine. Il rappresentante del sindacato chiese di poter controdedurre a questa nuova contestazione e successivamente fece sapere con lettera di non aver niente da aggiungere.


Il giudice d appello ha concluso sul punto che l appellata è stata idoneamente informata, alla presenza anche di rappresentanti sindacali di sua fiducia, di questi nuovi addebiti e le è stato concesso un termine per potersi discolpare, che non ha inteso utilizzare.


Sul secondo punto: nella lettera di licenziamento le ragioni poste a fondamento del recesso sono i comportamenti originariamente contestati e cioè la raccolta di fondi per prodotti natalizi vari nell’orario di lavoro, la presenza in portineria in un giorno non di lavoro per incassarli ecc.; il riferimento all uso del telefono, fax e fotocopiatrice aziendale è puramente aggiuntivo in quanto si deduce solo l irrilevanza del valore del materiale utilizzato. Il giudice d appello ha esaminato la lettera di recesso e l’ha interpretata nel senso che le ragioni del recesso sono individuate nella raccolta abusiva di fondi presso i colleghi e non nell uso del materiale aziendale, tanto che nella citata lettera si deduce una sorta di "incompatibilità ambientale".


Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la G. , con due motivi.


La intimata si è costituita con controricorso, resistendo.


Motivi della decisione


Si deve preliminarmente delibare il valore processuale della comunicazione depositata nella cancelleria di questa Corte il 18 luglio 2007 dall avv. Giovanni Marrapese, difensore della T. s.r.l., secondo cui la società è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sent. 3 maggio 2006 n. 389.


In passato, la giurisprudenza di questa Corte era consolidata nel senso che le diverse cause di interruzione del processo previste dagli artt. 299 e 300 c.p.c. non trovano applicazione nel giudizio di Cassazione, caratterizzato dall’impulso di ufficio. Questo principio è stato applicato anche all ipotesi di dichiarazione di fallimento di una delle parti (Cass. sez. un. 14 novembre 2003 n. 17295; Cass. 20 maggio 1997 n. 4480). Successivamente Cass. Sez. Un. 13 gennaio 2006 n. 477, in fattispecie di morte del procuratore, ha innovato sul punto, rilevando che il principio del giusto processo, ribadito dall art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ed il ruolo del difensore anche nel giudizio di cassazione, che ne impone la possibilità di presenza anche in questa sede, richiede di rinviare il processo a nuovo ruolo, per dare comunicazione dell evento alla parte e consentirle di nominare un nuovo difensore.


Il Collegio ritiene che il principio sopra enunciato non debba essere necessariamente applicato al caso di specie, considerata anche la mancanza di interesse della parte, e la mancanza di lesione del diritto di difesa, in relazione all esito del giudizio, di cui in seguito, ed in considerazione del principio del giusto processo, di cui è parte essenziale la sua ragionevole durata, ribadito dallo stesso art. 111 Cost., posto a base della sentenza delle Sezioni Unite 477/2006 cit. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell articolo 7, comma due, legge Legge 20 maggio 1970 n. 300, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.).


Assume che dal confronto tra la lettera di contestazione e la successiva lettera di intimazione del licenziamento risulta la violazione del canone di immutabilità dei fatti contestati. Il motivo è infondato, perché involge una valutazione dei fatti da parte del giudice del merito il quale, con motivazione adeguata e priva di contraddizioni, ha dato sufficiente ragione della propria valutazione.


La correttezza della motivazione risiede nel rilievo che la lavoratrice ha avuto, come dispone l art. 7 in esame, i termini a difesa sulla contestazione effettuata in sede di audizione, e tale rilievo è assorbente di ogni altra considerazione circa il contenuto della lettera di licenziamento, una volta che anche la seconda contestazione sia stata ritenuta legittima. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell articolo 7, commi 2, 3, 5, legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché dell articolo 1375 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c).


Assume che solo nell atto di appello la T. S.r.l. ha sviluppato gli argomenti posti a base della sentenza impugnata.


Il motivo è infondato.


Il potere di rilevazione del giudice è vincolato solo dai fatti ritualmente dedotti (Cass. Sez. un. 3 febbraio 1998 n. 1099).


Il ricorso va pertanto respinto.


Le spese processuali vengono compensate.


PQM


La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.




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