E’ quanto afferma il Consiglio di Stato, sez. sesta, nella sentenza 12 febbraio 2007, n. 536 che ha accolto l’appello di un agente scelto della polizia di Stato, avverso la decisione del giudice di primo grado, con cui si era visto respingere la richiesta di annullamento della sanzione disciplinare della destituzione, inflittagli dal Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’Interno.
Il ricorrente era stato condannato, su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione e £. 800.000 di multa per i reati di truffa, simulazione di reato e falso, materiale ed ideologico, commessi in concorso con terzi ed in occasioni connesse alla sua attività nell’ambito della Polizia di Stato con comportamenti truffaldini in danni di assicurazioni, sulla base di false denunce di furti di autovetture o di incidenti stradali.
Il Collegio, nell’esaminare il merito della causa, ha ritenuto il comportamento del ricorrente meritevole di sanzione, in quanto le vicende in cui era coinvolto, in quanto connesse alla sua attività istituzionale, incrinano pesantemente la fiducia dell’amministrazione nel senso dell’onore dell’agente, e nella sua capacità di non abusare della propria posizione in seno all’organizzazione della Pubblica Sicurezza; tuttavia, non ha condiviso l’orientamento della Pubblica Amministrazione nell’iter logico seguito nell’irrogare la sanzione.
Al riguardo, l’Alto Consesso ha ravvisato nel comportamento dell’Amministrazione un elemento di illogicità, evidenziando il fatto che altri addetti alla Polizia di Stato, coinvolti nella medesima vicenda, non hanno subito analoghe sanzioni, invece la stessa P.A. avrebbe dovuto sanzionare l’interessato tenendo conto dell’obbligo di punire equamente tutti i responsabili, proporzionalmente con le rispettive colpe.
Ulteriore elemento di illogicità, ravvisato dal Consiglio di Stato, lesivo del criterio di proporzionalità nel graduare le sanzioni applicate nei confronti dei vari soggetti implicati, è stato il fatto che mentre il ricorrente, col grado di agente scelto, è stato allontanato definitivamente dal servizio, il suo superiore gerarchico, risultato compartecipe ed anzi ispiratore di uno dei comportamenti ascritti allo stesso, sia rimasto in servizio ed abbia ottenuto anche degli avanzamenti di carriera.
Gesuele Bellini
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 536/07 Reg.Dec. N.4806 Reg.Ric. ANNO 2002 |
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4806/2002, proposto dal sig. Pasqualino Salvatore Celano rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Morero ed elettivamente domiciliato in Roma, via Silla n. 7, presso l’avv. Pietro Paolo Mennea;
contro
Ministero dell’Interno in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliato;
Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo dell’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sezione I, n. 213/2002 in data 31 gennaio 2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, per la pubblica udienza del 21 novembre 2006, il Consigliere Manfredo Atzeni ed uditi, altresì, i legali di parte, come da separato verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, il sig. Pasqualino Salvatore Celano impugnava la decisione n. 333-D/38341 in data 22/6/1998 con la quale il Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’Interno, gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della destituzione, deducendo cinque mezzi di gravame e chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno respinto il ricorso.
Avverso la predetta sentenza interpone appello l’originario ricorrente, contestando gli argomenti posti a fondamento del decisum, sostenendo l’insufficienza e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, riproponendo le censure disattese in primo grado e chiedendo l’annullamento, previa sospensione, della sentenza appellata.
Con ordinanza n.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato chiedendo, con due memorie difensive, il rigetto del ricorso.
All’udienza del 21 novembre 2006 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato, nei sensi di cui avanti.
L’odierno ricorrente, agente scelto della Polizia di Stato, è stato destituito dal servizio, in esito al relativo procedimento disciplinare, essendo stata applicata nei suoi confronti, su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di anni uno e mesi otto di reclusione e £. 800.000 di multa per i reati di truffa, simulazione di reato e falso, materiale ed ideologico, commessi in concorso con terzi ed in occasioni connesse alla sua attività nell’ambito della Polizia di Stato con comportamenti truffaldini in danni di assicurazioni, sulla base di false denunce di furti di autovetture o di incidenti stradali.
Le censure dedotte dal ricorrente in primo grado e riproposte in appello, riassunte alle lettere a) – c) ed e) della sentenza di prime cure, non sono fondate, mentre devono essere condivise le considerazioni contenute nella sentenza appellata.
Occorre solo sottolineare come l’appellante deduca, quale unico concreto elemento sulla base del quale affermare la sua estraneità quanto meno ad alcuni dei fatti contestati, il disconoscimento della sua firma su un modulo di constatazione amichevole di incidente stradale, fondato esclusivamente sul fatto che la sottoscrizione non reca il secondo nome.
Tale elemento appare, invero, assolutamente secondario rispetto agli elementi a carico dell’incolpato, riassunti nella memoria del funzionario istruttore, le cui risultanze giustamente sono state giudicate condivisibili nella sentenza di primo grado.
Una volta confermati i fatti sui quali si basa l’accusa, deve convenirsi con l’Amministrazione sulla valutazione secondo la quale degli episodi di truffa e di falso, materiale ed ideologico, commessi da un agente della Polizia di Stato, in vicende connesse alla sua attività istituzionale, incrinano pesantemente la fiducia dell’amministrazione nel senso dell’onore dell’agente, e nella sua capacità di non abusare della propria posizione in seno all’organizzazione della Pubblica Sicurezza.
Giustamente, quindi, il comportamento del ricorrente è stato giudicato meritevole di sanzione.
Non può, invece, essere condiviso l’orientamento dell’amministrazione e della sentenza appellata in relazione all’individuazione della sanzione da applicare.
Deve essere premesso che
Invero, la gravità dei fatti giustifica ampiamente, e rende anzi doverosa, l’applicazione di una sanzione disciplinare severa.
Deve, invece, essere contestata la logica seguita dall’amministrazione nell’irrogare al ricorrente la sanzione massima nonostante i fatti che hanno portato alla condanna ed alla destituzione del ricorrente abbiano coinvolto altri addetti alla Polizia di Stato, che non hanno subito analoghe sanzioni.
Ritiene, infatti, il collegio che il ragionamento in base al quale viene individuata la sanzione da applicare nei confronti di un dipendente pubblico, colpevole di illeciti disciplinari, ogni volta in cui la condotta di quest’ultimo si intreccia con quelle di altri dipendenti dell’amministrazione debba tenere conto anche necessità di punire equamente tutti i responsabili, proporzionalmente con le rispettive colpe.
Nel caso di specie uno dei dipendenti della Polizia di Stato, pari grado del ricorrente, giudicato corresponsabile in uno degli episodi per i quali egli è stato destituito, è stato sospeso dal servizio per sei mesi.
La diversità fra le posizioni dei due agenti riscontrata dall’amministrazione consiste nel fatto che l’agente in questione è stato condannato per un solo episodio, ed ha riportato una condanna inferiore (un anno e quattro mesi, anziché un anno ed otto mesi come il ricorrente; entrambi sono stati poi condannati a pagare £. 800.000 di multa).
Ritiene il collegio che una differenza marginale fra i comportamenti ascritti ai due poliziotti e la differenza ancora più marginale fra le condanne riportate non giustifichi la sproporzione evidente fra la sospensione dal servizio a termine, anche se disposta per la durata massima, e l’espulsione definitiva dal posto di lavoro.
Ulteriore elemento di illogicità deve poi essere riscontrato in relazione alla posizione del superiore gerarchico del ricorrente, in favore del quale, ed anzi dietro sua sollecitazione, sarebbe stato commesso uno dei reati ascritti al ricorrente.
Il suddetto funzionario non risulta avere subito, allo stato, alcuna sanzione disciplinare.
L’amministrazione sostiene che ciò è dovuto al fatto che il procedimento penale riguardante il funzionario in questione non è ancora terminato, in quanto l’incolpato non ha ritenuto di scegliere la strada del cosiddetto patteggiamento.
La circostanza è rilevante.
Peraltro, deve essere osservato anche come a seguito dell’impostazione seguita dall’amministrazione il ricorrente, che ricopre il grado di agente scelto, sia stato allontanato definitivamente dal servizio mentre il suo superiore il quale, nella ricostruzione dell’amministrazione, è compartecipe ed anzi ispiratore di uno dei comportamenti ascritti al ricorrente stesso, sia ancora in servizio, a quattordici anni di distanza dall’epoca dei fatti, ed abbia ottenuto anche degli avanzamenti di carriera (il fatto, riferito dall’appellante, non è contestato).
Sulla base di tale circostanze, afferma il collegio che l’amministrazione non ha seguito un corretto criterio di proporzionalità nel graduare le sanzioni da applicare nei confronti dei vari soggetti implicati nei fatti di cui si discute, in relazione alle rispettive responsabilità.
L’appello deve, in conclusione, essere accolto in parte e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado accolto, nei termini di cui sopra, il ricorso di primo grado ed annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui, una volta accertata la responsabilità disciplinare dell’odierno ricorrente, determina la sanzione da applicare nei suoi confronti, in relazione alle conseguenze della vicenda sul piano disciplinare per gli altri dipendenti della Polizia di Stato coinvolti, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
La complessità della vicenda e la sola parziale fondatezza dei motivi d’appello giustifica la compensazione integrale di spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza gravata annulla, nei sensi di cui in motivazione, il provvedimento impugnato in primo grado.
Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l intervento dei Signori:
Giorgio Giovannini Presidente
Sabino Luce Consigliere
Carmine Volpe Consigliere
Gianpiero Paolo Cirillo Consigliere
Manfredo Atzeni Consigliere Est.
Presidente
f.to Giorgio Giovannini
Consigliere Segretario
f.to Manfredo Atzeni f.to Vittorio Zoffoli
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..................12/02/2007...................
(Art.
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteri