lavoroprevidenza

mercoledì 18 aprile 2007

LA TUTELA DEL LAVORO FEMMINILE NELL’ORDINAMENTO

dell Avv. Anna Lisa Marino collaboratrice di LavoroPrevidenza.com

La tutela del lavoro femminile nell’ordinamento


Avv. Anna Lisa Marino


1. Il lavoro delle donne: riferimenti normativi e rilevazioni statistiche


Risalgono agli anni trenta, con la legge 653 del 1934, le prime norme a favore delle donne per impedire il lavoro notturno, limitare l’orario di lavoro ed il ricorso ad attività pericolose ed insalubri.


Discostandosi dalla natura meramente protettiva della prima legislazione, la Costituzione sancisce all’art 37 il principio di eguaglianza. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di condizioni, le stesse retribuzioni che spettano all’uomo, e tali condizioni vanno adeguate alla sua fondamentale funzione familiare.


Il diritto alla parità di trattamento economico fra uomo e donna in materia di lavoro è un diritto indisponibile anche se le conseguenze patrimoniali della sua violazione e le correlative pretese da questa derivanti sono soggette a prescrizione estintiva.[1]


Negli anni sessanta le donne ottengono la tutela contro i licenziamenti per causa di matrimonio, la parità salariale nei settori dell’industria e dell’agricoltura, l’ ammissione di parità nell’accesso ai pubblici uffici.


La Corte costituzionale dichiara, infatti, la illegittimità dell’art. 7 della legge 1176 del 17 luglio 1919, che esclude le donne in via generale da una vasta categoria di impieghi pubblici, riservando alla legge la determinazione dei casi eccezionali di ammissione, poiché è in evidente contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione, che non consentono di ritenere le persone di sesso femminile incapaci a ricoprire pubblici uffici.[2]


Soltanto con la legge del 1977 n. 903, intitolata Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, viene riconosciuto a livello legislativo il principio generale di parità di diritti, con la predisposizione di strumenti idonei a contrastare le discriminazioni sul lavoro.


Il principio di parità viene sancito anche a livello giurisprudenziale e le differenziazioni di trattamento tra i sessi, a parità di mansioni, sono ritenute tollerabili soltanto se giustificate e ragionevoli, alla stregua dei principi costituzionali e della legislazione ordinaria.[3]


Negli anni novanta viene costituita la Commissione nazionale per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio e nuovi interventi riguardano le donne: la legge del 1991 n. 125 riconosce azioni positive per la parità uomini donne, la legge del 1992 n. 215 favorisce lo sviluppo e l’accesso all’imprenditoria femminile, il D.Lgs. del 1996 n. 645 tutela la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.


Nel 2001 viene inoltre emanato il Testo Unico per la tutela della maternità e paternità che contiene, tra l’altro, norme dirette a disciplinare i congedi di maternità e la salute della lavoratrice.


Nonostante un quadro normativo che predispone un’ampia tutela, nella realtà sono ancora numerosi gli ostacoli per la realizzazione di effettive condizioni di parità secondo standard normativi. Le donne sono prime negli studi secondo le statistiche, ma tuttora svantaggiate sul lavoro.


L’Annuario statistico italiano 2006, diffuso dall’Istituto Nazionale di Statistica, afferma che l’occupazione femminile è in calo poichè la crescita avvenuta nel 2005 sarebbe dimezzata rispetto al 2004, con un più forte aumento della componente maschile nel Mezzogiorno rispetto alle altri parti d’Italia.[4]


Il Presidente dell’Istituto ha tra l’altro presentato di recente alla Commissione Programmazione Economica e Bilancio del Senato e alla Commissione Bilancio della Camera, un rapporto sulla incentivazione dell’occupazione femminile, dal quale emergono, in particolare, evidenti difficoltà delle donne nella gestione del rapporto di lavoro dopo la nascita di un figlio. In particolare, tra le donne occupate, molte si dichiarano disponibili al passaggio da un regime di orario a tempo pieno ad un regime part-time, per una migliore gestione dei carichi di lavoro e familiari. Tra le donne cha hanno smesso di lavorare, il 17,7 per cento lo ha fatto per la nascita di un figlio. La maternità influisce profondamente sul lavoro. Oggi è notevolmente aumentata sul territorio nazionale la presenza di asili nido, ma non appare ancora sufficiente: dal 1998 al 2005 il numero di bambini che frequenta un nido è cresciuto dall’11 al 38 per cento, per i bambini da zero a due anni, con una attivazione tuttavia molto bassa nel sud (42 per cento) e nelle isole (48 per cento), secondo dati riferiti al 2003. [5]


Le difficoltà sorgono anche per lo sbarramento che ancora esiste in molti ruoli di prestigio in settori professionali che rimangono riservati agli uomini, nonché per le differenze retributive e di trattamento che ancora espongono le donne a pericoli di discriminazioni.


La disparità di retribuzione resta anche a livello europeo alta, come risulta dalla Relazione della Commissione sulla parità donne e uomini 2006. In media le donne guadagnano il 15 per cento in meno degli uomini per ogni ora lavorata. Spesso sono confinate in settori ristretti: più del 40 per cento delle donne lavora nella sanità, nell’istruzione o nella pubblica amministrazione, contro il 20 per cento degli uomini. Il lavoro a tempo parziale è scelto dal 32 per cento delle donne occupate, contro poco più del 7per cento degli uomini. Ciò è dovuto sia al mancato rispetto della legislazione sulla parità retributiva, sia a una serie di ineguaglianze strutturali, quali la segregazione settoriale sul mercato del lavoro, modalità di lavoro diverse, differenze nell’accesso all’istruzione e alla formazione, sistemi di valutazione e di retribuzione discriminanti. Occorre pertanto incentivare un sistema di retribuzione trasparente, ingaggiare anche a livello europeo una lotta agli stereotipi, effettuare una vera e propria revisione della classificazione di talune professioni, oltre ad intensificare gli sforzi per consentire alle donne di conciliare meglio tempi di vita e di lavoro, in conformità agli obiettivi di Barcellona, che prevedono entro il 2010 servizi di custodia per il 33% dei bambini di età compresa da 0 a 3 anni e per il 90% dei bambini di età compresa tra 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico.[6]


L’unione Europea ha già iniziato a compiere comunque nuovi passi sul cammino dell’eguaglianza sostanziale e in occasione dell’anno europeo per le pari opportunità, sulla base di una proposta avanzata l’8 marzo 2005, prenderà vita dal 2007 un Istituto Europeo per l’eguaglianza di genere, con il compito di creare maggiore sensibilità su questo tema, per creare nei cittadini europei una salda cultura dell’eguaglianza.








[1] Cass. civ., Sez. Lav., 18 agosto 1983, n.5391





[2] Corte Costituzionale, sentenza n. 33 del 13 maggio 1960





[3] Corte Costituzionale, sentenza n. 103 del 9 marzo 1989




[4] Annuario Statistico italiano, diffuso il 9 novembre 2006, disponibile online all’indirizzo www.istat.it/dati/catalogo/20061109_00/contenuti.html




[5] Istat “ Misure di incentivazione e facilitazione dell’occupazione femminile” Roma, 12 ottobre 2006




[6] Bruxelles COM(2006)71 definitivo del 22.02.2006





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