Il dipendente pubblico che svolge attività riconducibile a funzioni e poteri connessi alla propria qualifica e all’ufficio ricoperto, corrispondente a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio – quale quella di componente della commissione giudicatrice di un appalto-concorso, delegato da parte di un segretario comunale – non ha diritto ad alcun compenso specifico per tale funzione.
Lo ha stabilito il TAR per
Il Collegio muove la propria decisione dall’assunto dell’art. 31 del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347 – ribadito inderogabile da parte della giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5163) – secondo cui, “è fatto divieto di corrispondere ai dipendenti, oltre a quanto specificatamente previsto dal presente accordo, ulteriori indennità, proventi o compensi, dovuti a qualsiasi titolo in connessione con i compiti istituzionali attribuiti a ciascun dipendente”.
Orbene, per l’Organo Giudicante, l’attività svolta dal ricorrente rientra pienamente in tale norma (in base al disposto dell’art. 52, comma
Riguardo la delibera consiliare che prevedeva il pagamento dell’attività di componente della commissione giudicatrice dell’appalto-concorso, conclude l’Alto Consesso, la stessa può essere ritenuta applicabile unicamente ai componenti delle commissioni la cui attività non trovi titolo nella veste da loro assunta nell’ambito dell’organizzazione comunale, se così non fosse, dovrebbe essere disapplicata nella parte confliggente con il superiore principio di onnicomprensività.
Gesuele Bellini
REPUBBLICA ITALIANA N. REG. DEC
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N.3271/2000REG.RIC.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA
CAMPANIA - SALERNO
Seconda Sezione
composto dai Signori:
Dott. Luigi Antonio ESPOSITO – Presidente
Dott. Sabato GUADAGNO – Consigliere
Dott. Ezio FEDULLO – Primo referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3271/20002005, proposto da Rainone Domenico, rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Franco, legalmente domiciliato presso
contro
il Comune di Sarno, in persona del Sindaco p.t.;
per l’accertamento
del diritto del ricorrente alla percezione delle competenze quale componente della commissione giudicatrice dell’appalto-concorso per l’affidamento dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, indetto con deliberazione di G.M. n. 1520 del 22.12.1989 ed aggiudicato con deliberazione del C.C. n. 10 del 14.3.1992;
e per la condanna
dell’amministrazione intimata al pagamento della somma di £ 8.124.050, oltre interessi;
Visto il ricorso ed i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza del 25 Gennaio 2007 il dott. Ezio FEDULLO;
Uditi i difensori presenti come da verbale di udienza;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorrente deduce di essere stato nominato, con delibera di G.M. n. 311 del 27.3.1991 ed in virtù di delega del Segretario generale del Comune di Sarno, componente della commissione giudicatrice dell’appalto-concorso per l’affidamento dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani indetto con deliberazione di G.M. n. 1520 del 22.12.1989 ed aggiudicato con deliberazione consiliare n. 10 del 14.3.1992.
Egli evidenzia altresì che
Egli lamenta tuttavia che l’amministrazione comunale intimata non ha provveduto, nonostante la diffida all’uopo indirizzatale, al pagamento delle predette spettanze: agisce quindi, con la presente azione di accertamento e condanna, al fine di conseguire il soddisfacimento della relativa pretesa remunerativa.
Il ricorso, all’esito dell’odierna udienza di discussione, è stato quindi trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorrente reclama, con il ricorso in esame, il pagamento delle competenze che asserisce spettargli a titolo remunerativo dell’attività posta in essere quale componente della commissione giudicatrice per l’affidamento dell’appalto-concorso dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani indetto con deliberazione di G.M. n. 1520 del 22.12.1989.
Evoca essenzialmente, a fondamento della pretesa, l’impegno assunto dall’amministrazione comunale intimata, con la delibera di Giunta n. 179 del 21.2.1991, di remunerare la suddetta attività conformemente ai criteri sanciti con la delibera consiliare n. 86 del 26.11.1987.
Tanto premesso, deve rilevarsi l’infondatezza della domanda.
Ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, infatti, “è fatto divieto di corrispondere ai dipendenti, oltre a quanto specificatamente previsto dal presente accordo, ulteriori indennità, proventi o compensi, dovuti a qualsiasi titolo in connessione con i compiti istituzionali attribuiti a ciascun dipendente”.
L’inderogabilità del principio così delineato è stata a più riprese riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha avuto modo di affermare che “il divieto di percepire compensi, stabilito per i pubblici dipendenti assoggettati al regime dell’onnicomprensività del trattamento retributivo, opera inderogabilmente in tutti i casi in cui l’attività svolta dall’impiegato sia riconducibile a funzioni e poteri connessi alla di lui qualifica e all’ufficio ricoperto, corrispondenti a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio, fermo restando che siffatto principio non esclude che gli stessi dipendenti possano espletare incarichi retribuiti a titolo professionale dall’amministrazione, ove, però, ne ricorrano i presupposti legali e sempre che non costituiscano comunque espletamento di compiti d’istituto” ( cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5163).
Ebbene, non può negarsi che il compenso reclamato dal ricorrente ricada entro l’ambito applicativo del divieto de quo.
Deve infatti precisarsi che egli ha agito, nell’ambito della commissione giudicatrice del menzionato appalto-concorso, avvalendosi della delega all’uopo conferitagli, con atto prot. n. 8397 del 27.3.1991, dal Segretario Generale del Comune intimato: ne consegue che la retribuibilità dell’attività posta da lui conseguentemente in essere va verificata con riferimento alla posizione del soggetto delegante, dovendo affermarsi l’inidoneità della delega ad incidere in senso modificativo sul regime giuridico, non esclusi i relativi risvolti economici, dell’attività stessa.
Assume rilievo centrale, nel compimento di tale verifica, l’art. 52, comma
A tali compiti è riconducibile, ad avviso del Tribunale, l’attività di componente della commissione di appalto-concorso espletata (sulla scorta della delega ricevuta) dal ricorrente: in particolare, il ruolo di componente della medesima commissione non può non essere equiparato ai fini del discorso che si sta svolgendo, come un quid minoris, a quello di suo presidente.
Se così è, non resta che dare atto della riconducibilità dell’attività oggetto della pretesa remunerativa del ricorrente all’ambito dei compiti istituzionalmente attribuiti al soggetto delegante: ciò che esclude, alla luce dei rilievi dianzi svolti, la sua autonoma retribuibilità.
Né varrebbe richiamare il contenuto della deliberazione consiliare n. 86 del 26.11.1987, laddove individua i criteri per il calcolo delle competenze spettanti ai componenti (ed ai segretari) delle commissioni per l’affidamento degli appalti-concorso: la citata disposizione, infatti, non può che essere oggetto di una interpretazione che la armonizzi con il richiamato principio di onnicomprensività, ciò che induce a ritenerla applicabile ai soli componenti delle commissioni la cui attività non trovi titolo nella veste da loro assunta nell’ambito dell’organizzazione comunale.
Del resto, ove così non fosse, non resterebbe che procedere alla disapplicazione in parte qua della citata delibera, siccome confliggente con il superiore principio di onnicomprensività: operazione legittimata dal carattere esclusivo della giurisdizione esercitata, nel presente giudizio, dal giudice adito (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35).
Ad identica conclusione deve pervenirsi con riguardo alla deliberazione di Giunta n. 179 del 21.2.1991, contenendo essa un mero rinvio alla citata deliberazione consiliare, sì da risentire delle limitazioni applicative, dianzi evidenziati, ad essa correlate.
La domanda attorea, in conclusione, deve essere respinta siccome infondata.
Deve solo osservarsi, per concludere, che qualora l’attività posta in essere dal ricorrente non fosse per ipotesi riconducibile alla qualifica da lui (rectius, dal soggetto delegante) assunta nell’apparato comunale, sì che il compito di porla in essere dovesse ritenersi a lui attribuito a titolo personale, non resterebbe che riconoscere l’estraneità della domanda de qua alla giurisdizione amministrativa: verrebbe infatti a configurarsi, secondo tale prospettiva, una controversia avente ad oggetto una pretesa retributiva sganciata dal rapporto di lavoro, e quindi avulsa dalla materia cui resta circoscritta (nel rispetto del limite temporale di cui all’art. 69, comma 7, d.Lgs 30 marzo 2001, n. 165) la potestà di cognizione, in sede esclusiva, del giudice adito.
Nulla sulle spese.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Salerno, Seconda Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3271/2000, lo respinge.
Nulla spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella Camera di Consiglio del 25 Gennaio 2007.
Dott. Luigi Antonio ESPOSITO – Presidente
Dott. Ezio FEDULLO - Estensore