lavoroprevidenza

lunedì 7 maggio 2007

QUALE TUTELA A FAVORE DEL SOCIO-LAVORATORE DI COOPERATIVA IN CASO DI ESCLUSIONE E/O DI LICENZIAMENTO


Quale tutela a favore del socio-lavoratore di cooperativa in caso di esclusione e/o di licenziamento



La disciplina delle tutele a favore del socio-lavoratore di cooperativa in caso di esclusione o di licenziamento è un tematica piuttosto delicata, in quanto, a livello di diritto sostanziale, il rapporto associativo e il rapporto di lavoro appaiono come le due facce di una stessa medaglia, la cui regolamentazione poggia principalmente sulla fonte interna (contratto sociale, regolamento) e su specifici accordi sindacali


Infatti, con la l. n. 142 del 2001 è stata affermata la c.d. teoria dualistica: accanto al rapporto associativo del socio di cooperativa coesiste un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma (art. 1, comma 3°)[1].


Inoltre, la l. 14 febbraio 2003, n. 30 (art.9) ha cancellato le parole «e distinto», per cui il rapporto di lavoro del socio è sì «ulteriore» rispetto al rapporto associativo, ma non si distingue più da quest’ultimo, rispetto al quale assume anzi una posizione ancillare. Infatti, la l. n. 30 del 2003 ha altresì previsto che:


a) la risoluzione del rapporto associativo comporta l’automatica estinzione anche del rapporto di lavoro, in sintonia con l’art. 2533 c.c., nella versione novellata dal d.lgs. n. 6 del 2003, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2004;


b) l’esercizio dell’attività sindacale, di cui al titolo III dello st. lav., troverà applicazione soltanto se compatibile con il rapporto associativo, nei limiti definiti da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative;


c) la regolamentazione normativa del rapporto sia associativo che di lavoro trova la sua fonte primaria nel contratto sociale e nel regolamento, essendo la cooperativa tenuta unicamente a rispettare il trattamento economico risultante dai contratti collettivi nazionali di lavoro;


d) sempre a proposito di regolamentazione normativa del rapporto del socio-lavoratore, il ruolo primario della fonte interna, anche regolamentare, risulta confermato anche dal novellato art. 2533 c.c., a norma del quale l’esclusione della cooperativa è espressamente prevista per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico, mentre, in precedenza, l’art. 2527 c.c. si limitava a richiamare i casi stabiliti dall’atto costitutivo[2].


La tutela prevista, a favore del socio-lavoratore di cooperativa, in caso di esclusione è quella disciplinata dall’art. 2527 c.c. e, a partire dal 1° gennaio 2004, dal novellato art. 2533 c.c. e che presenta le seguenti principali caratteristiche, rispetto alla tutela, reale ex art. 18 st. lav. ovvero obbligatoria ex art. 8 l. 604 del 1966, contro il licenziamento:


a) l’impugnazione della delibera di esclusione deve essere effettuata tramite azione giudiziale, mentre l’impugnazione del licenziamento può essere fatta anche stragiudizialmente;


b) l’azione di impugnativa dell’esclusione deve essere promossa a pena di decadenza entro il termine perentorio di trenta (sessanta per il novellato art. 2533 c.c.) giorni dalla comunicazione[3], mentre, in caso di licenziamento, è sufficiente la contestazione stragiudiziale entro il termine di sessanta giorni (art. 2, l. n. 604 del 1966), potendo poi l’azione giudiziale seguire nel termine prescrizionale quinquennale di cui all’art. 1442 c.c.;


c) giudice competente a decidere sull’esclusione è il tribunale, in formazione collegiale (art. 50 bis, n. 5, c.p.c.; art. 1, comma 3°, d.lgs. 17 gennaio 2003, n.5), mentre il controllo sul licenziamento è demandato al tribunale in composizione monocratica, quale giudice del lavoro;


d) il tribunale, in base al vigente art. 2527 c.c., può sospendere l’esecuzione della deliberazione di esclusione «sic et simpliciter, senza che ricorrano i gravi motivi, richiesti, invece, per la sospensione di qualsiasi altra deliberazione societaria ed associativa ex art. 2378, comma 4°, c.c. e dell’art. 23 c.c.»[4] e, comunque, senza che ricorra il «pregiudizio grave ed irreparabile» di cui all’art. 700 c.p.c.[5]. Con la riforma del diritto societario, il novellato art. 2533 c.c. non prevede più la sospensione della delibera. Si applicherà il procedimento cautelare delineato dagli art. 23 e 24 d.lgs. n.5 del 2003, che, comunque, prescinde dal presupposto del «pregiudizio grave ed irreparabile» di cui all’art. 700 c.p.c. e prevede la possibilità di richiedere la misura cautelare anche ante causam, il mantenimento di efficacia del provvedimento cautelare anche nel caso in cui il giudizio di merito non sia iniziato o si estingua, la possibilità di un giudizio abbreviato. Al contrario, in caso di licenziamento, la tutela cautelare è quella di cui all’art. 700 c.p.c., per cui tale rimedio è da escludere a priori quando si verte in ambito di tutela obbligatoria, in quanto la tutela di merito può al massimo dare un contenuto risarcimento danni, che non può originare il pregiudizio imminente ed irreparabile richiesto dalla tutela cautelare. In caso di tutela reale, sarà comunque onere del lavoratore provare la sussistenza del periculum in mora, con la dimostrazione di apparenti ragioni d’urgenza ulteriori rispetto a quelle date dalla natura della causa, quali il carico familiare, la necessità di affrontare spese indilazionabili, ecc.; inoltre, secondo quanto previsto in giurisprudenza, si pone il problema ulteriore di dover dar conto anche del fumus boni iuris, fornendo elementi per apprezzare l’apparente illegittimità del licenziamento, benché, a norma dell’art. 5 l. n. 604 del 1966 spetti al datore di lavoro l’onere probatorio della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento;


e) l’annullamento della delibera di esclusione comporta la ricostituzione della situazione anteriore e il risarcimento del danno, che nel caso di socio-lavoratore è pari al compenso-retribuzione (oltre che agli eventuali utili distribuiti) fino alla data di rientro nella compagine sociale. In caso di licenziamento, se assistito da tutela obbligatoria, sussiste soltanto il diritto al risarcimento danni (art. 8 l. n. 604 del 1966); se invece è invocabile la tutela reale, il lavoratore ha il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento di tutte le retribuzioni perse, con un minimo di cinque mensilità, oltre alla possibilità di rinunciare alla reintegra e richiedere ulteriori quindici mensilità di retribuzione;


f) la tutela contro l’esclusione prescinde dalla consistenza dell’azienda e, pertanto, si applica indifferentemente sia alle piccole che alle grandi cooperative.


Ne discende che la tutela contro l’esclusione, quanto agli effetti, appare sicuramente preferibile alla tutela debole contro il licenziamento, in quanto offre la ricostituzione della situazione anteriore e il recupero di quanto perso invece di un modico indennizzo di natura economica. Per di più questa maggior tutela potrebbe frustrare sul nascere l’interesse a costituire delle false piccole cooperative, emanazione di grandi società di capitali, dalle quali prendono in appalto frammenti del ciclo produttivo.


Inoltre, altro elemento importante è rappresentato dalla più ampia tutela cautelare concedibile e per il minor tempo di proposizione dell’impugnativa. Entrambe queste caratteristiche si legano alla particolarità della fattispecie: per la possibilità di regolare funzionamento della compagine sociale (validità delle deliberazioni) è necessario sapere entro un termine breve se l’esclusione è o meno posta in discussione e, in caso positivo, se il socio escluso, almeno provvisoriamente, ha o meno il diritto di partecipare alla vita sociale e contrastare l’assunzione di decisioni importanti.


Non è chiaro, però, se la restitutio in integrum conseguente all’annullamento della delibera di esclusione consenta di recuperare oltre che la qualità di socio anche quella di lavoratore.










[1] Molteplici i commenti a questa legge, con particolare riferimento alla duplicità dei rapporti associativo e di lavoro. Vedi Aa. Vv., La riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, a cura di Nogler, Tremolada e Zoli, in Nuove leggi civili comm., 2002, p. 369 ss.; Aa. Vv., Lavoro e cooperazione tra mutualità e mercato. Commento alla l. 3 aprile 2001, n. 142, a cura di Montuschi e Tullini, Torino, 2002, passim; Alleva, I profili giuslavoristici della nuova disciplina del socio lavoratore di cooperativa, in Riv. giur. lav., 2001, I, p. 353 ss.; Amato, La tutela economica prevista per il socio-lavoratore dalla l. 142 del 2001, in Dir. rel. ind., 2002, p. 189 ss.; Andreoni, La riforma della disciplina del socio lavoratore di cooperativa, in Lavoro nella giur., 2001, p. 205 ss.; Biagi-Mobiglia, La nuova disciplina applicabile al socio lavoratore di cooperativa, in Guida al lavoro, 2001, n. 45, p. 13 ss.; Ciampi, Un punto fermo nella «galassia normativa» ma siamo ancora lontani dal definitivo riordino, in Guida al dir., n. 18, 2001, p. 36 ss.; de Angelis, Il lavoro nelle cooperative dopo la l. n. 142 del 2001: riflessioni a caldo su alcuni aspetti processuali, in Lav. nella giur., 2001, p. 813 ss.; Id., L’esclusione e il licenziamento del socio lavoratore tra diritto e processo, ivi, 2002, p. 605 ss.; De Luca, Il socio lavoratore di cooperative: la nuova disciplina (l. 3 aprile 2001 n. 142), in Foro it., 2001, V, c. 233 ss.;




[2] Massi, La riforma del mercato del lavoro, in Dir. e pratica lav., inserto del fascicolo n.10, p. XI s.; Vedani, La posizione del socio lavoratore di cooperativa, in Dir. e pratica lav., ivi, p. XXVII ss.; Garofalo, Gli emendamenti alla disciplina del socio lavoratore di cooperativa contenuti nel d.d.l. 848 B, in Lav. nella giur., 2003, p.5 ss.; Tartaglione, Le modifiche alla disciplina del socio lavoratore di cooperativa, in Guida al lavoro, 2003, p.70 ss.; Monzani, Prevalenza del rapporto societario e nuovo termine per l’approvazione dei regolamenti, ivi, p.78 ss.




[3] Cfr. Cass., 15 gennaio 1999, n. 384,in Foro it., 2000, I, c. 2661, che però fa decorrere il dies a quo per la proposizione dell’opposizione dalla conoscenza della mancata costituzione da parte dell’assemblea del collegio dei probiviri, a cui, per statuto, era demandato il controllo endosocietario della delibera di esclusione; Trib. Bergamo, 17 maggio 1998, in Società, 1999, p. 1243, Cass., 28 maggio 1991, n. 6041, in Foro it., 1991, I, c. 2368 e in Corr. giur., 1991, p. 1235 e in Società, 1991, p. 1359 e Cass., 18 luglio 1990, n. 7337, in Mass. Giur. it., 1990, prevedono la sospensione del termine durante il periodo feriale, applicando l’art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742.




[4] Così Trib. Mistretta, 4 marzo 1998, in Giur. merito, 1998, p. 620.




[5] Si esclude la possibilità di coesistenza dei rimedi cautelari di cui all’art. 700 c.p.c. e all’art. 2527, comma 3°, c.c., anche nel caso che la misura cautelare venga richiesta ante causam (cfr. Trib. Padova, 20 aprile 2000, in Società, 2000, p. 1122; Trib. Monza, 19 ottobre 1999, in Giur. milanese, 2000, p. 208). Contra Trib. Verona, 1° agosto 1996, in Giur. merito, 1997, p. 4, che ammette il ricorso alla tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in quanto di maggiore ampiezza (potendo dare un’anticipazione del risarcimento del danno oltre alla sospensione della delibera) ed efficacia (essendo più rapida, per cui sarebbe possibile agire in via urgente ex art. 700 c.p.c. per il timore che durante il tempo necessario per agire sempre in via urgente ex art. 2527 c.c. il proprio diritto possa subire un pregiudizio imminente ed irreparabile). Cass., 29 gennaio 1993, n. 1164, in Foro it., 1993, I, c. 2206 esclude l’applicabilità dell’art. 700 c.p.c. al posto della tutela ex art. 2527, comma 3°, c.c., in quanto la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c. è residuale e si applica soltanto nel caso in cui difetti una specifica tutela.





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