La permanenza nel territorio italiano del cittadino straniero, in caso di mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto, costituisce un valido presupposto per l’adozione del provvedimento di espulsione.
Questa la decisione del Consiglio di Stato, sezione VI, nella sentenza del 20 febbraio 2007, n. 905.
La vicenda vede coinvolto un cittadino extracomunitario, che ha impugnato il decreto di espulsione di cui era stato colpito, per vizio di motivazione.
Infatti, il ricorrente, soccombente anche in primo grado, aveva portato tra i motivi di doglianza la genericità del provvedimento in cui si limitava ad indicare le disposizioni di legge in materia di ingresso e di soggiorno, senza specificare in alcun modo indicare le norme ritenute violate.
Il Collegio, prima di entrare nel merito della questione, elabora un’interessante ricostruzione dei principi cui si è ispirato il legislatore nel disciplinare l’ingresso e il soggiorno dei cittadini extracomunitari in Italia, in particolare con la legge 6 marzo 1998 n. 40.
Fa rilevare, innanzitutto come il legislatore italiano, conformerete a tutti i Paesi democratici, abbia scelto una strada intermedia tra l’apertura incondizionata al flusso migratorio e la chiusura totale, che è quella del flusso regolato “tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa ed allo studio”, con la conseguenza di espulsione per quelli che non sono in regola, sia in relazione all’ingresso, sia al soggiorno in Italia.
Oltre al predetto limite - interno alla stessa norma - i giudici di Palazzo Spada, fanno rilevare l’esistenza di altri due limiti esterni, per cui il legislatore ha dovuto effettuare il bilanciamento dei vari interessi in gioco, graduando le varie situazioni.
“Uno è dato dalle ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali valori, uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi regolarmente in Italia.
L’altro limite, questa volta di segno opposto, è dato da particolari esigenze umanitarie, che consentono una deroga alle norme sull’ingresso; si tratta, infatti, di dare priorità ai principi dei diritti dell’uomo fatti propri dalla Costituzione ed introdotti nell’ordinamento italiano con la ratifica di numerosi accordi internazionali” (deroghe per motivi familiari, dei minori, per situazioni di difficoltà e per persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche con la concessione dello status di rifugiato politico).
Fatta questa breve illustrazione, ritornando alla fattispecie in esame, il Consiglio di Stato, atteso che il permesso di soggiorno, del cittadino straniero interessato non era stato rinnovato dopo la sua scadenza, conclude che tale presupposto costituisce una chiara violazione delle disposizioni di legge regolanti la permanenza dello straniero nel territorio nazionale. Inoltre, “l’asserita “violazione delle disposizioni di ingresso e soggiorno” nel territorio dello Stato italiano nonché l’indicazione, in particolare, della disposizione di legge di cui all’art. 7, comma 2, legge n. 39/1990, la quale espressamente prevede che “sono espulsi dal territorio nazionale gli stranieri che violino le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno….”, costituiscono una sufficiente motivazione del provvedimento di espulsione”.
Gesuele Bellini
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 905/07 Reg.Dec. N. 6359 Reg.Ric. ANNO 2002 |
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 6359/2002, proposto da:
- El Gabbas Ahmed, rappresentato e difeso dagli avv.ti Michele Cela ed Ernesto Torres e con questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Sante Foresta, in via Tacito n. 23, Roma;
c o n t r o
- il Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma;
- la Prefettura di Foggia, in persona del Prefetto in carica, non costituita in giudizio;
per annullamento e/o riforma, previa sospensione dell’efficacia,
della sentenza del T.a.r. Puglia, Bari, sezione I, n. 2319/2002, resa inter partes e concernente il decreto 10 dicembre 1993 del Prefetto di Foggia, intimante l’espulsione dell’interessato dal territorio nazionale.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati.
Visto l atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato.
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.
Visti gli atti tutti della causa.
Relatore, alla pubblica udienza del 12 dicembre 2006, il Consigliere Aldo SCOLA.
Udito, per la p.a. appellata, l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe.
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
Ahmed El Gabbas ricorreva al T.a.r. Puglia per l’annullamento del provvedimento in epigrafe indicato, con cui il Prefetto della Provincia di Foggia ne aveva disposto l’espulsione dal territorio dello Stato italiano per violazione delle norme d’ingresso e soggiorno di extracomunitari.
In attuazione del decreto del Prefetto di Foggia del 10 dicembre 1993, il Questore della stessa Provincia, con atto di pari data, aveva intimato al ricorrente di lasciare il territorio italiano entro il termine ivi indicato.
Nel 1987 egli aveva ottenuto il permesso di soggiorno quale esercente l’attività di venditore ambulante di articoli di biancheria, di aver presentato istanza di iscrizione nel registro degli esercenti il commercio presso la Camera di commercio di Foggia, e di aver ottenuto la partita I.V.A..
Egli era stato tratto in arresto dai Carabinieri di Foggia a causa di una diverbio insorto con i suoi parenti ed era stato sottoposto a processo per direttissima, a conclusione del quale era stato condannato a mesi due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
L’interessato prospettava le seguenti censure: violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui alla legge 28.2.1990 n. 39 ed eccesso di potere, atteso che la p.a. intimata non avrebbe motivato in modo sufficiente ed adeguato il decreto di espulsione, essendosi limitata ad indicare in detto provvedimento le disposizioni di legge in materia di ingresso e di soggiorno, senza in alcun modo specificamente indicare le norme ritenute violate; inoltre, il suindicato provvedimento di espulsione sarebbe stato adottato in carenza dei necessari presupposti di legge, di cui all’art. 4, comma 12, ed all’art. 7, legge n. 39/1990, prescritti ai fini dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato italiano.
Si costituiva in giudizio la Prefettura della Provincia di Foggia, che resisteva al ricorso, poi respinto (dopo l’accoglimento della relativa domanda cautelare con ordinanza n. 117/1994) dai primi giudici con sentenza prontamente impugnata dall’interessato soccombente per vizio di motivazione.
La p.a. appellata si costituiva in giudizio e resisteva al gravame.
All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo il rigetto di una domanda cautelare (con ordinanza n. 3619/2002, della IV sezione di questo Consiglio di Stato).
D I R I T T O
Prima di affrontare il merito del presente ricorso, appare opportuno delineare brevemente i principi cui si è ispirato il legislatore nel disciplinare l’ingresso e il soggiorno dei cittadini extracomunitari in Italia, in particolare con la legge 6 marzo 1998 n. 40.
Va, innanzitutto, rilevato che la scelta è stata quella di individuare una strada intermedia tra l’apertura incondizionata al flusso migratorio e la chiusura totale, sulla scia di quanto è avvenuto nel corso della storia in quasi tutti i Paesi democratici.
La normativa italiana si ispira conseguentemente al principio del cosiddetto flusso regolato, tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa ed allo studio.
Quale corollario alla decisione di porre un limite all’ingresso dei cittadini extracomunitari, si pone l’obbligo di espulsione per quelli che non sono in regola, sia in relazione all’ingresso, sia al soggiorno.
Due sono i limiti esterni all’impostazione sopra esposta: uno è dato dalle ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali valori, uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi regolarmente in Italia.
L’altro limite, questa volta di segno opposto, è dato da particolari esigenze umanitarie, che consentono una deroga alle norme sull’ingresso; si tratta, infatti, di dare priorità ai principii dei diritti dell’uomo fatti propri dalla Costituzione ed introdotti nell’ordinamento italiano con la ratifica di numerosi accordi internazionali.
Viene in rilievo, in particolare, la tutela della famiglia e dei minori (donde le deroghe all’ingresso per favorire il ricongiungimento familiare), di coloro che si trovano in particolari situazioni di difficoltà (per cui si concede l’asilo per straordinari motivi umanitari, come è avvenuto per gli sfollati dalla ex Jugoslavia), fino a giungere, in caso di persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche, alla concessione dello status di rifugiato politico.
E’ evidente quindi che, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353), le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude.
Il bilanciamento dei vari interessi in gioco è stato effettuato dal legislatore, il quale ha graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altre ipotesi, ha ammesso una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella valutazione e ponderazione dei fatti.
Naturalmente, anche nell’applicazione della normativa sui cittadini extracomunitari trovano ingresso i principi generali dell’ordinamento, in specie quelli regolanti l’attività della p.a., tra cui basterà menzionare quello relativo all’obbligo della motivazione dell’atto amministrativo (più attenuato qualora si tratti di un atto dovuto, più stringente qualora la discrezionalità dell’amministrazione sia più estesa), quello dell’economicità dell’azione amministrativa, per cui determinate irregolarità si considerano sanate qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, ed infine la potestà dell’amministrazione di revocare in ogni tempo un atto amministrativo ad effetti permanenti, qualora vengano meno i presupposti per la sua concessione.
L’art. 7, comma 4, legge n. 39/1990, espressamente prevede che l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato italiano sia disposta con motivato decreto.
In proposito, l’asserita “violazione delle disposizioni di ingresso e soggiorno” nel territorio dello Stato italiano nonché l’indicazione, in particolare, della disposizione di legge di cui all’art. 7, comma 2, legge n. 39/1990, la quale espressamente prevede che “sono espulsi dal territorio nazionale gli stranieri che violino le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno….”, costituiscono una sufficiente motivazione del provvedimento di espulsione 10 dicembre 1993, nel quale risultano indicati i motivi e cioè “la violazione delle disposizioni in materia di ingresso e di soggiorno” e le norme che hanno condotto all’emanazione di un provvedimento a seguito degli accertati presupposti di legge.
Infondati appaiono, altresì, gli ulteriori profili di censura secondo i quali l’impugnato provvedimento di espulsione sarebbe stato adottato in carenza dei necessari presupposti di diritto, nonché trascritto in una lingua non conosciuta dal ricorrente, che afferma di non aver violato alcuna disposizione in materia di ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato italiano, avendo ottenuto un regolare permesso di soggiorno nell’anno 1987, nonché l’iscrizione alla Camera di commercio di Foggia e l’apertura della debita partita I.V.A..
Il permesso di soggiorno, ai sensi dell’art. 4, comma 4, citata legge n. 39/1990, ha durata temporale limitata e, pertanto, la permanenza del cittadino straniero nel territorio dello Stato italiano, nel caso di mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto, costituisce una chiara violazione delle disposizioni di legge regolanti la permanenza dello straniero nel territorio nazionale e, dunque, il legittimo presupposto previsto ex art. 7, comma 2, suindicata legge n. 39/1990, per l’adozione del provvedimento di espulsione dal territorio italiano.
Orbene, dagli atti depositati dalla p.a. in data 18 gennaio 2002, risulta che il permesso di soggiorno era stato rilasciato in favore del ricorrente in data 4 febbraio 1987 per l’iscrizione nelle liste di collocamento e non per l’esercizio di attività commerciale e che l’istanza di rinnovo proposta da Ahmed El Gabbas era stata motivatamente respinta con provvedimento del 12 febbraio 1992.
Infine, a norma dell’art. 5, legge n. 39/1990, l’amministrazione ha legittimamente provveduto ad emanare nonché a notificare al ricorrente il provvedimento di espulsione, in epigrafe indicato, anche in lingua francese, avendo peraltro ivi espressamente rappresentato le relative modalità di impugnazione richieste dalla citata disposizione di legge: il fatto che l’interessato abbia potuto adeguatamente difendersene in sede giurisdizionale costituisce la miglior prova della piena idoneità dell’adottata strumentazione giuridica.
L’appello va, dunque, respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del giudizio di seconda istanza possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti costituite, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e delle peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta,
- respinge l’appello;
- compensa spese ed onorari del giudizio di secondo grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2006, con l intervento dei signori magistrati:
Claudio VARRONE Presidente
Sabino LUCE Consigliere
G. Paolo CIRILLO Consigliere
Giuseppe ROMEO Consigliere
Aldo SCOLA Consigliere rel. est.
Presidente
f.to Claudio Varrone
Consigliere Segretario
f.to Aldo Scola f.to Glauco Simonini
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..................20/02/2007...................
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria