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Il silenzio quale pensiero, ovvero la tirannia della comunicazione
Prof. Sergio Sabetta
Nella comunicazione moderna vi è qualcosa della tirannide in cui prevale l’arbitrio di una informazione continua, ridondante ed arbitraria nei fini.
Riprendendo il concetto di Platone per cui la tirannide è lo sbocco dell’eccessiva libertà in cui cadono talora le democrazie a seguito del fuggire degli uomini come fosse servitù il governo di uomini liberi, fino a trovarsi sotto il dispotismo di servi e in cambio di quell’eccessiva e inopportuna libertà essere costretti a vestire la tunica dello schiavo soggiacendo alla più triste ed amara delle servitù, si può affermare che la comunicazione senza limiti “portato” di una informazione non filtrata per l’eccesso della stessa, in ambiti di cui non si conoscono i termini della libertà, può trasformarsi in tirannide.
Aristotele nell’affermare che la tirannide raccoglie in sé anche i mali della democrazia e della oligarchia, precisa che dell’oligarchia prende il fine della ricchezza, condizione unica per mantenere potere e lusso, nonché la sfiducia nel popolo, mentre della democrazia prende la lotta contro i maggiorenti fino alla loro rovina.
Questo totalitarismo comunicativo difficile da filtrare che schiaccia le coscienze in un frastuono continuo, isolando l’uomo dietro una apparenza di comunicazione, liberandolo ma ponendolo contemporaneamente in un apparente arbitrio di se stesso, determinato dalla inconoscenza del proprio animo, delle proprie pulsioni e dalla incapacità di dominarle, preso dalla frenesia di una competizione continua voluta, esaltata ma di fatto subita, porta alla necessità del recupero del silenzio quale valore sociale.
La comunicazione continua sovrapposta al rumore e alla frenesia del moto continuo non permette la riflessione, quale ricchezza dell’animo e questo ancor più egli ambienti lavorativi, in cui si insonorizza, ma non dal cicalio.
Si ha il fenomeno della rumorizzazione degli spazi vitali, nasce pertanto l’esigenza alla tranquillità nel senso generale di un benessere globale, fisico, psichico e sociale, ovvero il diritto al silenzio.
La parola su cui si fonda la società moderna quale veicolo del pensiero può rivelarsi vuota non portante di significato e quindi premessa di un ragionamento, ma ostacolo allo svolgersi del pensiero, elemento di disturbo, inganno alla comunicabilità stessa. La volontà di non dire crea imbarazzo essendo interpretata come volontà di nascondere una conflittualità implicita o all’opposto come vuoto interiore, sorge l’esigenza nella società occidentale di parlare, connettersi verbalmente alla rete sociale perdendo di fatto il filo interiore del pensiero, il silenzio quale filtro del rindondante. Ma il silenzio stesso è mezzo di comunicazione sofisticato nell’interloquire e difficile nell’ascolto.
Il silenzio quale igiene mentale e non patologia se opportunamente intervallato alla comunicazione, elemento atto a sviluppare l’attenzione, la riflessione di un capitale intellettuale in divenire.
Vi è oggigiorno tanto nella vita quotidiana che negli ambienti di lavoro un eccesso di comunicazione, non sempre portante informazione creativa ma molte volte involutiva verso il puro cicalio, se non distruttiva delle potenzialità intellettuali, scoria tossica.
Ogni organizzazione possiede tre forme di capitale intellettuale:
· Il capitale umano quali competenze e abilità di gruppi e individui in settori tecnici o capacità di lavorare efficacemente in team;
· Il capitale strutturale inteso come capitale di conoscenze di proprietà dell’organizzazione. Uno dei principali problemi del Knowledge Management è quello di convertire il capitale umano individuale e facilmente disperdibile in capitale strutturale condiviso;
· Il capitale esterno dei clienti/utenti, dato dal valore del marchio organizzativo e dalla fiducia e lealtà dei clienti.
L’importanza del capitale intellettuale è primaria nel ridurre le spese dei capitali fisici o al contrario massimizzarne l’utile, oltre ad imprimere alle attività cui sono applicate notevoli accelerazioni.
Dobbiamo tenere presente che oggigiorno la distinzione non è tanto fra capitale e dipendenti, ma fra coloro che creano e coloro che non sanno, torniamo pertanto al punto di partenza del diritto al silenzio come possibilità di filtrare la tirannia di un rumore comunicativo globale fonte di disturbo e devianza, disgregatore e non creatore del capitale umano.
Bibliografia
· E. Giusti - G. Di Nardo, Silenzio e solitudine, Sovera 2006;
· J. D. Nasio, Il silenzio in psicanalisi, Magi 2005;
· D. J. Teece, Managing Intellectual Capital,