del Dott. Giuseppe Ruocco
Nell’intento di favorire l’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, con l’introduzione, della legge n. 30 del 14 febbraio 2003 (c.d. legge Biagi) e del successivo decreto attuativo n. 267 del 10 settembre 2003, si è dato, nel nostro ordinamento, un notevole impulso al processo di flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, così come auspicato, da un lato, dalle istituzioni comunitarie[1], e dall’ordinamento interno[2], dall’altro.
Il legislatore, in alcuni casi, ha dettato nuove regole con riguardo a figure contrattuali già largamente adoperate (come il caso del part-time, o del contratto di somministrazione, che innova il precedente contratto del lavoro interinale, o il contratto di collaborazione a progetto, che sostituisce il precedente contratto di collaborazione coordinata e continuativa); in altri casi, ha delineato tipi contrattuali del tutto sconosciuti al nostro ordinamento (si pensi al lavoro intermittente c.d. job sharing, o a quello a chiamata c.d. job on call). Pertanto, la vastità e profondità dell’intervento normativo ha presentato tipologie contrattuali sempre più complesse, le quali forniscono all’interprete spunti e riflessioni, anche sotto il profilo fiscale, per la varietà di schemi contrattuali, per le modalità di esecuzione della prestazione in ordine al carattere dell’abitualità o dell’occasionalità, per la pluralità dei soggetti coinvolti in un unica prestazione lavorativa, per la remunerazione di compensi per prestazioni lavorative rese in occasioni di contratti volti all’inserimento o al reinserimento nel marcato del lavoro.
L’assetto duale, nell’attuale Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), basato sul reddito di lavoro dipendente (art. 49) e reddito di lavoro autonomo (art.53), pone serie difficoltà di qualificazione dei redditi derivanti dai rapporti di lavoro revisionati o appena introdotti dal decreto legislativo 267 del 2003.
Una prima incertezza è emersa per i redditi di collaborazione coordianta e continuatica , stati trasferiti dalla categoria di redditi di lavoro autonomo a quella dei redditi assimilati al lavoro dipendente[3], con l’entrata in vigore del D.Lgs. n.342 del 2001, collegato alla finanziaria 2000, alla lettere c-bis all’art. 47, primo comma, attualmente corrispondente alla lettere c-bis dell’art. 50, primo comma (come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003 n.344).
Tra le tipologie contrattuali proposte della riforma del mercato del lavoro, un tipo contrattuale di indubbio interesse di collaborazione coordianata e continuativa, è quello definito “lavoro a progetto”, dall’art. 61 del D. Lgs. 267/2003, perché meglio sintetizza l’inadeguatezza del sistema nell’imbrigliare le variegate tipologie di lavoro delle categorie di reddito. Si tenta in questa sede limitare di valorizzare il contenuto intrinseco nella prestazione lavorativa, nonché il grado e le forme di autonomia.
La collaborazione a progetto prevista dall’art. 61 del D.Lgs., sebbene concepita nella riforma Biagi, come fattispecie distintiva e sostitutiva della collaborazione coordinata e continuativa rientra tra “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa … riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”. Pertanto, nel lavoro a progetto emergono: 1) l’elemento personale come elemento prevalente, 2) la necessità dell’assenze di qualunque subordinazione se non nella forma della necessaria riconducibilità della prestazione ad uno o più progetti specifici o programmi o fasi di esso, 3) la necessità di un progetto determinato dal committente nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione, 4) la necessità di un progetto gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato e, 5) indipendentemente dal tempo impiegato.
I commi 2 e 3 prevedono alcune eccezioni per le prestazioni “occasionali” e quelle “protette”. Sotto un primo profilo, il comma 2 dispone l’esclusione delle“prestazioni occasionali”, dall’ambito applicativo della disciplina del lavoro a progetto, qualificate espressamente come quelle svolte nell’ambito dei rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni con il medesimo committente e/o quelle remunerate con un compenso complessivo che non superi, nell’arco di un anno solare, cinque mila euro. Al comma 3, invece, sono prestazioni “protette”quelle sottoposte alle iscrizioni in un albo, quelle rese ai fini istituzionali da associazioni e società sportive dilettantistiche, quelle proprie degli organi amministrativi e di controllo di società e, infine, quelle relative alla partecipazione a colleggi e commissioni.
Tali delimitazioni sono del tutto difformi, dall’ambito dell’art. 50 comma 1, del T.U.I.R., comma 1, lett.c-bis, il quale assimila, ai redditi di lavoro dipendente, le somme e i valori percepiti, in base a rapporti lavorativi di collaborazione coordinata e continuativa 1) senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto; 2) nel quadro di un rapporto unitario e continuativo ; 3) senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita; sempre che l’oggetto della prestazione 4) non rientri nei compiti istituzionali oppure nell’oggetto dell’arte e della professione esercitata dal contribuente.
Emerge, dalla lettura delle due norme una nozione fiscale di collaborazione coordinata e continuativa diversa da quella fiscale. Quindi, sorge il problema di coordinamento fra la definizione giuslavoristica della collaborazione a progetto (art. 61 della 267 del 2003) con la definizione fiscale prevista dall’ art. 50 lett. c-bis del T.U.I.R.. La differenza fra le due norme si scorge dalle differenti finalità che le norme si prefiggono. La disciplina delle collaborazioni a progetto tende a ricondurre i rapporti di collaborazione nell’ambito del lavoro autonomo al fine di evitare un utilizzo elusivo delle tutele del lavoratore. La disciplina fiscale è volta, invece, ad assicurare ai percettori di redditi da collaborazioni coordinate e continuative l’applicazione del più favorevole regime impositivo previsto per i redditi di lavoro dipendente[4].
Dal confronto delle due disposizioni emerge un’articolazione dei proventi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative riconducibili a seconda dei casi alle categoria dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, o alle categorie di lavoro dipendente tour court e a quelli di lavoro autonomo. Pertanto, si avranno proventi qualificati come redditi assimilati ai redditi di lavoro dipendente, in presenza: a) di un lavoro in cui sia assente un progetto o un programma e con un’ autonomia gestionale limitata; b) di un lavoro a progetto o di un lavoro occasionale purché inferiore a trenta giorni ma con compensi superiori a 5 mila euro, con un autonomia gestionale limitata. Si avranno proventi qualificati come redditi di lavoro dipendenti quando la prestazione rientra nei compiti del prestatore già lavoratore subordinato. Infine, saremo in presenza di redditi da lavoro autonomo: a) quando, ci troviamo in presenza di proventi da lavoro a progetto, di lavori occasionali nei quali sia ampia l’autonomia gestionale e di risultati del prestatore; b) quando, ci troviamo in presenza di un lavoro in cui sia assente un progetto o un programma ma ampia l’autonomia gestionale e di risultato; c) quando, ci troviamo in presenza di un lavoro a progetto il cui oggetto coincida con quello delle attività per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione ad un albo professionale, in presenza di lavori con il superamento dei limiti temporali e remunerativi fissati; d) quando ci troviamo in presenza di un lavoro a progetto con oggetto corrispondente ad un’arte o professione “non protetta” nei limiti temporali e remunerativi.
Infine, poiché, è possibile anche il verificarsi di proventi da collaborazioni a progetto con ampio grado di autonomia e occasionali, tali possano essere riconducibili alla categoria di redditi diversi, previsti all’art.67 del T.U.I.R., dal momento che la disposizione comprende i proventi da attività da lavoro autonomo occasionale.
Il criterio di analisi, qui proposto, tende a prescindere da un inquadramento casistico delle varie fattispecie contrattuali, poiché, appare irrilevante dal punto di vista fiscale qualificare il tipologie contrattuali piuttosto sono le modalità della prestazione correlate al grado della forma di autonomia a determinare l’ambito applicativo della categoria di reddito, se dipendente o autonoma.
Bibliografia
F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P.Tosi, T. Treu, Diritto del lavoro, il rapporto di lavoro subordinato, edizione 2002;
A. Fantozzi, Corso di Diritto tributario, Utet, ed 2004;
R. Lupi, Diritto tributario, parte speciale, Giuffrè Editore, ed 2006;
A. Uricchio, Flessibilità del lavoro e imposizione tributario, Cacucci Editore, 2004;
V. Ficari, “Rilessi fiscali della riforma del mercato del lavoro” in Rass. Trib.5/2004;
V.Ficari, “Le nuove forme contrattuali del mercato del lavoro” in Corriere tributario, 29/2004;
G. Stancati “Profili tributari del Lavoro a progetto” in Corriere tributario, 15/2004;
M.R. Gheida, Il sole 24 ore del 19/02/2004;
A.Casotti, Il sole 24 ore del 24/02/2004;
[1] Si vedano i documenti elaborati nell’ambito del Consiglio Europeo di Lisbona (2000) e nel successivo Consiglio Europeo di Stoccolma (2001) e le raccomandazioni rivolte nell’ambito del c.d. processo di Lussemburgo.
[2] Si vedano, al riguardo, il Libro Bianco del mercato del Lavoro, redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Marco Biagi e da Maurizio Sacconi , presentato il 3 ottobre del 2001 e il Patto per l’Italia, sottoscritto nel luglio del 2002 dal Governo con 39 organizzazioni di rappresentanza del movimento sindacale, che delinea gli obiettivi da perseguire: organizzazioone del mercato del lavoro moderno, trasparente ed efficace emersione del lavoro sommerso, incentivazione della formazione, riduzione della pressione fiscale sui redditi medio bassi.
[3] Per effetto della legge delega n.80 del 2003 all’art.3 , comma primo, lett. C n.8 , la disciplina dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, espressamente definiti, è stata nuovamente trasposta nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo. La norma non è ancora attuata.
[4] Circ. Assonime n.4 del 18/02/2004